La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 2 dicembre 2016

Fidel Castro fu la voce del Terzo Mondo

di Vijay Prashad
La sala divenne silenziosa alla Conferenza Mondiale dell’ONU contro il razzismo nel 2001 quando Fidel Castro entrò. Raggiunse il podio e denunciò con fermezza non soltanto il razzismo, ma anche le profonde cicatrici inflitte dal capitalismo. “Lo sfruttamento disumano dei popoli di tre continenti,” ha detto riferendosi all’Africa, all’Asia e all’America Latina, “ha segnato per sempre il destino e la vita di 4,5 miliardi di persone che vivono oggi nel Terzo Mondo.” E’ stata questa storia, ha detto, che ha lasciato “le vittime attuali di quella atrocità” nella povertà, nella disoccupazione, nell’analfabetismo e nella malattia. Le parole di Castro rispecchiavano la realtà. Non avrebbe finito lì. Era la speranza, non lo scoraggiamento che conquistava la sua personalità. “Credo nella mobilitazione e nella lotta dei popoli!”, ha detto. “Credo nell’idea di giustizia! Credo nella verità! Credo nell’uomo!”
Fu difficile contenere gli applausi. Castro nella sua abituale tenuta verde da combattimento , comprese l’adulazione. Non c’era nulla di ipocrito in questa: i leader che erano nella sala ammiravano la guerriglia. Fidel diceva cose che in cui molti di loro credevano, ma che erano arrivati a mettere da parte. Queste erano le idee della loro gioventù e delle loro tradizioni anti-coloniali, ma le avevano “settate su mute”. Non sentivamo mai tale onestà da parte di questi leader del Terzo Mondo, ma il loro applauso indicava qualcosa di importante. Castro parlava per i loro valori soppressi. Le sue parole suonavano vere, anche se la loro articolazione sarebbe stata schernita dal Nord Globale e dai suoi rappresentanti nel Sud Globale. La derisione più grave sarebbe stata diretta alla fiducia di Castro, alle sue parole sulla mobilitazione e la lotta di massa. Parole come ‘giustizia’ e ‘verità’ erano state svuotate del loro contenuto. Ora significavano il contrario. Gli impegni alla mobilitazione e alla lotta di massa in alcuni suscitavano eccitazione, in altri condiscendenza. Faceva parte del messaggio forte che lo distingueva.
Affrontare l’imperialismo
Castro, che rappresentava una rivoluzione assediata in una piccola isola, sosteneva di forze storiche diversamente soppresse. Contro ogni previsione i guerriglieri della Sierra Maestra sconfissero la dirigenza della mafia a L’Avana e si difesero dagli americani di Washington, D.C. Al primo vertice del NAM (Movimento dei paesi non allineati), il Presidente di Cuba, Osvaldo Dorticós Torrado parlò con un linguaggio che irritò la direzione più compassata di Gamal Abdel Nasser, Jawaharlal Nehru and Josip Broz Tito. Il sottosviluppo, disse Fidel, “può essere superato soltanto per mezzo di una lotta contro l’imperialismo e di una vittoria totale su di esso.” Convinta che l’imperialismo doveva essere affrontato, 50 anni fa Cuba ospitò l’incontro Tricontinentale. Fu in quella sede che Castro disse che il governo “avrebbe coordinato l’appoggio alle guerre rivoluzionarie di liberazione in tutto il mondo colonizzato. Che Guevara era già in Congo e lavorava con i rivoluzionari africani. Il supporto materiale di Cuba, in termini di addestramento militare e medico – arrivò fino in Guinea-Bissau, Mozambico e Angola. E’ stato l’aiuto cubano ai militanti di queste lotte che contribuì a sconfiggere il Portogallo e a fargli iniziare la propria Rivoluzione dei Garofani contro il suo stato fascista nel 1974. E’ stato l’intervento in Angola che contribuì a sconfiggere le forze armate del Sudafrica nella battaglia di Cuito Canavale nel 1988, che ruppe la schiena del regime dell’apartheid sudafricana e contribuì alla sua caduta nel 1994. Cuba fece il suo lavoro e poi si ritirò. Non cercò di occupare, di ottenere accordi commerciali o di creare basi militari. Venne in aiuto e poi, dopo aver aiutato, se ne andò.
Lo sciopero del debito
Nel 1983 Fidel Castro arrivò a Nuova Delhi per trasferire la presidenza del NAM all’India. Fu ricevuto come un eroe popolare, il leader trionfante di un Terzo Mondo che era allora in grande sofferenza. La crisi del debito aveva messo fine a qualsiasi speranza che era stata suscitata dai movimenti anti-coloniali. I ministri delle finanze si erano messi in fila al Fondo Monetario Internazionale e presso i vari prestasoldi per raccogliere fondi per le casse esaurite. La volontà di lottare per un altro mondo stata stroncata. Fidel Castro aveva altre idee. Non era pronto a inginocchiarsi. Domandò: Che dite di uno sciopero dei debiti esterni? E se ognuno degli stati del NAM rifiutassero di onorare i loro debiti? E se domandassero che i loro debiti vengano negoziati? Castro ricevette una standing ovation, ma nessuno decise di seguirlo. Non ci fu uno sciopero dei debiti e, invece, una nazione dopo l’altra affrontarono un programma politico (il neo-liberalismo) che cannibalizzò* le loro risorse.
Castro continuò a farsi sentire, mettendo in guardia dalla direzione presa dal pianeta.
Parlò del fallimento dei leader del mondo di creare una risposta globale ai pericoli che stavano di fronte a tutti noi: un sistema finanziario che era diventato un caos, un progetto sociale che creava pericolosi livelli di disuguaglianza, un modello di consumo che avrebbe divorato le risorse della terra, guerre che sono il prodotto dell’avidità e della fame. Nuove idee si sono insinuate per corrompere il pensiero. “Il mercato oggi è diventato un oggetto di idolatria,” disse Fidel nel 1999, “una parola sacra pronunciata a tutte le ore.” Il 10% più ricco della popolazione del mondo, oggi controlla l’89% della ricchezza del mondo. Questo tipo di pensiero, ha detto Castro, “ha danneggiato la mente umana”. Nulla ha trattenuto Castro. Quando il giornalista Ignacio Ramonet lo accusò di essere un sognatore, Castro replicò: “Non c’è cosa migliore dei sognatori, e puoi fidarti di un sognatore che ha avuto il privilegio di vedere realtà che non era stato mai in grado di sognare.” Erano necessarie soluzioni per queste disuguaglianze mostruose che non si possono trovare negli apps e nei micro crediti. Servono pensieri più grandiosi. Castro ha persistito in quella ambizione. È stata la sua audacia che ha permesso a così tante persone di respirare.
Nel 1953, un luogotenente e la sua squadra catturarono Castro e alcuni dei suoi compagni. Castro nascose la sua identità per paura di un’esecuzione sul posto. I soldati volevano uccidere i guerriglieri. Il luogotenente camminava lì intorno e li calmava. “Non si possono uccidere le idee.” Il luogotenente ripeté: “Non si possano uccidere le idee.” In seguito, Castro si chiese che cosa aveva fatto sì che il luogotenente gli salvasse la vita e ripetesse quella affermazione. “Le nostre idee non sono morte,” disse Castro. “Nessuno potrebbe ucciderle.” Senza il lungo periodo di lotta e di sperimentazione, senza gli anni in cui “abbiamo dovuto educare, seminare idee, costruire la consapevolezza, istillare sentimenti di solidarietà e un generoso spirito internazionalista, il nostro popolo non avrebbe avuto la forza di resistere.” Non si possono uccidere le idee. Castro, per il Terzo Mondo, non era semplicemente un altro leader. Era lo specchio delle sue aspirazioni. Quello specchio è ora andato in frantumi.


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: The Hindu
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

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