La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 2 dicembre 2016

Dark Times: Trump, il razzismo, la violenza sovrana e la banalità del male

di Bruno Gullì
L’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti è niente di meno che terrificante. Nei primi giorni dopo le elezioni, Trump ha messo in chiaro che la retorica di odio e violenza che aveva caratterizzato la sua campagna elettorale non era un semplice espediente per ottenere voti, ma aveva un contenuto reale e affidato a una ben precisa e spaventosa ideologia. È l’ideologia della supremazia bianca, che riunisce i gruppi più retrogradi e politicamente violenti negli Stati Uniti, dal Ku Klux Klan ai fondamentalisti cristiani, ai gruppi neo-nazisti skinheads.
Le nomine che Trump ha preso in considerazione per le posizioni chiave nella sua amministrazione condividono tutti la sua determinazione nello stabilire una società fondata su un ordine pubblico e un disprezzo più o meno apertamente esplicito nei confronti di tutte le persone, tutte le singolarità che ancora oggi vanno sotto il nome di minoranze. Da Stephen Bannon a Jeff Sessions e all’ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani, per citarne solo alcuni, tutti hanno una storia di razzismo e disprezzo per chiunque venga considerato “diverso”, “altro”, da tenere sotto sorveglianza e sotto controllo, da sottoporre a pratiche di polizia, come quelle del “fermare e perquisire” (stop and frisk), consuetudine poliziesca che a New York è stata inaugurata da Giuliani, prima di venir giudicata incostituzionale, ma che, durante la sua campagna elettorale, Trump ha promesso di estendere a tutta la nazione. Come ha detto il giornalista Jeremy Scahill su Democracy Now!, il gabinetto di Trump sara costruito da neocon, criminali di guerra, e nazionalisti bianchi.
Lo slogan di Trump, “legge e ordine”, è, naturalmente, una maschera malcelata a sostegno dell’illegalità totale che caratterizza la violenza sovrana. La relazione simmetrica e invertita tra la sovranità e coloro che ne sono sottoposti (ma di solito, dietro la sovranità si cela un “lui”) è il tratto fondamentale del paradigma della sovranità. Michel Foucault descrive in questo modo il rapporto tra il corpo del condannato e il re (1977: 29). Giorgio Agamben parla nello stesso modo delle figure del sovrano e dell’homo sacer, l’individuo che può essere ucciso e tuttavia non sacrificato, in altre parole, l’individuo che può essere ucciso a piacimento (1998: 84).
Quello a cui stiamo assistendo nella futura America di Trump è un ritorno a questa modalità fondamentale del potere sovrano e della violenza sovrana. Proprio mentre scriviamo, riceviamo la notizia che Trump ha esplicitamente respinto l’idea che egli possa in alcun modo essere vincolato dalla legge. In questa affermazione, Trump sta seguendo Giuliani che ha recentemente affermato lo stesso concetto in un paio di occasioni. In primis, nel corso di un’intervista a ABC, Giuliani ha affermato che in guerra tutto è legale, il che mostra un totale disprezzo per il diritto internazionale ed in particolare per quelle leggi che governano e regolano la guerra. Tralasciando il fatto che, per ragioni che citerò tra poco, il termine “legale” non è corretto in questo contesto, appare chiaro come Giuliani stia facendo riferimento – coscientemente o meno – ai fondamenti della teoria della sovranità, secondo la quale la sovranità (la legge) è fondata e preservata dalla e sulla violenza. Sta parlando della guerra in modo pre-politico, nel senso evidenziato da Thomas Hobbes nella sua ingannevole analisi della condizione naturale dell’umanità descritta nel Leviatano: la guerra come condizione reale in cui “ogni uomo ha diritto a tutto, anche al corpo di un altro”(1994: 80). Tuttavia, per Hobbes ciò che caratterizza questa condizione è l’assenza di diritto, la neutralità tra legalità e illegalità, tra giusto e ingiusto. A dire il vero, per Hobbes questa condizione originale di violenza (e terrore) viene trasferita nella persona del sovrano (vedi Agamben, 1998: 35). Il sovrano, che fa la legge ed è la legge, non è, tuttavia, vincolato dalla legge. Rimane fuori della legge, ne è l’apice, capace di uscire dalla legge e di sospenderla. Il sovrano, “colui che decide sullo stato d’eccezione”, secondo Carl Schmitt (2005), è l’unico che ha “il diritto a tutto”, anche al corpo di ciascuno, per parafrasare Hobbes.
Giuliani ha in passato applicato queste intuizioni teoriche alla guerra contro i poveri e le minoranze a New York City. Quando era sindaco di New York, la pratica “fermare e perquisire” (stop and frisk) e altri metodi simili della polizia, che sono stati mantenuti anche dopo che si è dimesso da sindaco, hanno contribuito a stabilire un regime oppressivo della legge e dell’ordine pubblico in base al presupposto fallace che, se siamo in guerra, tutto è “legale”. In realtà, come ho già detto, la pratica discrezionale del “fermare e perquisire” (stop and frisk), che in modo sproporzionato ha preso di mira i giovani afroamericani e latini sulla base di un pregiudizio razziale (vantando in tal modo un controllo sui loro corpi e sulle loro vite), è stata in seguito ritenuta incostituzionale.
La violenza sovrana, quella consentita dalla legge, in nome della legge e di una presunta (e nefasta) eccezionalità (difesa e sostenuta da Hobbes), diventa il vero, anche se implicito, oggetto della Critica alla violenza di Walter Benjamin. Sebbene Benjamin usi l’espressione “violenza sovrana” in un senso completamente diverso dal nostro e, nella parte finale del suo saggio, la identifica con la violenza rivoluzionaria o divina (1978: 300), tuttavia è proprio del concetto di violenza sovrana nel senso cui abbiamo fatto cenno poc’anzi che egli tratta, soprattutto in riferimento al ruolo della polizia e a ciò che in seguito verrà denominato “polizia sovrana”.
Tra parentesi, la mancanza di attenzione esplicita di Benjamin alla violenza sovrana di per sé è spiegata da Agamben come dovuta al fatto che “nel 1920, Benjamin stava lavorando sulla Critica e non aveva ancora letto il testo Teologia politica di Schmitt” (Agamben, 1998: 64). Agamben ammette che la violenza sovrana non deve essere confusa con la violenza divina, [la violenza che distrugge la legge, che è “letale senza spargimento di sangue”] (Benjamin 1978, 297). Quest’ultima è, potremmo aggiungere, la contro-violenza della resistenza. Tuttavia, Agamben sottolinea che la violenza sovrana non è né il fare le leggi né il preservarle. Per Agamben, la violenza sovrana è la “violenza esercitata nello stato d’eccezione.” E, “chiaramente né conserva né pone la legge, ma piuttosto la conserva sospendendola e la pone nel farsi eccezione da essa” (Agamben 1998: 64). E, aggiunge, “la violenza sovrana apre una zona dal confine indistinto tra legge e natura, fuori e dentro, violenza e legge” (ibid.). Questa è precisamente la nozione che Benjamin attribuisce alla violenza della polizia, per la cui autorità ” la separazione tra la violenza del fare la legge e del preservarla è sospesa” (Benjamin 1978, 286). La generalizzazione della violenza della polizia come polizia sovrana nelle società democratiche è descritta da Benjamin come segue: “E anche se la polizia può, in particolari momenti, apparire ovunque la stessa, non può essere negato che il suo spirito è meno devastante laddove essa [la polizia, ndr.] rappresenta, in una monarchia assoluta, il potere di un sovrano nel quale potere esecutivo e legislativo sono uniti, piuttosto che nelle democrazie dove il suo operato, in assenza di tale relazione, testimonia la più grande degenerazione possibile di violenza “(287).
Il tipo di stato di polizia che incombe dopo l’elezione di Trump corrisponde molto bene a questa descrizione. Anche se si considera solo quello che ho ricordato poco sopra, la possibile diffusione del “ferma e perquisisci” e simili pratiche di sorveglianza e controllo su scala nazionale, la configurazione di quello che si prospetta, dovrebbe essere facilmente riconoscibile. È un dato di fatto: l’intenzione dichiarata di Trump di costruire un muro al confine Usa-Messico, di deportare tutti gli immigrati privi di documenti, inclusi quelli protetti da DACA (Deferred Action for Childhood Arrivals)[1], sino a negare del tutto l’ingresso ai mussulmani negli Stati Uniti e attuare un registro separato di anagrafe mussulmana, estende e approfondisce la logica della violenza sovrana e della polizia sovrana rendendola praticabile in modo esemplare oltre gli stessi confini dello stato-nazione americano.
Il movimento che ha portato al potere Trump è “informato” (e più spesso disinformato) da condizioni globali della politica e dell’economia. In ultima analisi, tutti i nazionalismi descrivono un conflitto tra il globale e il locale, il particolare e l’universale. Emergono come soluzione disperata (e ovviamente mal guidata) di quel conflitto. Questo vale anche per tutti i razzismi. È vero che se Bernie Sanders non fosse stato costretto a cedere alla oligarchie burocratiche del Partito Democratico, avrebbe avuto la possibilità di resistere e opporsi alle forze ideologiche che sostenevano Trump. Anzi, avrebbe potuto deviare alcune di queste forze in una direzione completamente diversa – lontana dal populismo e verso una visione socialista del futuro. Personalmente, ho parlato qui a Brooklyn con alcuni sostenitori di Sanders che hanno successivamente indirizzato il proprio sostegno a Trump, a volte anche in base alla constatazione che per fare il presidente “dopo tutto un uomo è sempre meglio di una donna”. Ovviamente, il sessismo, proprio come il razzismo, il fascismo e il nazionalismo, appartengono allo stesso tipo di ideologia difensiva (che poi, come tutto ciò che nasce come “difensivo” si trasforma ben presto in “offensivo”) che è assai funzionale allo sviluppo della violenza sovrana.
Così, è vero che, nonostante il suo terribile passato politico e i suoi inaffidabili piani per il futuro, la vittoria di Hillary Clinton non sarebbe stata terrificante come quella di Trump. Avrebbe almeno portato un valore simbolico per quanto riguarda la questione di genere negli Stati Uniti e, come si dice, ciò avrebbe fatto la storia. E avrebbe avuto la stessa importanza storica e simbolica che l’elezione di Barack Obama ha avuto nel 2008. Certo, con Clinton tutto, probabilmente, sarebbe continuato come al solito, business as usual. È comunque importante capire e sottolineare che lo status quo è di per sé terribile. Sotto le due presidenze di Obama, la degenerazione della violenza della polizia sovrana è aumentata, a livello globale e nazionale. In particolare, il “programma dell’utilizzo dei droni come strumenti di morte”, avviato da George W. Bush ha visto un aumento, che non finirà prima che Obama lasci il suo incarico: sarà ereditato dalla macchina politica terrificante di Trump. In aggiunta a ciò, sotto la presidenza Obama, il numero delle espulsioni degli immigrati irregolari è aumentato a livelli senza precedenti; così come la persecuzione e l’incarcerazione di “gole profonde”. Di fatto, la scelta era tra una situazione attualmente già terribile e una ancora più terrificante.
Un indizio di ciò è dettato dai crescenti livelli di brutalità e di terrore della polizia negli Stati Uniti. Quantomeno, Hillary Clinton si è confrontata con un gruppo di donne parenti delle vittime della brutalità della polizia (la madre di Sandra Bland tra di loro), donne che si stanno organizzando per porre fine a questa pratica razzista e genocida da parte della polizia. Con Trump e artisti del calibro di Giuliani al potere, la cultura dell’impunità per la polizia sovrana diventerà un’eccezione permanente. Sarà un’impunità senza precedenti a livello locale, nelle città e contee degli Stati Uniti. Ma è molto probabile che si verificherà un’escalation anche per quanto riguarda i vari conflitti e guerre dichiarate e non dichiarate, in cui gli Stati Uniti sono stati coinvolti dal G.W. Bush.
È difficile immaginare qualcosa di peggiore della violenza a cui siamo già tristemente e fin troppo abituati. Dal terrore della polizia alla violenza del complesso carcerario-industriale e alla povertà progettata per atrocità belliche di tutti i tipi, che cosa può esserci di peggio? Ho già ricordato come con Obama, il presidente ammantato da un’aurea di innovatività, sofisticato e altamente istruito, insignito del Premio Nobel per la Pace per la sua visione di speranza e cambiamento, il livello di violenza non è diminuito ma aumentato. Guantanamo non è stata chiusa, l’omicidio come pratica extragiudiziale ha dilagato, e così via. La “prossimità originale” tra il sovrano e il criminale descritta da Agamben nel suo breve saggio “Sovrano di polizia” (2000, 107) è ora visibile in tutto il suo spettrale splendore. Come dice Agamben, “Non vi è alcun capo di stato sulla Terra che oggi, in questo senso [vale a dire, nel senso di essere complice nelle attività della polizia sovrana], non possa essere considerato praticamente un criminale” [il corsivo è originale, ndr]. Lo stesso vale naturalmente per le forze di polizia impegnate nelle attività di polizia sovrana a livello locale in tutto il mondo. Allora, che cosa ci può essere di peggio? Eppure, si può ottenere il peggio del peggio, con la rinascita, la normalizzazione, e la diffusione di quello che Hannah Arendt ha definito “la banalità del male”, ovvero, per parafrasare la stessa Arendt, quella condizione che porta a non rendersi conto di ciò che si sta compiendo (Arendt, 1994 287).
Ciò che lo stesso Trump afferma di voler fare non è forse neppure il pericolo maggiore. Ha già abbondantemente dimostrato che egli è un adepto della banalità del male, e, imprevedibile come è, ci si può aspettare qualsiasi cosa: un rovesciamento delle sue posizioni, il contrario del contrario e il contrario del contrario del contrario. A dire il vero, tutto ciò è molto importante ed estremamente pericoloso. Tuttavia, sono le persone di cui si sta circondando a gettare una luce ancora più inquietante su ciò che si profila all’orizzonte. Eppure, ciò che fa ancora più paura non sono le possibili azioni del futuro presidente e del suo governo ma il potere odioso che Trump ha scatenato a livello della vita politica quotidiana e della cultura. Egli gode dell’appoggio di gruppi e di individui che prosperano sull’odio razziale. Anche se ora va dicendo che li rinnega, è probabile che si tratti solo di parole, e, in ogni caso, ciò che adesso dice Trump non può scuotere la falsa certezza di questi individui e gruppi di aver finalmente trovato legittimità.
Qualsiasi posizione individualista e razzista ora si sente legittimata, ad esempio, a molestare una donna musulmana per la strada solo perché indossa un hijab. Da David Duke, ex-capo del Ku Klux Klan, negazionista dell’Olocausto, sino a un suprematista bianco come Richard Spencer, fondatore della Alternative right [gruppo della destra radicale, xenofoba e razzista, ndr], Trump ha legittimato una congerie di individui odiosi, di gruppi e di ideologie in un modo che ora è molto difficile da contrastare. Essi hanno avuto, e probabilmente continueranno ad avere, l’attenzione dei media. Ancora in forme minoritarie, ma comunque preoccupanti e inquietanti, costoro avranno un impatto sulla vita quotidiana, per esempio nel campo della scuola e dell’educazione. Gli insegnanti saranno controllati nelle loro classi, cosa che sta già in modo preoccupante accadendo. Per esempio, già oggi, l’Alternative right ritiene di poter paragonare, in modo positivo, Trump a Hitler, anche se in modo ancora implicito. I suoi membri già lo fanno quando urlano: “Heil Trump! Heil la nostra gente! Heil Vittoria!”, utilizzando il saluto nazista.
Ne consegue che, se un insegnante, in modo critico, traccia un parallelo tra la nostra pericolosa situazione attuale e la situazione all’inizio del Terzo Reich, rischia di avere dei guai e di essere guardato con sospetto. Eppure, come alcuni studiosi dell’Olocausto hanno osservato, l’Olocausto non inizia con i campi di sterminio, ma con le parole e l’ideologia. La situazione è davvero molto critica.
La gravità del momento è sottolineata dal fatto (insolito, se ciò avviene dopo le elezioni presidenziali) che molti college e università si sono premuniti di rilasciare dichiarazioni ai propri studenti, per quanto riguarda il rischio di espulsione per gli immigrati senza documenti, ma anche, con valenza più in generale, riguardo il fatto che i valori della tolleranza e della democrazia sono i fondamenti (si presume) della società e della cultura degli Stati Uniti.
I sindaci delle principali città americane (tra cui New York, Chicago e Los Angeles) hanno dichiarato la loro città santuari per gli immigrati minacciati dalla deportazione. Un movimento nazionale di docenti, studenti e personale amministrativo si è sviluppato in molti college e università e campus nel nome della stessa politica di resistenza per affermare che i luoghi del sapere sono “santuari” [dove si garantirà protezione]. Decine di migliaia di persone sono scese in piazza in tutto il paese nei giorni dopo le elezioni, tra cui molti protestano davanti all’abitazione di Trump a New York, in quello che sembra essere un crescente movimento di resistenza contro la logica della violenza sovrana e la banalità del male che ha trionfato con l’elezione di Trump.
Quelli di noi che insegnano o sono impegnati in altre attività educative e politiche sono ben consapevoli dei tempi molto bui e del pericolo incombente. Sentiamo la necessità di rafforzare il pensiero critico e la diffusione del sapere. Infatti, a causa della diffusa accettazione e dell’applicazione inadeguata della nozione di libertà di parola, molti si nascondono dietro il luogo comune che “ognuno ha diritto alla propria opinione”. Tuttavia, va messo in luce che la verità non ha nulla a che fare con il diritto. In altre parole, deve essere reso evidente che, indipendentemente dalla propria posizione politica, i punti di vista odiosi espressi durante la campagna presidenziale e dopo l’elezione da Trump e dai suoi numerosi violenti sostenitori, tra cui i membri del movimento Alternative right (intrisi di misoginia, razzismo, omofobia, islamofobia e l’antisemitismo), oltre a costituire un problema politico e a essere moralmente spregevoli, sono logicamente e ontologicamente inadeguati. Ciò che sto dicendo è che ogni ideologia suprematista, prima di diventare politicamente e praticamente pericolosa, è teoricamente fraudolenta e logicamente imperfetta. Si sostiene una richiesta [claim, ndr] che non ha alcun fondamento ragionevole e sensibile e per ciò la si deve affermare con la violenza. Quando si permette di dire qualunque astrusità, allora si apre la porta all’incapacità di pensare [thoughtlessness, ndr] che, per Hannah Arendt, era la radice della banalità del male. Ciò che ora dobbiamo fare è resistere e cercare di disattivare tutto questo. La resistenza inizia proprio con la “capacità di pensiero” [thoughtfulness, ndr], cioè con il pensare.

NOTE

[1] Una sorta di ricongiungimento familiare.

BIBLIOGRAFIA

Agamben, Giorgio. 1998. Homo Sacer: Sovereign Power and Bare Life, translated by Daniel Heller-Roazen. Stanford, CA: Stanford University Press.

___________. 2000. “Sovereign Police.” In Means without Ends: Notes on Politics, translated by Vincenzo Binetti and Cesare Casarino. Minneapolis: University of Minnesota Press.

Arendt, Hannah. 1994. Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil. New York: Penguin Books.

Benjamin, Walter. 1978. “Critique of Violence,” in Reflections, translated by Edmund Jephcott, 277-300. New York: Schocken Books.

Foucault, Michel. 1977. Discipline and Punish: The Birth of the Prison, translated by Alan Sheridan. New York: Vintage Books.

Hobbes, Thomas. 1994. Leviathan. Indianapolis: Hackett.

Schmitt, Carl. 2005. Political Theology: Four Chapters on the Concept of Sovereignty, translated by George Schwab. Chicago: University of Chicago Press.

Novembre 2016

Traduzione di Andrea Fumagalli
Fonte: Effimera.org 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.