La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 3 dicembre 2016

Dizionario referendario di fine campagna: da Anpi a Zedda passando per Boschi e voltagabbana

di Vindice Lecis
Anpi. In questa battaglia ha rilanciato rinnovandolo lo spirito della Resistenza con al centro la difesa della Carta costituzionale. E al Pd non è andata proprio giù. Il vento fischia ancora. Boschi. Madrina di tutte le battaglie, protettrice delle banche (specie l’Etruria), collezionista di provocazioni: dai “veri partigiani” a “purtroppo le tasse dobbiamo pagarle” da bar sport fino al mitico “chi vota no vota come Casa Pound”. Tra Amintore Fanfani e Enrico Berlinguer ha scelto il primo.
Bufale. L’ultima è, naturalmente, di Renzi che ha sventolato in tv una scheda elettorale farlocca con tanto di simboli dei partiti del nuovo Senato che, invece, non sarà elettivo. La peggiore bufala al limite del terrorismo è invece quella che, se vince il No, l’ Italia abbandonerà l’Euro e falliranno otto banche (vedi alla voce finanza).
Bicameralismo. Resta in vigore. Tanta cagnara per nulla.
Casta. La famiglia Agnelli con gli Elkann (John e Lapo) e Marchionne con tutta la Fiat-Fca, la Confindustria, la finanza internazionale con Jp Morgan in testa seguita dalle salmerie del Financial Times (ventriloquo della grande finanza inglese) e il Wall Street Journal (l’equivalemnte americano). E ancora la famigerata Troika (Bce-Ue-Fmi) scatenata per il Sì. Più casta di così.
Deriva autoritaria. I renziani la negano chiedendo, ingenuamente, dove stia scritta. Eppure è chiara e lampante nella nuova Carta col governo pigliatutto. Questo dialogo in Tv illumina:
Renzi: “Professore, mi dice dove sta scritto nella riforma che c’è un rischio di deriva autoritaria?”
Zagrebelsky: “Mi dice chi scriverà lo statuto delle opposizioni?”
Renzi:“Il parlamento
Zagrebelsky:“Eletto con?”
Renzi:“L’Italicum”
Zagrebelsky: “Quindi sta dicendo che le regole delle opposizioni verranno scritte da chi governa?”
D’Alema. Un gigante. Disturba i sonni dei renziani, ha formato un comitato per il No chiamando a raccolta le scarse energie dentro il Pd rimaste autonome. Ha dimostrato che la vecchia scuola Pci è ancora desta. In molti si scusino per i giudizi su di lui.
Europa. Con la nuova stesura della Carta, l’Italia perderebbe la sovranità residua. Il nuovo articolo 117 , infatti, cede definitivamente la potestà a Bruxelles: quella legislativa sarà esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e dagli obblighi internazionali. Un cappio, che si aggiunge ai vari pareggi di bilancio che hanno strozzato i Paesi europei.
Estero. Sono poco meno di 4 milioni gli italiani all’estero che votano e Renzi si affida a loro per risalire la china. Le segnalazioni sulla facilità con la quale possono venire falsificate le schede, addirittura recapitate senza timbro, sono numerosissime. Zona d’ombra a rischio brogli.
Franceschini. Scalpita, sente l’odore della tempesta. Da vice disastro ad aspirante sostituto del premier. Un altro ex Dc dei lunghi coltelli.
Giornali. Edicole unificate per il Sì con l’eccezione del Manifesto, Il Fatto e il Giornale. Mai un dubbio, Renzi ha avuto una copertura che nemmeno nelle antiche satrapie balcaniche o asiatiche. Brutte pagine da regime.
Italicum. La legge truffa di De Gasperi bocciata nel 1953 era decisamente più democratica. Il famoso combinato disposto Italicum-”riforma” Boschi porterebbe il livello di democraticità dell’Italia a uno stadio infimo: era la legge più bella del mondo, diceva Renzi dopo aver imposto maratone di voti di fiducia, mentre ora se ne vergogna. Voleva vincere facile con il premio di maggioranza per chi avesse ottenuto il 40% e fare suo il banco (con 340 seggi su 630) e imporre capilista bloccati. (quanto era bello il proporzionale, soprattutto democratico)
Immunità. Scudo per i nuovi senatori, siano essi sindaci o consiglieri regionali. Un bel regalo, visto l’andazzo.
Impresentabili. A Verdini gli hanno detto di stare cauto, De Luca Vincenzo lo hanno sguinzagliato.
Jobs act. La riforma peggiore del dopoguerra con la distruzione dei diritti del lavoro e l’istituzionalizzazione della precarietà è il convitato di pietra della campagna e peserà nel voto delle nuove generazioni senza speranza.
Lascio o non lascio. Il dilemma di Renzi sotto forma di ricatto. “Se vince il no non solo lascio il governo ma anche la politica. Cambio mestiere” minacciò. Poi ha cambiato idea continuando a battere la strada dei ricatti (vedi alla voce finanza) minacciando l’instabilità. Come se il suo governo fosse l’unico possibile.
Lavoro. Finiti gli sgravi miliardari sono arrivate le decine di migliaia di licenziamenti. Doccia fredda con l’ultimo dato dell’Istat del 1 dicembre che certifica il calo di ulterori 39 mila posti stabili a ottobre (vedi alla voce jobs act).
Ministri. Hanno girato in lungo e in largo l’Italia sovrapponendo impegni istituzionali con quelli della bottega di partito. In Sardegna in un mese è arrivato tutto il governo trasformando l’isola in un gigantesco e triste spot, promettendo seggi senatoriali, agricoltura moderna, treni super veloci, patti metropolitani. Parole al vento.
Miracoli. L’accordo sugli statali a poche ore dal voto sembra più una marchetta. Intanto bisogna trasformarlo in nuovo contratto e attendere l’approvazione definitiva della Manovra. A conti fatti saranno 10-15 euro lordi mensili nel 2016 e 18-25 per il 2017.
Napolitano. Allergico al voto popolare, sensibile ai richiami-ordini degli Usa e dell’Ue, ispiratore di governi tecnici o comunque non sottoposti a verifica elettorale. Peggiorista.
Oligarchia. Con la riforma costituzionale e con l’Italicum i cittadini-elettori conteranno meno di niente. Un Parlamento eletto con la nuova legge sarebbe controllato dal governo perché composto da super fedelisimi.
Pigliaru. Presidente della Regione Sardegna, ex Lotta Continua approdato al renzismo della prima ora. Praticamente non c’è argomento sul quale non dia ragione al suo premier. Consigliamo da leggere, in italiano, Emilio Lussu e Renzo Laconi.
Ping pong. Resta la cosiddetta navetta, secondo l’articolo 70, per moltissime prerogative. Vale a dire tutte le leggi di garanzia costituzionale, elettorali, sui trattati internazionali e sull’ ordinamento degli enti locali. Il bicameralismo (vedi alla voce) dunque resta anche se il cosiddetto ping pong ha riguardato solo 50 su 252 leggi che hanno fatto “navetta”.
Prodi. Un rancoroso vendicativo. L’uomo dell’Euro ha svenduto il patrimonio dei cattolici democratici e quello dell’Ulivo per fare un dispetto a D’Alema (vedi). Scuola democristiana dei lunghi coltelli. Tristissimo.
Quorum. Questa volta il numero dei votanti non conta. Basta infatti un voto per bocciare la “riforma”.
Quesito. Truffaldino quello stampato sulla scheda referendaria. Propaganda a spese dei contribuenti ripetuta per settimane su tutte le reti televisive.
Regioni. Dopo le Province saranno loro a finire nel mirino: lo Stato può far valere infatti la clausola di supremazia in molte delle competenze che prima spettavano a loro. Passo dopo passo finirà che non sceglieremo nemmenpo più i governanti locali.
Risparmi. Irrisori: specialisti hanno demolito le affermazioni della Boschi su un risparmio di 490 milioni. Al massimo saranno 160. Un caffè al giorno.
Sanna. Come Nicola, sindaco di Sassari. Merita la palma del manifesto decisamente più imbarazzante della campagna elettorale: Basta un SIndaco.
Sardegna. Come Regione a statuto speciale rischia meno per ora, perché la riforma rimanda a una revisione degli statuti per definire una rapida eutanasia annunciata. Inoltre resta oscura la questione dei consiglieri-senatori, sovrapposizione vietata dallo Statuto. Un caos, insomma.
Senato. Resta, resta. (vedi alla voce Bicameralismo) ma diventa una camera dei notabili dei vari territori non eletti dal popolo.
Smuraglia. Presidente dell’Anpi è stato un autentico protagonista. A 93 anni ha girato l’Italia senza risparmiarsi con lo stesso spirito di quando era partigiano combattente. Commovente, un esempio.
Spese. Il Pd ha stanziato 6 milioni di euro: 4 dal partito, 1 dal comitato Basta un sì, 1 dai gruppi parlamentari. Un’enormità che pure non basterà a coprire le immense spese che, soltanto per spedire 18,5 milioni di lettere agli italiani all’estero, costeranno 8 milioni.
Televisioni. Occupate da mesi dal premier che ha imposto la sua presenza praticamente in tutti i Tg e nelle trasmissioni di approfondimento come in quelle di intrattenimento. La Costituzione scritta nelle trasmissioni di Barbara D’Urso.
Unità. Da collezionare per i titoli imbarazzanti (ultimo quello su Castro) il glorioso giornale fondato da Antonio Gramsci nel 1924 e trasformato in un bollettino governativo.
Voltagabbana. Benigni e Cuperlo guidano la folta classifica. Ma si fanno sotto Santoro e Lerner.
Zedda. Ha inaugurato l’edificante stagione dei Ni e So con Pisapia. Per concludere che però “non può votare No”. (vedi alla voce qui sopra).

Fonte: fuoripagina.it 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.