La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 18 luglio 2016

Fomentare le guerre, frenare le migrazioni. Dossier denuncia il doppio business delle aziende europee

di Ingrid Colanicchia
Prima esportano le armi che stanno insanguinando la Siria e non solo e poi costruiscono i muri, le barriere, i sistemi di “sicurezza” che impediranno a chi tenta la via dell'Europa di raggiungere un posto sicuro dove rifarsi una vita. È così che alcune grandi aziende europee di armamenti moltiplicano le loro entrate, secondo quanto emerge dal Rapporto “Border Wars: The Arms Dealers profiting from Europe’s Refugee Tragedy” (“Frontiera di guerra. Come i produttori di armamenti traggono profitto dalla tragedia dei rifugiati in Europa”) promosso dalla ong olandese Stop Wapenhandel e pubblicato dal Transnational Institute (in Italia è stato rilanciato dalla Rete Italiana per il Disarmo).
«La crisi dei rifugiati che l’Europa si trova a fronteggiare ha provocato costernazione nei corridoi delle istituzioni ed ha acceso il dibattito nelle piazze», si legge nell'introduzione al Rapporto. «Ma sta soprattutto rivelando le falle dell’intero progetto europeo, con i governi che non riescono ad accordarsi nemmeno sulle quote di accoglienza dei richiedenti asilo e si rimpallano responsabilità e mancanze. Nel frattempo i partiti di estrema destra registrano un’impennata di popolarità sfruttando i sentimenti delle comunità costrette a subire misure di austerità e attribuendo la colpa della recessione economica a un comodo capro espiatorio mentre le élite bancarie restano in gran parte protette e intoccabili. Chi di fatto soffre maggiormente di questa situazione sono proprio i rifugiati e i migranti in fuga da violenze e avversità, i quali finiscono intrappolati alle frontiere o ai confini tra i Paesi e sono costretti a prendere rotte sempre più rischiose».
E non basta. C'è infatti chi di questo dramma ha fatto un business, cavalcando le paure montate ad arte dalla politica: «Sono le aziende del settore militare e della sicurezza – denuncia il Rapporto – che forniscono sistemi e attrezzature alle guardie di frontiera, tecnologie di sorveglianza per controllare i confini e infrastrutture informatiche per monitorare i movimenti delle popolazioni». Le stesse aziende, ed è questo «l’aspetto più perverso dell’intera questione», che producono e vendono armi ai Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa: «Armamenti che stanno alimentando i conflitti dai quali fuggono i rifugiati». 
Si tratta, come evidenzia l'ong Stop Wapenhandel, di due mercati estremamente redditizi. «Le esportazioni globali verso il Medio Oriente sono aumentate del 61% tra il 2006-2010 e il 2011-2015» e nel caso specifico dell'Unione Europea, tra il 2005 e il 2014, sono state concesse «licenze per esportazioni di sistemi militari verso il Medio Oriente e il Nord Africa per un valore di oltre 82 miliardi di euro». Lo stesso dicasi per il mercato della sicurezza delle frontiere, che è in piena espansione: «Stimato in circa 15 miliardi di euro nel 2015, si prevede che per il 2022 supererà i 29 miliardi di euro l'anno». «Le politiche europee per i rifugiati, che si sono concentrate sul contrasto ai trafficanti e il rafforzamento delle frontiere esterne (anche in Paesi al di fuori dell’Unione Europea) hanno portato a consistenti aumenti di bilancio di cui beneficiano le aziende del settore». Ecco qualche dato: «Il finanziamento totale dell’UE per le misure di sicurezza delle frontiere attraverso i principali programmi dedicati è di 4,5 miliardi di euro tra il 2004 e il 2020; il bilancio di Frontex, la principale agenzia di controllo delle frontiere dell’UE, è passato dai 6,3 milioni di euro del 2005 ai 238,7 milioni di euro del 2016; alcune delle autorizzazioni all’esportazione verso i Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa riguardano il controllo delle frontiere: nel 2015, ad esempio, il governo olandese ha concesso una licenza di esportazione del valore di 34 milioni di euro alla Thales Nederland per la fornitura all’Egitto di radar e sistemi C3 nonostante le reiterate denunce di violazioni dei diritti umani nel Paese».
«Tra i più importanti attori in questo teatro di disumanità – denuncia il Rapporto – ci sono aziende europee come Airbus, Thales e l'italiana Finmeccanica», tutte e tre non solo protagoniste nel settore della sicurezza dell’UE, ma anche tra le prime quattro aziende europee produttrici ed esportatrici di sistemi militari: «I loro ricavi totali nel 2015 sono stati pari a circa 90 miliardi di euro».
Nella fortificazione dei confini europei – in Bulgaria e Ungheria nella fattispecie – giocano un ruolo anche alcune aziende israeliane («le uniche aziende non europee a ricevere finanziamenti per la ricerca, grazie a un accordo del 1996 tra UE e Israele») che hanno promosso il know-how sviluppato grazie all’edificante esperienza del muro di separazione in Cisgiordania e del confine di Gaza con l’Egitto. 

Fonte: Adista News 

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