La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 22 aprile 2017

Dov’è finita la democrazia?

di Vittorio Lovera
Ottima e, al contempo, tristissima domanda. Ce la poniamo in un momento in cui incombe su tutto il globo il rischio di una nuova guerra nucleare globale. Si può ancora parlare di democrazia quando 3 uomini, Trump, Putin e tal Kim Jong-un, possono attivare un disastro nucleare generalizzato?  Di che democrazia parliamo se le decisioni di tre soli uomini possono delineare scenari apocalittici per il pianeta Terra? E’ proprio vero, come affermava Montesquieu, che uno dei maggiori problemi dell’uomo è che non ha mai saputo trovare modo per non essere governato dai più indegni. Che fine ha fatto la democrazia? Il prossimo periodo, caratterizzato da incontrollabili venti di guerra, vedrà a livello internazionale un ulteriore aumento delle tensioni geo-politiche, sia sul versante guerra sia sul fronte profughi-migranti. 
Le prossime elezioni europee in Francia e Germania probabilmente vedranno elementi di continuità, perché la discontinuità “populista di destra” non sembra potersi affermare. 
Il dato vero sembra però essere la crisi strutturale della socialdemocrazia, che traeva il suo fondamento nello stato sociale, oggi al centro dell'attacco da parte delle lobby finanziarie.
In assenza a sinistra di una capacità di analisi adeguata alle trasformazioni intercorse, prendono piede le “risposte” semplificatorie fornite dalle diverse destre, basate sul sovranismo e sul nazionalismo intriso di razzismo e fascismo.
Trovano terreno perché le persone chiedono di difendersi dai guasti della globalizzazione e delle politiche liberiste. 
In questi giorni sono apparsi, su organi meanstream, due interessanti articoli. Il primo prende spunto dal nuovo saggio di Marco Revelli, “Populismi 2.0”. Firma la recensione Ezio Mauro, fino al gennaio 2016 direttore di Repubblica (per una lettura integrale, “Il Forgotten Man: quando il risentimento diventa populismo” – La Repubblica, 10 Aprile).
“Tra le macerie, cammina lui: il Forgotten Man, scartato nella crescita, ferito con la crisi,
deluso dalla rappresentanza. Poiché ciò che è accaduto nell'ultimo decennio ha fiaccato le istituzioni, ha reso impotenti i governi, ha allontanato gli organismi internazionali e ha finito addirittura per indebolire la democrazia, il Forgotten scopre che, nell'improvvisa fragilità del sistema, la sua rabbia può diventare un surrogato della politica, potente. 
Non riesce a proporre soluzioni, a disegnare progetti e a farsi governo. 
Il risentimento non è in grado di fare una rivoluzione, creando una nuova classe dirigente. 
Ma è capace di realizzare la delegittimazione di un potere debole svuotandolo, per poi affidare l'energia degli istinti a chi vuole rappresentarla incarnandola in una performance elettorale. Gli istinti naturalmente non governano: ma questo è un problema di domani, intanto oggi si scalcia.” E ancora: “Più che a un movimento e tantomeno a un partito, siamo davanti a uno stato d'animo a un'espressione senza forma del disagio, alla manifestazione di visibilità degli invisibili: con la retorica del "popolo", del "basso contro l'alto", del "tradimento' da parte delle élite, che mette anche i non poveri nella condizione psicologica di depredati, dunque di offesi, comunque di vittime, di umiliati perché esclusi, ostacolati, impediti e marginalizzati. Naturalmente il neopopulismo non è in vitro, perché ha bisogno di un ambiente storico-politico talmente particolare da risultare eccezionale e oggi lo trova nell'emergenza conclamata di tre crisi congiunte, quella economica e del lavoro, quella migratoria, quella del terrorismo jihadista. Un fenomeno da passaggio di secolo, dice Revelli, esattamente come il neoliberismo in cui si specchia simmetricamente, entrambi trasversali, impermeabili e universali.
Ovviamente tutto questo è esploso come un bengala sotto gli occhi impreparati del mondo con l'elezione di Trump, che infatti subito dopo il trionfo non ha ringraziato il Paese, l'establishment o il partito ma esattamente lui, il Forgotten Man, portandolo a capotavola della sua avventura.”
Considerazioni analoghe quelle che si delineano in un’intervista a Daniel Pennac che torna in libreria con due nuovi testi per ridare voce ed azione, dopo quasi 35 anni, al “capro espiatorio” Malauéssene, in una Belleville molto cambiata. 
Il “capro espiatorio” come il Forgotten Man.
“Certamente il principio del “capro espiatorio” va forte sul piano politico così come su quello sociale. In ogni situazione si cerca sempre qualcuno su cui scaricare colpe e responsabilità. Ed ognuno è sempre il capro espiatorio di qualcun altro. Questa situazione provoca delusioni, malumori e rancori che favoriscono prima o poi il successo politico di individui violenti e autoritari. Penso a Trump, Erdogan, Putin ma anche al trionfo dei nazionalismi in Europa. Dappertutto vince la forza fisica, la menzogna e la negazione della realtà, favorendo il successo di personalità che sembrano forti, mentre sono solo brutali”
Un sistema economico sempre più spietato e brutale provoca l’aumento esponenziale delle diseguaglianze e dell’emarginazione sociale: questa spirale ingloba sempre più velocemente i ceti medi che tendono a sparire, favorisce la crescita delle povertà, vecchie e nuove, fa esplodere la perdita di identità sociale e una sempre più diffusa emarginazione. Capitalismo, liberismo e globalizzazione hanno prodotto una società dominata dall’individualismo e dalla guerra di tutti contro tutti.
“Così nelle banlieue prosperano l’estrema destra e l’Islam radicale. La prima risponde alla miseria con promesse menzognere, il secondo con la regressione a una morale arcaica che designa i non credenti come responsabili di ogni male.”
Dov’è finita la democrazia, a soli 72 anni dalla drammatica conclusione dell’ultimo conflitto mondiale?
Le analisi a posteriori di ciò che ci ha portato sull’orlo del baratro, sono sempre inappuntabili.
Le parole di chi ha guidato per oltre 20 anni la Repubblica, nell’inquadrare l’attuale situazione socio-politica, non fanno una grinza. 
Peccato però che il ruolo della stampa mainstream, nazionale e mondiale – intrecciata in modo perverso con le lobbies finanziarie – sia una delle più gravi concause dell’attuale situazione di deficit democratico.
Mentre il popolo dei Forgotten Man si ingrossava a vista d’occhio, mentre le diseguaglianze crescevano, mentre il sistema democratico mondiale mandava sinistri scricchiolii, quali “influenze” di discontinuità hanno mai saputo proporre per orientare politiche di svolta? 
Dov’erano le analisi che inchiodavano il sistema? 
Gli organi meanstream sono sempre risultati i più sfegatati sostenitori delle politiche liberiste, della globalizzazione sfrenata e dell’economia a debito, di oltre quarant’anni di pensiero unico, meglio se gestito da “politicamente corretti “ socialdemocratici.
Nessuno crede ad un loro ravvedimento, neppure temporaneo.
Oggi il destino del mondo è appeso al momentaneo stato di psicolabilità di soli 3 uomini.
Magari la “sfanghiamo” anche questa volta.
Certamente per uscire dalle secche della “età del vuoto”, è necessario utilizzare parole d'ordine radicali nello spazio pubblico europeo per aprire una fase costituente dal basso che ridefinisca sul altre basi il patto sociale europeo. Per esempio: “stracciare Maastricht”.
In Italia, stiamo assistendo alla continuità del governo Gentiloni, nonostante la discontinuità forte prodotta dal referendum del 4 dicembre che ha segnato la fine del governo Renzi. 
L'anomalia 5Stelle sembra sempre più prendere la strada del modello liberista, anestetizzando le contraddizioni che l'exploit elettorale aveva aperto.
Il problema vero è che continua a mancare una società in movimento, nonostante il paese sia continuamente attraversato da conflitti territoriali estremamente importanti. 
L'unica vera novità di questi ultimi tempi - per dimensione globale e per capacità di inserimento sull'agenda politica - sembra essere il movimento delle donne, capace di mettere assieme il “personale” con la visione di un'altra società.
In generale, sembra essere ancora il tempo della seminagione: da questo punto di vista i due assi su cui Attac sta da tempo lavorando, trovano importante conferma.
Il primo versante è la questione Debito/Finanza, come elemento sistemico, che può dare impulso, con la battaglia per l’abolizione dei debiti illegittimi, a tutte le lotte “specifiche” che sono in campo; il secondo versante è quello territoriale, con la necessità di generalizzare il percorso “Riprendiamoci il Comune” che trova nuova linfa nella pessima legge Minniti-Orlando che amplifica - fino al fascismo culturale - il ruolo di “sceriffo” dei sindaci, che da oggi saranno direttamente impegnati nella guerra ai poveri e agli “indecorosi”.
Una semina politico-sociale finalizzata insomma ad indirizzare i Forgotten Man verso altri orientamenti, orizzonti di ragione, di giustizia sociale, di universalismo, di salvaguardia delle risorse ambientali, di pari opportunità. Unico sistema per ritrovare la strada di una democrazia reale: partecipativa e deliberativa, basata sull’inclusione, la condivisione e il consenso. Solo così si potrà impedire, come accaduto meno di 80 anni fa, a dei Leader populisti ed estemporanei, di distruggere - questa volta definitivamente - il Pianeta.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 28 di Marzo-Aprile 2017: "Dov'è finita la democrazia?

Fonte: Attac 

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