La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 31 marzo 2016

Democratizzazione o barbarie: lettera aperta a Varoufakis dopo il lancio di DiEM 25


di George Souvlis e Samuele Mazzolini 
Caro Yanis, abbiamo deciso di scriverti dopo aver seguito attentamente il lancio di DiEM 25 a Roma, il 23 marzo. Questa nostra lettera si propone di discutere una serie di aspetti della tua iniziativa che abbiamo trovato poco convincenti, facendone una critica costruttiva. Chiariamo subito perciò che il nostro obiettivo non è né di bocciare a priori il progetto né di fare i saputelli che sanno meglio di chiunque altro com’è che vanno fatte le cose (atteggiamento non del tutto sconosciuto all'universo della sinistra). Desideriamo piuttosto formulare pubblicamente alcune domande che - sospettiamo – sono già venute in mente a molti e intorno alle quali si è già discusso in modo informale: domande che possano fungere da scintille per una correzione in meglio dell'iniziativa in oggetto.
Cominciamo dall'identità del DiEM 25. Hai ripetuto più volte che DiEM 25 è un 'movimento' che lotta per la democratizzazione dell'Europa tentando di modificare il contenuto delle strutture esistenti dell'Unione Europea. Ci sfugge tuttavia “chi” sia esattamente DiEM 25, e chi il suo 'nemico'. Più precisamente, contro che cosa stai combattendo? Il tuo nemico sono le strutture dell'Unione Europea? Oppure le élite economiche? O soltanto i burocrati di Bruxelles? E DiEM stesso, è costituito da individui, ovvero da gruppi preesistenti, oppure si tratta fondamentalmente di una storia che riguarda Yanis Varoufakis?
Può anche essere troppo presto per trovare risposte definitive entro questa problematica - dopo tutto certe cose diventano più chiare solo attraverso i loro sviluppi - ma ci sembra di osservare un’incertezza di fondo nello stesso atto fondativo del movimento sociale che stai tentando così alacremente di costruire. Ogni movimento sociale degli ultimi dieci anni o giù di lì si è definito rispetto alla questione del 'chi' – rispetto tanto al ‘chi siamo noi' quanto al ‘chi sono loro’ - anche nei casi in cui il movimento è emerso come risultato di processi molto complessi e contraddittori. Ad esempio, il movimento anti-globalizzazione ha concentrato le proprie critiche e il proprio attivismo contro le multinazionali responsabili di sottrarre potere politico agli Stati attraverso accordi commerciali e mercati finanziari deregolamentati. La questione dell'identità è in effetti cruciale non solo per astratte ragioni di natura psicoanalitica, ma proprio da un punto di vista strategico.
La dimensione strategica è fondamentale, e riveste ulteriore importanza se si considera un altro aspetto della tua iniziativa. La fisionomia ambigua del DiEM 25 è ulteriormente accentuata dal considerare l'affiliazione politica delle persone che si uniranno ai tuoi sforzi un criterio irrilevante; come letteralmente affermi: "Non siamo una coalizione di partiti politici. L'idea è che chiunque può unirsi a noi indipendentemente dall’appartenenza politica o ideologica, perché la democrazia può essere un tema unificante".
Ci rendiamo conto che DiEM vuole andare al di là della ristretta cerchia dei ‘convertiti’; ma va osservato che avrebbe poco senso aderire ad un partito conservatore (o anche socialdemocratico, se è per questo) e nel contempo al DiEM. In questo modo DiEM 25 corre il rischio dell’ ‘apoliticismo’, in quanto si trascura il fatto che le differenze tra le varie tradizioni politiche non si limitano ad un astratto e innocuo piano ideale, ma investono il significato e la nozione del processo democratico in quanto tale. Non dimentichiamo, ad esempio, che nella maggior parte delle nazioni europee all’inizio del XX secolo l’idea liberale e quella aristocratica della liberal-democrazia non prevedevano la partecipazione delle classi subalterne: il loro coinvolgimento politico è stata ottenuto solo attraverso strenui processi di lotta. In altre parole, il contenuto sostanziale della democrazia non era qualcosa di dato, bensì una questione di lotta e di definizione.
Riteniamo ciò che sta accadendo oggi per molti aspetti simile: la destabilizzazione delle istituzioni rappresentative che si accompagna alla crisi economica e politica mette in discussione il significato stesso di democrazia. Mentre l'establishment politico considera lo stato di eccezione imposto ad un certo numero di paesi come democratico, i nuovi movimenti di protesta emersi nel corso del 2011 (Indignados in Spagna, Aganaktismeni in Grecia, Occupy Wall Street negli Stati Uniti) hanno rivendicato a loro volta il concetto di democrazia. Si tratta forse della medesima cosa? Servono forse interessi simili, queste diverse idee di democrazia? Non si tratta per caso di interpretazioni contraddittorie di tale nozione?
Noi non contestiamo la necessità di svincolare le persone dalle loro precedenti identificazioni politiche, né che ciò richieda apertura nei confronti di coloro che provengono da percorsi differenti dal nostro. Ciò che va evitato, tuttavia, è una strategia frontista sotto mentite spoglie, che non riconosce come l’attuale deficit democratico sia il frutto della irresponsabilità di quelle stesse tradizioni politiche oggi acriticamente evocate. Passando al livello europeo e considerando che gli obiettivi della DiEM 25 si limitano alla ‘ri-democratizzazione’ delle strutture UE, ritieni davvero che persone con assai differenti concezioni della democrazia stessa possano agire di concerto? In proposito siamo molto dubbiosi.
Questo ci porta a un altro problema strategico: che cosa esattamente deve essere fatto? Sembra che DiEM scommetta esclusivamente sulla dimensione europea, bypassando del tutto quella nazionale. Si tratta di una mossa convincente? E fino a che punto essa può risultare efficace? E’ davvero necessario cancellare del tutto lo Stato dal novero dei luoghi di riforme democratiche e progressive, e considerarlo soltanto un'ossessione obsoleta e fuori moda? Noi crediamo di no! Consideriamo invece il radicale ristabilimento della democrazia all'interno dei vari Stati-nazione altrettanto importante dell'azione a livello europeo. Mantenere come orizzonte politico sia lo Stato-nazione che l'Europa non significa trincerarsi dietro una forma di nazionalismo passatista, come molti simpatizzanti di DiEM sostengono.
Da questo punto di vista è particolarmente grave che nell'argomentazione che hai svolto a Roma fossero totalmente ignorate altre esperienze di resistenza contro le politiche di austerità. Infatti, se in questi ultimi tempi s’è fatto qualche passo concreto verso lo smantellamento del neoliberismo, ciò è avvenuto esclusivamente in America Latina. Siamo perfettamente consapevoli che i recenti modelli politici latino-americani sono oggi in crisi, e siamo consapevoli del profondo sospetto nutrito nei loro confronti da diversi settori della sinistra europea. Ma questo non ci deve portare a buttar via il bambino con l'acqua sporca. La cecità di fronte alle tante conquiste registratesi in America Latina negli ultimi dieci anni o giù di lì sarebbe grossolano euro-centrismo.
In quelle esperienze ci sono al contrario parecchie lezioni da apprendere, cosa che – bisogna ammetterlo – ha saputo fare Podemos. Una di queste è il riconoscere il fatto che lo Stato-nazione è certamente in difficoltà, ma il suo certificato di morte non è stato ancora rilasciato. La neutralizzazione del ‘Washington Consensus’ e dei suoi pacchetti di stabilizzazione è stata infatti raggiunta attraverso una riattivazione dello Stato-nazione, su due diversi livelli.
Ad un primo livello, lo Stato-nazione è servito da luogo di identificazione. Nonostante il suo forte internazionalismo regionale, la ‘marea rosa’ latino-americana è stata innanzitutto un insieme di fenomeni nazionali. Il Venezuela di Chávez ha funzionato da potente fonte di ispirazione, ma ciascuna esperienza ha manifestato in pieno le proprie distinte peculiarità, che hanno portato ad un accesso al potere caso per caso, seguito da una convergenza inter-statuale in una fase successiva (ALBA, UNASUR , CELAC). In altre parole, i progetti politici progressisti latinoamericani hanno dimostrato l'importanza di parlare la ‘lingua’ della data nazione e della sua gente: una lingua, beninteso, espunta di qualsiasi connotazione sciovinista o razzista. Anche se lo spirito bolivariano ha pervaso in misura diversa tutti quanti questi processi, è stato il riferimento ai problemi materiali concreti e alle questioni relative a ciascun paese che ha reso Chávez, Morales, Correa e i Kirchner popolari ed elettoralmente egemoni.
DiEM, al contrario, sembra porre troppa fiducia su uno spirito cosmopolita europeo, in un continente dove le differenze culturali e linguistiche sono cento volte più pronunciate che in America Latina. Si tratta di un linguaggio politico che corre il rischio di rimanere inascoltato proprio dalle persone che pagano maggiormente il deficit democratico, e alle quali la tua iniziativa dovrebbe invece essere in grado di rivolgersi.
In secondo luogo, in America Latina lo Stato è stato utilizzato in funzione del raggiungimento di obiettivi democratici. Un compito non facile, in un contesto nel quale molte delle funzioni amministrative dello Stato erano stato smantellate in nome degli equilibri di mercato, e la burocrazia era ormai fortemente impregnata di un ethos neoliberista. Ciononostante, e pur trovandosi ‘alla periferia del mondo’, lo Stato così ‘ri-orientato’ è stato spesso in grado di lanciare al capitale globale sfide che venivano date per inconcepibili e irrealistiche dal mantra neoliberista.
Con ciò non intendiamo negare che il capitale finanziario globalizzato eserciti pressioni difficili da fronteggiare a livello nazionale e che molti dei dilemmi che l'Europa si trova ad affrontare richiedano sforzi su vasta scala, come ad esempio nel caso della crisi dei profughi. Tuttavia escludere ogni possibilità di azione a livello statuale è una semplificazione eccessiva, soprattutto se la Grecia è presa come unico esempio (altri paesi, la Spagna in primis, avrebbero ben altro potere contrattuale nei confronti del creditori). Ciò significa inoltre che è solo indirizzando i nostri sforzi dove ci sono possibilità realistiche di risultati tangibili che qualche passo verso la democratizzazione dell'Europa può esser compiuto.
La sensibilizzazione a livello continentale è di fondamentale importanza. Ma lasciata a se stessa giunge prima o poi ad un suo esaurimento. Se non è accompagnata dal tentativo di trasformare le istituzioni europee, la mera richiesta di democratizzazione delle istituzioni stesse è improbabile che possa metter capo ad un reale cambiamento. E tale trasformazione può passare solo attraverso lo Stato-nazione, dacché un terreno politico europeo in senso pieno, ove si possano interpellare tutti quanti i cittadini, non esiste ancora; e date le asimmetrie demografiche e di potere, c’è da chiedersi fino a che punto la sua formazione sia attualmente auspicabile.
Da ultima - ma non per importanza, Yanis! – vi è la questione della democrazia all'interno di DiEM 25.
Siamo rimasti negativamente colpiti dal fatto che nessuno, a parte te, abbia parlato in nome di questo progetto politico, e che la questione delle strutture di rappresentanza all'interno di DiEM 25 sia rimasta mal-definita. E’ mai possibile, Yanis, cercare di democratizzare qualcosa della portata dell'Unione Europea, senza avere alle spalle solide strutture democratiche all'interno del tuo stesso progetto trasformativo? Non è forse tale lacuna in contrasto con i tuoi stessi obiettivi? Pensiamo che a questo proposito tu abbia del tutto obliterato la recentissima esperienza di Syriza.
A nostro modo di vedere, il tentativo di Syriza è fallito miseramente non solo perché la leadership del partito ha scelto la strategia sbagliata nei suoi negoziati con le istituzioni, ma anche perché ha abolito anche le forme più elementari di funzionamento democratico all'interno del partito prima e durante il periodo dei negoziati. Le strutture di partito sono stati messe in condizione di non nuocere ed una piccola minoranza – il ‘gruppo Tsipras’- ha dominato l’intero processo decisionale. Questa burocratizzazione del partito ha promosso una versione assai distorta della lotta politica, ritenendo che le persone e i movimenti sociali non dovessero avere voce in capitolo, e che la conduzione del partito spettasse esclusivamente ad un’élite. Sappiamo bene come è andata a finire. Temiamo davvero che Diem 25 possa fare la stessa fine, se seguitasse ad essere uno one-man show.
Consideriamo la formazione di strutture realmente democratiche entro questa tua iniziativa politica come una necessità imprescindibile, se si intende evitare un'involuzione simile a quella di Syriza. Inutile dire che questo processo dovrebbe anche avere un equilibrio di genere e che chi vi partecipa dovrebbe provenire da differenti background sociali e culturali. L'esperienza e il know-how dei vari movimenti sociali dovrebbero essere componenti fondamentali nel rendere DiEM una struttura più solida e democratica. Questo è l'unico modo attraverso il quale DiEM può radicarsi nella società e allontanarsi dall’elitarismo e dal leaderismo.
Tale processo potrebbe garantire la trasparenza democratica di DiEM, nonché la marginalizzazione degli opportunisti che tenteranno di utilizzarlo quale veicolo dei propri interessi. Riassumendo, crediamo che DiEM 25 abbia di fronte lo stesso dilemma dell'UE: Democratizzazione o Barbarie!
Cordiali saluti.

“Democratizzazione o Barbarie” è l’alternativa posta in questo incisivo intervento, che appare in inglese su LeftEast. George Souvlis studia per il PhD in Storia presso l’Istituto Universitario Europeo di Firenze e scrive per varie testate di sinistra (Jacobin, ROAR, Enthemata Avgis); Samuele Mazzolini (MA in Latin American Studies ad Oxford) ha lavorato come consulente per il governo dell’Ecuador, scrive tuttora per il quotidiano di quel paese El Telégrafo e studia Ideology and Discourse Analysis presso la University of Essex.

Traduzione di Pavlov Dogg
Fonte: Palermograd 

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