La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 21 aprile 2017

Il regime neoliberista e il nuovo autoritarismo. Intervista a Henry A. Giroux

Intervista a Henry A. Giroux di Joao Pedro-Carañana
Il marchio del populismo di Trump e la sua politica sono una tragedia per la democrazia e un trionfo per l’autoritarismo. Usando la manipolazione, la rappresentazione sbagliata e un discorso di odio, sta mandando avanti le politiche designate a distruggere lo stato sociale e le istituzioni che rendono possibile la democrazia. I primi pochi mesi di Trump in carica offrono uno scorcio terrificante di un progetto autoritario che unisce la spietatezza del neoliberalismo con un attacco alla memoria storica, all’operato critico, all’educazione, alla parità e alla verità stessa. Mentre gli Stati Uniti forse non sono nel pieno della fioritura del fascismo degli anni ’30, sono nel momento critico di un autoritarismo violento di stile americano. Questi sono tempi realmente pericolosi quando gli estremisti di destra continuano a spostarsi dai margini al centro della vita politica.
Ho chiesto al famoso intellettuale pubblico e attivista sociale Henry Giroux, che ha scritto ampiamente circa studi culturali, studi giovanili, cultura popolare, studi sui media, teoria sociale e le politiche dell’istruzione superiore e pubblica – di discutere i nuovi sviluppi che si verificano negli Stati Uniti e le possibili strategie e tattiche per impegnarsi con successo in processi di resistenza e di trasformazione sociale ugualitaria durante l’era Trump. In questa intervista, Giroux analizza le forze dell’autoritarismo che sono all’opera negli Stati Uniti e in Europa, e sostiene che la resistenza non è semplicemente un’opzione, ma una necessità.

Cominciamo parlando dello stato attuale della politica statunitense e poi spostiamoci a guardare le alternative per il cambiamento. Quale è la sua valutazione dei primi due mesi della presidenza di Trump?
I primi due mesi della presidenza di Trump si adattano perfettamente alla sua ideologia profondamente autoritaria. Invece di essere limitato dalla storia e dal potere della presidenza, come alcuni hanno previsto, Trump, per niente dispiaciuto, ha abbracciato un’ideologia profondamente autoritaria e una politica che era evidente in molte azioni.
Primo, al suo discorso di insediamento ha riecheggiato sentimenti fascisti del passato dipingendo un’immagine distopica degli Stati Uniti segnata da massacri, da fabbriche
del tutto arrugginite, di comunità rovinate e di studenti ignoranti. Alla base di questa visione apocalittica c’era la caratteristica enfasi autoritaria sullo sfruttamento della paura, la richiesta a un uomo forte di occuparsi dei problemi della nazione, della demolizione delle istituzioni tradizionali di governo, l’insistenza sull’ ampliamento delle forze armate e un appello alla xenofobia e al razzismo per stabilire il terrore come importante arma di governo.
Secondo, l’appoggio di Trump al militarismo, al nazionalismo dei bianchi, al populismo di destra e una versione del neoliberalismo sotto steroidi, è stata resa concreta in vari gabinetto e relative nomine che consistevano per lo più di generali, di bianchi convinti della supremazia della razza bianca, di islamofobi, di addetti ai lavori di Wall Street, di estremisti religiosi, di miliardari, di anti-intellettuali, di incompetenti, di negazionisti dei cambiamenti climatici, e di fondamentalisti del libero mercato. Quello che hanno in comune tutte queste nomine è un’ideologia neoliberale e nazionalista bianca che mira a distruggere tutte quelle sfere pubbliche, come l’istruzione e i media critici che facevano funzionare la democrazia, e le istituzioni politiche, come una magistratura indipendente. Sono anche unite per eliminare le politiche che proteggono le agenzie di regolamentazione, e forniscono un fondamento per considerare responsabile il potere. C’è in gioco un fronte unito di persone dispotiche intente ad erodere quelle istituzioni, valori, risorse e relazioni sociali non organizzate in base ai precetti della razionalità neoliberale.
Terzo, Trump ha introdotto molti ordini esecutivi che non hanno lasciato alcun dubbio che era più che disposto a distruggere l’ambiente, a dividere le famiglie degli immigrati, a indebolire le agenzie di regolamentazione, a espandere un bilancio del Pentagono aumentato moltissimo, a distruggere l’istruzione pubblica, a eliminare milioni di persone dalla assicurazione sanitaria, a espellere dagli Stati Uniti 11 milioni di immigrati non autorizzati, a scatenare l’esercito e la polizia per mettere in atto il suo piano d’azione autoritario, nazionalista, bianco, e a investire miliardi nella costruzione di un muro che si erge come simbolo della supremazia bianca e dell’odio razziale. C’è in opera una cultura di crudeltà che si può vedere nell’intenzione dell’amministrazione Trump di distruggere qualsiasi programma che potrebbe fornire assistenza ai poveri, alle classi operaie e alle classi medie, agli anziani e ai giovani.
Inoltre, il regime di Trump è pieno di guerrafondai che hanno preso il potere in un tempo in cui le possibilità di guerre nucleari con la Corea del Nord e con la Russia hanno raggiunto livelli pericolosi. C’è, inoltre, la minaccia che l’amministrazione Trump intensificherà un conflitto militare con l’Iran e che si impegnerà di più in campo militare in Siria.
Quarto, Trump ha ripetutamente dimostrato una scioccante mancanza di rispetto nei confronti della verità, della legge e delle libertà civili, e così facendo ha minato la capacità dei cittadini di essere in grado di discernere la verità nella comunicazione pubblica, di controllare le ipotesi, di pesare le prove e di e di insistere su rigorosi standard e metodi etici ne ritenere responsabile il potere. Tuttavia, Trump ha fatto di più che commettere quelli che Eric Alterman chiama “i crimini pubblici contro la verità”. La fiducia pubblica crolla in assenza del dissenso, di una cultura del porre in discussione le cose, di validi argomenti, di convinzione che la verità non soltanto esiste, ma che è anche indispensabile alla democrazia. Trump ha mentito ripetutamente, arrivando perfino ad accusare l’ex presidente Obama di intercettazioni telefoniche, e quando ha affrontato la sua rappresentazione sbagliata dei fatti, ha attaccato i critici come diffusori di notizie false. Con Trump, le parole scompaiono nella nei meandri dei “fatti alternativi,” minando la capacità di dialogo civile, la cultura del porre in discussione le cose, e la stessa cultura civica. Inoltre, Trump non soltanto si rifiuta di usare il termine “democrazia” nei suoi discorsi, ma fa anche ogni cosa possibile per stabilire le fondamenta di una palese società autoritaria. Trump, nei suoi pochi mesi in carica, ha dimostrato di essere una tragedia per la giustizia, la democrazia e il pianeta, e un trionfo per un proto-fascismo in stile americano.

Lei ha sostenuto che le società contemporanee sono a un punto di svolta che sta provocando l’ascesa di un nuovo autoritarismo. Trump sarebbe soltanto il punto critico di questa trasformazione?
Il totalitarismo ha una lunga storia negli Stati Uniti e i suoi elementi si possono vedere in questa eredità di nativismo, di supremazia dei bianchi, di Jim Crow*, di ultranazionalismo e di movimenti populisti di destra, come il Ku Klux Klan e i miliziani che sono stati prevalenti nel dare forma alla cultura e alla società americana. Sono anche evidenti nel fondamentalismo religioso che ha dato forma una parte così grande della storia americana con il suo anti-intellettualismo e il disprezzo per la separazione di chiesa e stato. Si può trovare un’ulteriore prova nella storia delle grosse aziende che usano il potere statale per minare la democrazia con distruggendo i movimenti dei lavoratori e indebolendo le sfere politiche democratiche. L’ombra del totalitarismo si può vedere anche nel tipo di fondamentalismo politico emerso negli Stati Uniti negli anni ’20 nei raid di Palmer e negli anni ’50 con l’apparire del periodo di McCarthy e nella repressione del dissenso. Lo vediamo nel Memorandum di Powell negli anni ’70 e nel primo importante rapporto della Commissione Trilaterale denominata: Crisi della Democrazia, che considerava la democrazia come un eccesso e una minaccia. Abbiamo visto elementi di questo nel programma dell’FBI, COINTELPRO, che ha infiltrato i gruppi radicali e che talvolta ha ucciso i loro membri.
Malgrado questa triste eredità, l’ascendente di Trump rappresenta qualcosa di nuovo e anche di più pericoloso. Nessun presidente a recente memoria, ha dimostrato un tale sfacciato disprezzo per la vita umana, ha abolito la distinzione tra verità e finzione, si è circondato così palesemente di nazionalisti bianchi e di fondamentalisti religiosi, ha manifestato quella che Peter Dreier ha descritto come “un’inclinazione a evocare pubblicamente tutti i peggiori odi etnici, religiosi e razziali allo scopo di appellarsi agli elementi più spregevoli della nostra società e a scatenare un’impennata di razzismo, di anti-semitismo, di aggressioni di tipo sessuale e di nativismo da parte del Klu Klux Kan e di altri gruppi fautori di odio.”
Il commentatore conservatore Charles Syke ha ragione di sostenere il fatto che l’amministrazione “discrediti le fonti indipendenti di informazione, ha anche due importanti vantaggi per Trump: aiuta a isolarlo dalle critiche e gli permette di creare le sue proprie narrazioni, metriche e ‘fatti alternativi’. Tutte le amministrazioni mentono, ma quello che vediamo in questo caso è un attacco alla credibilità stessa.” Con un segnale terrificante della sua inclinazione a screditare gli organi di stampa critici e a sopprimere il dissenso, si è spinto fino al punto di etichettare i media critici, “i nemici del popolo,” mentre il suo capo stratega, Stephen Bannon, li ha chiamati “il partito di opposizione.” Ha attaccato – e in alcuni casi – licenziato – i giudici che non sono stati d’accordo con le sue politiche. Nel frattempo, ha minacciato di ritirare i finanziamenti federali alle università che pensava fossero in gran parte “abitati” da liberali e persone di sinistra, e ha accolto tutte le teorie di cospirazione della destra alternativa, allo scopo di attaccare i suoi oppositori e di dare legittimità alle sue fughe dalla ragione e dalla moralità.
Quello che si deve riconoscere è che, negli anni ’70 è emersa una nuova congiuntura storica quando il capitalismo neoliberale ha iniziato a intraprendere una guerra senza precedenti contro il contratto sociale. In quell’epoca, i funzionari eletti attuavano i programmi di austerità che indebolivano le sfere pubbliche democratiche, attaccavano aggressivamente lo stato sociale e portavano un assalto a tutte quelle istituzioni fondamentali alla creazione di una cultura critica formativa in cui gli argomenti di giustizia economica, di alfabetismo civico, di libertà e di immaginazione sociale sono allevate nel sistema di governo . Il contratto di lunga data tra lavoro e capitale è stato strappato quando la politica è diventata locale. Il potere ha cessato di essere limitati dalla geografia ed è stato incorporato in un’ élite politica con nessun obbligo verso gli stati nazione. Mentre lo stato nazione si indeboliva, era ridotto a una formazione normativa che serviva gli interessi dei ricchi, delle grosse aziende e dell’élite finanziaria. Il potere di far fare le cose non è più nelle mani dello stato; risiede ora nelle mani dell’élite globale ed è gestito dai mercati.
Ciò che è emerso con l’ascesa del neoliberalismo, è sia una crisi dello stato che una crisi dell’azione e della politica. Una conseguenza della separazione di potere e politica è stata che il neoliberalismo ha creato massicce disuguaglianze nella ricchezza, nel reddito e nel potere, promuovendo un dominio da parte dell’élite finanziaria e di un’ economia del’1%. Lo stato non è riuscito a fornire misure sociali ed è stato rapidamente ridotto alle sue funzioni “carcerarie”. Cioè, dato che lo stato sociale è stato svuotato, lo stato punitivo si è assunto sempre di più i suoi obblighi. Il compromesso politico, il dialogo e gli investimenti sociali hanno dato sempre di più la precedenza a una cultura di controlli, di crudeltà, di militarismo e di violenza.
La guerra al terrore ha ulteriormente militarizzato la società americana e ha creato la base per una cultura di paura e una permanente cultura della guerra. Le culture belliche hanno necessità di nemici e in una società governata da un’idea di interesse personale, di privatizzazione e di mercificazione, un numero sempre maggiore di gruppi sono stati demonizzati, scartati e considerati “a perdere”. Tra questi c’erano i neri, i latino-americani, i migranti non autorizzati, le comunità transessuali, e i giovani che protestavano contro il crescente autoritarismo della società americana. L’appello di Trump alla grandezza nazionale, al populismo, all’appoggio alla violenza di stato contro i dissidenti, al disprezzo per la solidarietà umana e per una cultura di lunga data di razzismo, ha una lunga eredità negli Stati Uniti, ed è stato accelerato dato che il Partito Repubblicano è stato preso dai fondamentalisti religiosi, economici e dell’istruzione. In maniera sempre crescente l’economia ha guidato la politica, ha stabilito politiche e ha favorito la capacità dei mercati di risolvere tutti i problemi, di controllare non soltanto l’economia, ma tutta la vita sociale. Con il neo-liberalismo, la repressione è diventata permanente negli Stati Uniti, dato che le scuole, la polizia locale venivano militarizzate e i comportamenti quotidiani, compresa una varietà di problemi sociali venivano criminalizzati sempre di più.
Inoltre, l’adesione distopica a una società con controllo orwelliano, si è intensificata sotto l’ombrello dello Stato di Sicurezza nazionale con le sue 17 agenzie di intelligence. Gli attacchi agli ideali, ai valori e alle istituzioni democratiche e alle relazioni sociali si sono accentuati per mezzo della complicità di organi di stampa ordinari e apologetici che si preoccupavano di più delle loro classificazioni che della loro responsabilità in quanto costituivano il Quarto Potere . Con l’erosione della cultura civica, della memoria storica, dell’educazione critica, di qualsiasi senso di cittadinanza condivisa, è stato facile per Trump creare una corrotta palude politica, economica, etica e sociale. Trump deve essere considerato come l’essenza distillata di una più ampia guerra alla democrazia creata nella tarda modernità da un sistema economico che ha sempre di più usato tutte le istituzioni ideologiche ed espressive a sua disposizione per consolidare il potere nelle mani dell’1%. Trump è sia un simbolo che un acceleratore di queste forze e trasferito una cultura di intolleranza, razzismo, avidità e odio dai margini al centro della società americana.

Quali sarebbero le analogie e le differenze riguardo alle passate forme di autoritarismo e totalitarismo?
Ci sono eco di fascismo classico degli anni ’20 e ’30 in gran parte di quello che Trump dice e di come li esegue. Le allusioni fasciste risuonano quando Trump attinge a un mare di rabbia male indirizzata, quando pubblicizza se stesso come leader forte che può salvare una nazione in declino e ripete il copione fascista di nazionalismo bianco nei suoi attacchi contro gli immigrati e i musulmani. Flirta anche con il fascismo nel suo invito a un ripristino di ultranazionalismo, nel suo parlare di odio razzista, nel suo dell’altro e nei suoi infantili capricci e attacchi per mezzo di tweet contro chiunque non sia d’accordo con lui, nel suo uso dello spettacolo per creare una cultura dell’incolpare degli “altri”, nel suo misto di politica, e di teatro mediato da una brutalità emotiva e nell’inclinazione a elevare l’emozione al di sopra della ragione, la guerra al di sopra della pace, la violenza al di sopra della critica, il militarismo al di sopra della democrazia.
La dipendenza di Trump del massiccio auto-arricchimento e della mentalità da gangster che la caratterizza, minaccia di normalizzare un nuovo livello di corruzione politica. Inoltre usa la paura e il terrore per demonizzare gli altri e per pagare un tributo a un militarismo sfrenato. Si è circondato di una cerchia ristretta di persone di destra per aiutarlo ad attuare le sue politiche sull’assistenza sanitaria, l’ambiente, l’economia, la politica estera, immigrazione e le libertà civili. Ha anche ampliato la nozione di propaganda facendola diventare qualcosa di più pericoloso e letale per una democrazia. Bugiardo abituale, ha cercato di annullare la distinzione tra i fatti e la finzione, tra gli argomenti basati sui fatti e le menzogne. Non ha soltanto rafforzato la legittimità di quella che chiamo la “macchina di disimmaginazione” ma ha anche creato, tra larghi segmenti del pubblico, una sfiducia nella verità e nelle istituzioni che promuovono il pensiero critico. Di conseguenza, è riuscito a organizzare milioni di persone che credono che la lealtà sia più importante della libertà e della responsabilità civica. Così facendo, ha svuotato il linguaggio della politica di qualsiasi significato sostanziale, contribuendo a una cultura autoritaria e depoliticizzata di sensazionalismo, di immediatezza, di paura e di ansia. Trump ha galvanizzato e ha incoraggiato tutte le forze antidemocratiche che hanno dato forma al capitalismo neoliberale in tutto il globo negli scorsi 40 anni.
Al contrario dei dittatori degli anni ’30, non ha organizzato una polizia segreta, non ha creato campi di concentramento, non ha preso il controllo completo dello stato, non ha arrestato i dissidenti oppure non ha sviluppato un sistema monopartitico. Tuttavia, mentre l’America di Trump non è una replica della Germania nazista, esprime elementi di totalitarismo in forme nettamente americane. L’avvertimento di Hanna Arendt è che piuttosto che essere una cosa del passato, elementi di totalitarismo sia più che probabile che, a metà secolo si consolidino in forme nuove. Sicuramente, come fa notare Bill Dixon, “le origini anche troppo mutevoli del totalitarismo sono ancora attive: la solitudine come registro normale della vita sociale, la legittimità delirante della certezza ideologica, l’uso abituale del terrore come strumento politico e la sempre crescente velocità e portata dei media, dell’economia e della guerra.” Le condizioni che producono il terrificante corso del totalitarismo sembrano essere su di noi e sono visibili nella negazione di Trump delle libertà civili, nell’alimentare la paura in tutta la popolazione, in un’ostilità verso lo stato di diritto e in una stampa libera e critica, nel disprezzo per la verità, e in questo tentativo di creare una nuova formazione politica per mezzo di un allineamento dei fondamentalisti religiosi, dei razzisti, degli xenofobi, degli islamofobi, degli ultraricchi e dei militaristi.

Quali sono i collegamenti tra il neoliberalismo e la comparsa del neo-autoritarismo?
Negli scorsi 40 anni, il neoliberalismo ha funzionato in maniera aggressiva come progetto economico, politico e sociale designato a consolidare la ricchezza e il potere nelle mani dei più ricchi della classe denominata 1%. Funziona attraverso registri multipli come ideologia, modalità di governance, macchina per le scelte politiche di fondo e forma velenosa di pedagogia pubblica. In quanto ideologia, considera il mercato come il principio primario che organizza la società, accettando allo stesso tempo la privatizzazione, la commercializzazione e la deregolamentazione in quanto fondamentali per l’organizzazione della politica e della vita quotidiana. Come modalità di governo, produce soggetti devoti al proprio interesse e a un individualismo sfrenato, contemporaneamente normalizzando la concorrenza da squali, il punto di vista che la disuguaglianza fa ovviamente parte dell’ordine naturale, e che il consumo è l’unico valido dovere dei cittadini. In quanto macchina politica permette al denaro di guidare la politica, svende le funzioni statali, indebolisce i sindacati, sostituisce lo stato sociale con lo stato belligerante e cerca di eliminare le misure sociali espandendo allo stesso tempo e sempre di più la portata dello stato di polizia tramite la criminalizzazione continua dei problemi sociali. Come forma di pedagogia pubblica, dichiara guerra ai pubblici valori, al pensiero critico e a tutte le forme di solidarietà che comprendono nozioni di collaborazione, di responsabilità sociale e di bene comune.
Il neoliberalismo ha creato il panorama politico, sociale e pedagogico che ha accelerato le tendenze antidemocratiche per creare le condizioni per un nuovo autoritarismo negli Stati Uniti. Ha creato una società governata dalla paura, ha imposto enormi difficoltà e colossali disuguaglianze che beneficiano i ricchi tramite politiche di austerità, ha eroso la cultura civica e formativa necessaria per produrre cittadini informati in maniera critica, e ha distrutto qualsiasi senso di cittadinanza condivisa. Allo stesso tempo, il neoliberalismo ha accelerato una cultura del consumo, di sensazionalismo, di shock e di violenza spettacolarizzata che produce non soltanto un diffuso panorama di competizione incontrollata, di mercificazione e di volgarità, ma anche una società in cui l’azione è militarizzata, resa infantile e depoliticizzata.
Nuove tecnologie che potrebbero far avanzare le piattaforme sociali sono state usate da gruppi, come il movimento Black Lives Matter (Le vite nere contano), e quando sono abbinate allo sviluppo dei media critici online, per educare e per far progredire un’agenda radicalmente democratica, hanno aperto nuovi spazi di pedagogia pubblica e di resistenza. Allo stesso tempo, il panorama delle nuove tecnologie e i media sociali convenzionali, operano nell’ambito dei un potente ecosistema neoliberale che esercita un’influenza eccessiva nell’accrescere il narcisismo, l’isolamento, l’ansia e la solitudine. Individualizzando tutti i problemi sociali in aggiunta all’elevare la responsabilità individuale all’ideale più alto, il neoliberalismo ha smantellato i ponti tra la vita privata e quella pubblica rendendo quasi impossibile tradurre i problemi privati in più ampie considerazioni sistemiche. Il neoliberalismo ha creato le condizioni per la trasformazione di una democrazia liberale in uno stato fascista, creando le fondamenta non soltanto per il controllo delle istituzioni di comando da parte dell’élite finanziaria, ma anche eliminando le protezioni civili, personali e politiche offerte agli individui in una società libera. Se l’autoritarismo nelle sue varie forme mira alla distruzione dell’ordine democratico liberale, il neoliberalismo fornisce le condizioni perché accada quella devastante trasformazione, creando una società alla deriva nell’estrema violenza, crudeltà e disprezzo per la democrazia. L’elezione di Trump a presidente degli Stati Uniti conferma semplicemente che le possibilità dell’autoritarismo incombono su di noi e hanno ceduto il passo a una forma più estrema e totalitaria di tardo capitalismo.

Secondo lei, quale ruolo hanno svolto le istituzioni educative, come le università, nella società statunitense?
Idealmente, le istituzioni educative, come l’istruzione superiore, dovrebbero essere intese come sfere pubbliche democratiche, come spazi in cui l’istruzione mette in grado gli studenti di sviluppare un appassionato senso della giustizia economica, di approfondire il senso di azione morale e politica, di utilizzare abilità critiche di analisi e di coltivare un’alfabetizzazione civica tramite la quale imparino a rispettare i diritti e le prospettive di altri. In questo caso, l’istruzione superiore dovrebbe mostrare nelle sue politiche e pratiche la responsabilità non soltanto di cercare la verità indipendentemente da dove possa portare, ma anche di educare gli studenti a rendere l’autorità e il potere politicamente e moralmente responsabili, sostenendo, allo stesso tempo, una cultura pubblica formativa e democratica. Purtroppo, l’ideale è in contrasto con la realtà, specialmente fin dagli anni ’60 quando un’ondata di lotte studentesche fatte per democratizzare l’università e renderla più inclusiva, mobilitò un attacco sistematico e coordinato all’università in quanto presunto centro di pensiero radicale e liberale. I conservatori cominciarono a concentrarsi sul modo in cui cambiare la missione dell’università così da portarla in linea con i principi del libero mercato, allo stesso tempo limitando l’ammissione delle minoranze. Le prove di tale attacco coordinato erano ovvie nelle dichiarazioni preseti nel rapporto della Commissione Trilaterale e in seguito nel Memoriale Powell che dichiarava che i sostenitori del libero mercato dovevano usare il loro potere e il loro denaro per ripigliare l’istruzione superiore agli studenti estremisti e agli eccessi della democrazia. Entrambi i rapporti, in modi diversi, chiarivano che le tendenze democratizzanti degli anni ’60 dovevano essere ridimensionate e che i conservatori dovevano difendere il mondo economico usando la loro ricchezza e il loro potere per mettere fine a un eccesso di democrazia, specialmente in quelle istituzioni educative che erano responsabile dello “indottrinamento dei giovani,” cosa che consideravano una preoccupante minaccia al capitalismo. Però, la più grossa minaccia all’istruzione superiore arrivava dalla crescente influenza del neoliberalismo alla fine degli anni ’70 e della sua assunzione di potere con l’elezione di Ronald Reagan negli anni ’80.
Durante il regime del neoliberalismo negli Stati Uniti e in tanti altri paesi, molti dei problemi che ha di fronte l’istruzione superiore, possono essere collegati a modelli di finanziamento, al dominio di queste istituzioni tramite i meccanismi di mercato, la nascita di college con scopo di lucro, la nascita di scuole private sovvenzionate, l’intrusione dello stato di sicurezza nazionale, e la lenta fine dell’autogoverno di facoltà, tutte cose che deridono proprio il significato della missione dell’università in quanto sfera pubblica democratica. Con l’attacco violento alle misure neoliberali di austerità, la missione dell’istruzione superiore si è trasformata da educazione dei cittadini ad addestramento degli studenti per forza lavoro. Allo stesso tempo, la cultura di impresa ha sostituito qualsiasi traccia di governo democratico e le facoltà si sono ridotte a umilianti pratiche lavorative in cui gli studenti vengono considerati principalmente come clienti. Invece di ampliare l’immaginazione morale e le capacità critiche degli studenti, troppe università , si dedicano ora a produrre aspiranti gestori di fondi speculativi e lavoratori non più politicizzati, e a creare modi di istruzione che promuovono una “docilità addestrata tecnicamente.” A corto di denaro e sempre più circoscritte nella lingua della cultura di impresa, molte università sono ora guidate principalmente da considerazioni attitudinali, militari ed economiche e allo stesso tempo tolgono sempre di più la produzione di conoscenza accademica ai valori e ai progetti democratici. L’ideale dell’istruzione pubblica di essere un ambito dove pensare, promuovere il dialogo e imparare il modo in cui si ritiene responsabile il potere , è considerato una minaccia per i modi neoliberali di governo. Allo stesso tempo, l’istruzione è considerata dagli apostoli del fondamentalismo del mercato uno spazio per produrre profitti e istruire una forza lavoro supina e timorosa che dimostrerà l’obbedienza richiesta dall’ordine aziendale.

Lei ha anche scritto riguardo alla necessità e alle possibilità di organizzare forze di opposizione e di cambiamento durante la presidenza Trump. In particolare, ha messo in evidenza l’importanza di ampliare i contatti tra i diversi movimenti sociali. Quali sono i gruppi che secondo lei potrebbero lavorare insieme all’interno degli Stati Uniti?
I movimenti monotematici hanno fatto molto per diffondere i principi di giustizia, uguaglianza e di integrazione negli Stati Uniti, ma spesso operano in “torri” ideologiche e politiche. La sinistra e i progressisti, nel loro insieme, hanno necessità di creare un movimento sociale unito nella difesa della democrazia radicale, nel rifiuto delle forme non democratiche do governo, e nel rifiuto dell’idea che capitalismo e democrazia sono sinonimi. C’è la necessità di unire insieme i diversi elementi della sinistra, in modo da sostenere i movimenti monotematici e anche di riconoscere i loro limiti quando si affrontano le innumerevoli dimensioni dell’oppressione politica, particolarmente dato che l’organizzazione e la razionalità del neoliberalismo ora funzionano per governare tutta la vita sociale.
E’ fondamentale riconoscere che, data la “presa” che ha il neoliberalismo sulla politica americana e lo spostamento del neofascismo dai margini al centro del potere, è fondamentale che i progressisti e la sinistra si uniscano in quelli che John Bellamy Foster ha definito i loro sforzi per “creare un potente movimento anti-capitalista dal basso, che rappresenta una soluzione del tutto diversa che mira a un cambiamento strutturale che farà epoca.”

Che cosa ne pensa della vecchia idea dell’internazionalismo? E’ meglio dedicare degli sforzi per avanzare nel fronte nazionale o a cercare di costruire alleanze tra i movimenti sociali e le forze politiche di paesi diversi in un processo più lungo? Entrambi gli approcci si possono unire?
In politica non esiste più un “fuori”. Il potere è globale e i suoi effetti toccano tutti, a prescindere dai confini nazionali e dalle lotte locali. Le minacce di guerra nucleare, di distruzione ambientale, di terrorismo, di crisi dei rifugiati, di militarismo e delle appropriazioni predatorie delle risorse, dei profitti e del capitale da parte dell’élite globale governante, indica che la politica deve essere condotta a livello internazionale per creare movimenti di opposizione che possano imparare l’uno dall’altro e sostenersi a vicenda. Dobbiamo creare un nuovo tipo di politica che tratti la portata globale del potere e il crescente potenziale sia per la distruzione di massa che per la resistenza globale di massa. Questo non significa rinunciare alla politica locale e nazionale. Al contrario: significa unire i puntini in modo che i collegamenti tra la politica locale e la politica statale possano essere capite nell’ambito della logica di più ampie forze locali e degli interessi che li determinano.

Un’altra idea fondamentale che lei sta promuovendo, è che i movimenti progressisti devono anche accogliere coloro che sono arrabbiati per i sistemi politici ed economici esistenti, ma che mancano di un quadro critico di riferimento per comprendere le condizioni della loro rabbia. Potrebbe descrivere brevemente la sua comprensione di un concetto che è così importante nel suo lavoro, come la pedagogia critica?
Seguendo dei teorici come Paulo Freire, Antonio Gramsci, C. Wright Mills, Raymond Williams and Cornelius Castoriadis, ho messo al centro del mio lavoro la consapevolezza che la crisi della democrazia non riguardava soltanto il dominio economico o la repressione totale, ma implicava anche la crisi della pedagogia e dell’istruzione. Il defunto Pierre Bourdieu aveva ragione quando affermava, nel suo libro Acts of Resistence, che la sinistra ha troppo spesso “sottovalutato le dimensioni simboliche e pedagogiche della lotta e non ha sempre forgiato le armi appropriate per combattere su questo fronte.” Ha anche affermato che “gli intellettuali di sinistra devono riconoscere che le forme più importanti di dominio non sono soltanto economiche, ma anche intellettuali e pedagogiche e stanno dalla parte della convinzione e della persuasione. E’ importante riconoscere che gli intellettuali hanno l’enorme responsabilità di contestare questa forma di dominio.” Questi sono importanti interventi pedagogici e implicano che la pedagogia critica nel suo senso più vasto fornisce le condizioni, gli ideali e le pratiche necessarie per poterci assumere le responsabilità che abbiamo come cittadini, di rivelare la miseria umana e di eliminare le conseguenze che la producono.
La pedagogia tratta del cambiamento della consapevolezza e dello sviluppo dei discorsi e dei modi delle rappresentazioni in cui le persone possono riconoscere loro se stesse e i loro problemi. Ci mette in grado di investire in una lotta sia individuale che collettiva. Argomenti di responsabilità, di azione sociale e di intervento politico, non si sviluppano semplicemente dalla critica sociale, ma anche da forme di auto-riflessione, di analisi critica e di impegno comunicativo. In breve, qualsiasi progetto democratico radicale deve incorporare la necessità che gli intellettuali e altri si dedichino alla pedagogia critica non soltanto come modo di speranza ragionata e di elemento fondamentale di un progetto educativo insurrezionale, ma anche come pratica che affronti la possibilità di interpretazione come forma di intervento nel mondo.
E’ fondamentale riconoscere che qualsiasi approccio fattibile a una politica democraticamente ispirata deve accogliere la sfida di mettere in grado le persone di riconoscere e di investire qualcosa di loro stesse nel linguaggio, nelle descrizioni, nell’ideologia, nei valori e nelle sensibilità usate dalla sinistra e da altri progressisti. Questo significa assumersi il compito di fare qualcosa di significativo per renderlo critico e trasformativo. Ugualmente importante è la necessità di dare alle persone la conoscenza e le abilità di comprendere il modo in cui i problemi privati e quotidiani si collegano a strutture più ampie. Come ha osservato Stuart Hall: “Non si può soltanto dipendere dalla logica strutturale che è alla base. Si pensa quindi a che cosa è probabile che risvegli l’identificazione. Non esiste politica senza identificazione. Le persone devono investire qualcosa di loro stesse, qualcosa che riconoscono gli appartenga o che attesti la loro condizione; senza quel momento di identificazione …non si avrà un movimento politico.”
La pedagogia critica non può né essere ridotta a un metodo e non è non direttiva, come una conversazione spontanea con amici davanti a tazza di caffè. Come nel caso degli intellettuali pubblici, l’autorità deve essere riconfigurata non come un modo per soffocare la curiosità e attenuare l’immaginazione, ma come una piattaforma che fornisce le condizioni per cui gli studenti apprendano le conoscenze, le abilità, i valori e le relazioni sociali che accrescono le loro capacità di assumere l’autorità rispetto alle forze che modellano la loro vita sia dentro che fuori della scuola. Per anni ho sostenuto che la pedagogia critica deve essere pronta a dedicarsi al potenziale democratico del modo in cui l’esperienza, la conoscenza e il potere vengono modellate, sia nelle aule che in più ampie sfere pubbliche e in apparati culturali, estendendosi dai media sociali e da internet alla cultura cinematografica e ai media critici e convenzionali. In questo senso, la pedagogia critica e la stessa istruzione devono diventare sia essenziali per la politica che legati al recupero della memoria storica, all’abolizione delle ingiustizie esistenti. Qui c’è in gioco una “versione ottimista di democrazia in cui l’esito è una società più giusta, equa che opera per la fine dell’oppressione e della sofferenza di tutti.

Possiamo concludere l’intervista guardando al futuro con un certo ottimismo consapevole. Può spiegarci il concetto di speranza militante?
Qualsiasi contatto con l’attuale momento storico deve essere modellati con un senso di speranza e di possibilità, in modo che gli intellettuali, gli artisti, i lavoratori, gli educatori e i giovani possano immaginare in modo diverso per agire in modo diverso.
Mentre molti paesi sono diventati autoritari e repressivi, ci sono dei segnali che il neoliberalismo nelle sue varie versioni attualmente viene contestato, specialmente dai giovani, e che l’immaginazione sociale è ancora viva. Le patologie del neoliberalismo stanno diventando sempre più ovvie e le contraddizioni tra il governo di pochi e gli imperativi di una democrazia liberale sono diventati sempre più irritanti e visibili. Il vasto supporto a Bernie Sanders, specialmente tra i giovani, è un segno di speranza, come lo è il fatto che molti americani prediligono programmi progressisti, come l’assistenza sanitaria garantita dal governo, la previdenza sociale e tasse più alte per i ricchi.
Affinché la resistenza non scompaia nella nebbia del cinismo, l’urgenza del momento presente richiede di riconoscere che la realtà crudele e dura di una società che trova ripugnanti la giustizia, la moralità e la verità, deve essere ripetutamente contestata o come scusa per ritirarsi dalla vita politica o come crollo di fiducia nella possibilità di cambiamento. Una speranza militante dovrebbe incoraggiare un senso di indignazione morale e la necessità di organizzarsi con grande intensità. Non ci sono vittorie senza lotte. E mentre stiamo forse entrando in un momento storico che si è ribaltato, diventando un autoritarismo senza vergogna, tali momenti sono tanto ottimisti quanto pericolosi. La necessità di questi momenti può stimolare le persone facendole arrivare a una nuova comprensione del significato e del valore di resistenza politica collettiva.
Ciò che non si può dimenticare è che nessuna società è priva di resistenza, e che la speranza non può mai essere ridotta semplicemente a un’astrazione. La speranza deve essere consapevole, concreta e fattibile. La speranza astratta non è sufficiente. Abbiamo bisogno di una forma di speranza e di pratica militante che si impegni con le forze dell’autoritarismo sul fronte educativo e politico, in modo che diventi un fondamento per quella che potrebbe essere chiamata speranza in azione, cioè, una nuova forza di resistenza collettiva e un veicolo per la rabbia trasformata in lotta collettiva, un principio per rendere poco convincente la disperazione e possibile la lotta. Nulla cambierà, a meno che le persone comincino a prendere sul serio i fondamenti culturali e soggettivi profondamente radicati dell’oppressione negli Stati Uniti e che cosa potrebbe richiedere di rendere significativi tali problemi in modi sia personali che collettivi, allo scopo di renderli critici e trasformativi. Questo è fondamentalmente un interesse pedagogico e anche politico. Come mi ha spiegato Charles Derber, sapere “come esprimere delle possibilità e trasmetterle in modo autentico persuasivo sembra di importanza fondamentale” se deve esserci una qualsiasi idea di resistenza.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Truthout
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

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