La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 3 dicembre 2016

Contro il rottamatore della Costituzione

di Michele Martelli 
Democrazia o autocrazia? Ossia, chi ha il potere sovrano: il popolo, i cittadini, gli elettori, o le oligarchie, i capipartito, i banchieri, le multinazionali? Per capire la riforma Renzi, bisogna chiedersi a quale di questi due modelli di governo e di Stato (teorizzati da Hans Kelsen) essa si ispira. Basta un minimo di intuito per indovinarlo.  Si può riformare la Costituzione cambiando 47 articoli su 139, cioè quasi un terzo, senza stravolgerla? NO. E si capisce facilmente il perché. Se io modifico un terzo dei miei connotati (mi accorcio o allungo il naso, le orecchie, i muscoli facciali ecc.), magari sottoponendomi ad accurati interventi di chirurgia estetica, è chiaro che divento irriconoscibile: sarò un altro, non più io; dovrò cambiare carta d’identità.
Idem per la Costituzione riformata da Renzi che le ha cambiato letteralmente i connotati, sì da renderla irriconoscibile. In realtà, una nuova e diversa Costituzione. Che configura un nuovo e forse inedito sistema politico, non più democratico, ma autocratico, che qualcuno ha acutamente definito democratura. 
Il che risulta non solo dalla riforma, ma dal «combinato disposto» riforma/Italicum: non a caso la nuova legge elettorale è stata approvata prima del referendum costituzionale. Senza l’Italicum, la riforma sarebbe quasi inservibile. Il progetto politico insito nel renzismo è trasferire il potere sovrano, decisionale, dal basso verso l’alto, dai cittadini alle oligarchie interne e internazionali, politiche e finanziarie. È questa la seria, drammatica minaccia da cui difendersi col NO. Vediamo qualche punto più in dettaglio. 
– Con la riforma il Senato non è più eleggibile dai cittadini; l’art. 58 della Costituzione («i senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori») è dunque soppresso. Il che rende monco l’art. 1 («la sovranità appartiene al popolo»), che è il fondamento dell’architettura costituzionale del 48: se il popolo non elegge più il Senato, cioè uno dei due organi legislativi, la sua sovranità è dimezzata. Un progetto che viene da lontano. Renzi nel 2014 va in Senato e dice testualmente: «Mi auguro che io sia l’ultimo Presidente del Consiglio che viene a chiedervi la fiducia». Una frase strategica! 
Come se non sapesse, l’ingenuo neo-presidente rignanese, che con una sola gamba si cammina peggio che con due. O no? Verrebbe da dire: se paradossalmente non dovessero crederci, quelli del sì, provino a tagliarsela. E badate che l’art. 1 è già stato devastato dal Jobs act e dall’eliminazione dell’art. 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori. Il che ha trasformato di fatto l’Italia in «una Repubblica» non più «fondata sul lavoro», ma sul licenziamento arbitrario e sul profitto padronale. Qualcuno mi spieghi perché Marchionne, la Confindustria, Mediaset, i manager delle aziende multinazionali in Italia non dovrebbero votare “sì”? 
E dire che lo Statuto, quando fu approvato, nel 1970, dopo una lunga e dura lotta politica e sindacale, fu salutato come «l’ingresso della Costituzione nelle fabbriche». Renzi l’ha ricacciata di nuovo fuori, tornando indietro di quasi 50 anni. Renzi rottama, sì, ma rottama il buono, distruggendo i diritti costituzionali con la faccia rivolta non al futuro, ma al passato, come l’Angelus Novus di Walter Benjamin: con la differenza che in questo caso si tratta non di un angelo redentore, bensì di un angelo sterminatore, che è lui stesso a produrre le macerie. 
Per non parlare poi di altre leggi, leggine, decreti e provvedimenti sulla scuola, l’università, la sanità ecc. che hanno colpito direttamente non il Titolo V (art. 114-133), ma i primi 12 articoli della Costituzione, cioè i suoi «Principi fondamentali». Si dice: l’art. 138 della Costituzione prevede la possibilità di revisionarla. Di revisionarla, sì, salvaguardandone i principi. Di stravoilgerla NO. 
– Con la nuova legge elettorale, l’Italicum, con cui si dovrà eleggere la nuova Camera dei deputati, il cerchio degli sfregi alla Costituzione si chiude: il malato è morto, l’operazione è riuscita. Con l’abile meccanismo dei capilista bloccati (100, espressione dei 100 collegi elettorali), nominati dai capipartito e dai loro cerchi magici e col premio di maggioranza al partito che vince il ballottaggio (340 deputati contro 290 delle opposizioni) la minoranza, che rappresenta un terzo degli elettori, diventa maggioranza schiacciante sulle opposizioni, che rappresentano la maggioranza, cioè i due terzi degli elettori (vedi il magistrale intervento di Scarpinato su MicroMega). Se aggiungi che le opposizioni sono divise e antagoniste (per es. Salvini e Meloni da una parte, i 5 Stelle dall’altra), governare in modo incontrastato e incontrollato diventa un gioco da bambini (se per es. fosse il PdR e soci il partito o la coalizione vincente). Ma democrazia non significa governo della maggioranza e rispetto delle minoranze? No, per Renzi la democrazia resta, ma, per uno strano abracadabra, si tramuta nel suo opposto: governo della minoranza che mette il suo stivale di comando sulla maggioranza. Il che nel linguaggio politico sin dall’antichità, con buona pace di Scalfari, si chiama oligarchia, non democrazia. 
Insomma, con un colpo di magìa e di alchimìa elettorale la riforma trasformerà la minoranza in maggioranza parlamentare, tracotante e autoritaria: in realtà, una pseudo-maggioranza fatta in gran parte di nominati, fedeli «signorsì» al capo-partito, che sarà quasi sicuramente anche il capo del governo. Sì, perché è vero che l’art. 92 della Costituzione («il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri») non risulta cambiato formalmente dalla riforma, ma il Capo dello Stato, la cui elezione dipenderà dalla pseudo-maggioranza parlamentare, difficilmente potrà fare una scelta diversa. 
Se poi si aggiunge che il partito vincente, o meglio il suo capo e il suo cerchio magico, sarà decisivo nella nomina dei componenti della Corte costituzionale (nonché dei vertici della tv pubblica e dell’intero apparato statale), l’orrificante quadro istituzionale è completo. Pensate che con la cosiddetta Clausola di supremazia il governo potrà imporre una corsia preferenziale all’approvazione entro il limite massimo di 70 giorni di leggi spacciate come leggi di particolare rilevanza nazionale: per es., come ipotizzava Paolo Ferrero in una manifestazione del NO a Urbino, la privatizzazione del sistema sanitario nazionale, che potrebbe essere dato in pasto, poniamo, alla banca Morgan (già in trattativa per il Monte dei Paschi). Basterebbe far decorrere i 70 giorni dai primi di giugno ai primi di settembre, quando la gente è in vacanza, e zac!, il gioco è fatto. E non è una farneticazione, dato il clima di privatizzazioni neolibreriste imperante. In tal caso, non ci resterebbe che l’Urlo di Munch. La sostanza della riforma è che la sovranità costituzionale, da tempo sotto attacco di forze reazionarie, come la destra fascista, la P2 e i governi berlusconiani dell’ultimo ventennio, si trasferirebbe pressoché integralmente dal popolo al partito vincente, al suo capo e alle cricche di potere intorno a lui. La democrazia, basata sulla sovranità del popolo, sparirebbe d’incanto. Insieme alla classica divisione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario), perno di ogni sistema democratico moderno. Sotto mentite spoglie, l’autocrazia trionferebbe. 
– Ma quale autocrazia? Con la Contro-riforma, o Contro-costituzione renziana (a questo punto è giusto chiamarla così) si consuma l’ultimo inganno a danno dei cittadini italiani. Le chiavi del potere, che essa sottrae al popolo sovrano, le consegna solo in apparenza al governo. In realtà, le dà in mano alla Troika (Ue, Bce e Fmi), quindi alle grandi banche d’affari internazionali, di cui il governo si fa organo esecutivo. 
Quello di Renzi lo è già: non ha cancellato lo scempio dell’art. 81 della Costituzione, con cui il governo Monti-Fornero ha introdotto il pareggio di bilancio, ma, al contrario, ha continuato imperterrito a legiferare in ossequio alla famigerata lettera della Bce del 5 agosto 2011 e ai desiderata della grande finanza internazionale, tra cui la JP Morgan (nel cui libro-paga è per es. Tony Blair, che fa ciò che Renzi vorrebbe fare da grande, cioè il conferenziere: l’inglese alla fin fine si impara, no problem) e Goldman Sachs (di cui per es. Prodi, da poco folgorato sulla via di Damasco del “sì”, Draghi, dal 2011 presidente della Bce, e molti altri della schiera, tutti facoltosi fautori del “sì”, sono, o sono stati, consulenti e funzionari profumatamente remunerati). 
La sovranità, scippata da Renzi e consorteria al popolo italiano, è attribuita ai grandi potentati finanz-capitalisti e neoliberisti interni e internazionali, oramai stretti in un intreccio inestricabile, della cui agenda, volontà e interessi oligarchici il governo italiano, in virtù della Contro-riforma del “sì”, non potrà che essere, presumibilmente, domani più di oggi, un fedele e servile esecutore. Votare NO è solo un primo passo per salvare la democrazia in Italia. Ma è anche un’occasione propizia per iniziare una faticosa opera di ricostruzione. La cui prima fase dovrà essere il premuroso restauro della «Costituzione più bella del mondo» scritta con le lacrime e il sangue di migliaia di Resistenti antifascisti. Non da stravolgere, ma da difendere e applicare.

Fonte: MicroMega online 

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