La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 2 novembre 2016

L'alibi del "combinato disposto"

di Francesco Pallante 
Il 21 settembre scorso la Camera dei deputati ha approvato una mozione con cui "si impegna ad avviare nelle sedi competenti una discussione sulla legge 6 maggio 2015 numero 52 (la legge elettorale c.d. Italicum) al fine di consentire ai diversi gruppi parlamentari di esplicitare le proprie eventuali proposte di modifica della legge elettorale attualmente vigente e valutare la possibile convergenza sulle suddette proposte".
Notare l'estrema prudenza del testo: l'aula si impegna ad "avviare" una discussione nel corso della quale le forze politiche possano rendere note le proprie "eventuali" opinioni per la modifica della legge elettorale vigente, così da poter poi "valutare" la "possibile" esistenza di punti di convergenza. Viene in mente la canzone di Mina: "parole, parole, parole"...
A riprova dell'improbabilità di una riforma, qualche giorno dopo la direzione del Partito democratico ha deciso di istituire un comitato di cinque membri (il vice-segretario Guerini, il presidente Orfini, i capigruppo parlamentari Zanda e Rosato, l'esponente della minoranza Cuperlo), incaricato, ancor prima che di confrontarsi con le altre forze politiche, di individuare una posizione condivisa all'interno del partito stesso.
In ogni caso, il referendum costituzionale è imminente, e, come esplicitato dal Presidente del Consiglio, un eventuale intervento sulla legge elettorale potrebbe avvenire solo dopo il 4 dicembre, a referendum celebrato.
Molto ci sarebbe da dire, a partire dalla credibilità delle promesse di chi, pochi giorni prima di prendere il suo posto alla guida del Paese, assicurava un futuro "sereno" all'allora Presidente del Consiglio Enrico Letta.
Ciò che però forse merita di essere più sottolineato è l'incredibile miopia politica dimostrata dalla maggioranza di governo, se solo si ricorda come l'Italicum, dall'essere la "legge elettorale che tutta Europa ci invidia" all'indomani delle elezioni Europee vinte dal Pd, sia finito ripudiato persino dal Presidente emerito Napolitano dopo l'esito delle elezioni amministrative vinte, proprio grazie ai ballottaggi, dal M5S.
Ma, proviamo per un momento a sgomberare il tavolo da queste considerazioni e immaginiamo che effettivamente la legge elettorale venga cambiata attenuandone la torsione iper-maggioritaria. E, visto che siamo nell'ambito delle ipotesi, esageriamo: immaginiamo, addirittura, che ciò avvenga prima del referendum, in modo che si vada a votare senza l'incombere del famigerato "combinato disposto". Dovremmo per questo (come ha lasciato intendere Bersani) attenuare il giudizio negativo sulla riforma costituzionale? L'abrogazione dell'Italicum dovrebbe rassicurarci? La risposta è no, per una duplice ragione.
Innanzitutto, la riforma è mal pensata e mal scritta di per sé, a prescindere dalla legge elettorale: le modalità di composizione del Senato restano segnate da irresolubile contraddittorietà e le sue possibilità di effettivo funzionamento assai incerte; il procedimento legislativo si complica al di là di ogni ragionevolezza; il voto a data certa consegna il calendario dei lavori parlamentari nelle mani del governo, così completando (con fiducia, decreti-legge, maxi-emendamenti, ecc.) il dominio dell'esecutivo sul legislativo; gli strumenti di garanzia (presidente della Repubblica, giudici della Corte costituzionale, membri laici del Csm, Statuto delle opposizioni) cadono nella disponibilità della maggioranza; la ripartizione dei giudici della consulta tra Camera e Senato è del tutto irrazionale; i rapporti Stato-regioni restano contraddittori e comunque sempre nella disponibilità del governo qualora decida di attivare la clausola di supremazia; il concreto esercizio della democrazia diretta è reso più difficile, mentre il potenziamento dei relativi strumenti rimane (l'ennesima) promessa.
Ma quel che più conta è che dal punto di vista del costituzionalismo - l'unico dal quale si può misurare la qualità di una costituzione - occorre guardare alla capacità teorica della carta fondamentale di impedire eccessi di potere derivanti da interventi legislativi. Il costituzionalismo nasce, nell'ambito della filosofia politica, come corrente di pensiero che, in contrasto all'assolutismo, propugna la separazione e la limitazione del potere a tutela dei diritti dei cittadini.
Ne consegue che una buona costituzione non è quella che protegge i cittadini quando le cose vanno bene (quando i governanti sono onesti, capaci, rivolti all'interesse generale e fanno buone leggi), ma, al contrario, quella che protegge i cittadini quando le cose vanno male (quando i governanti sono disonesti, incapaci, rivolti all'interesse personale e fanno cattive leggi). Facile dire che non si verificano pericolose concentrazioni di potere quando non ci sono i presupposti per concentrare il potere; difficile è dire lo stesso quando quei presupposti si verificano.
L'Italicum è esattamente questo: uno strumento di concentrazione del potere che la nuova Costituzione non riuscirebbe a contenere. Negli anni passati, la Costituzione è riuscita, sia pure con difficoltà, a impedire che forze politiche venate di autoritarismo avessero mano libera nel governare il Paese. Se oggi la stessa Costituzione non è riuscita a impedire il suo stravolgimento, è solo perché la sentenza che ne sanciva la violazione da parte del Porcellum è stata ignorata. Se la maggioranza non avesse potuto godere a tempo illimitato dell'illegittimo raddoppio dei seggi, oggi non si discuterebbe di riforma costituzionale.
In definitiva, la discussione sulla modifica della legge elettorale dimostra che la nuova Costituzione voluta dal governo fallisce proprio laddove non devono fallire le costituzioni: nella peggiore delle ipotesi - la più delicata e pericolosa - non impedisce la concentrazione del potere. Tecnicamente, non è una costituzione.

Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore 

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