La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 1 aprile 2016

Guidi, Confindustria e le trivelle

di Andrea Ranieri
Fa un po' impressione che in Confindustria abbia vinto la linea della continuità proprio il giorno che scoppia il caso della ministra Guidi. Che non è un episodio, ma la conseguenza degenerata di un rapporto fra Confindustria e governo in cui le attività di lobbing sono ormai il cuore della organizzazione degli imprenditori.
Man mano che si affievoliva la capacità di rappresentanza politica e sociale, che passavano in secondo piano i temi della politica industriale della relazioni sindacali, Confindustria ha lavorato a recuperare ruolo e potere provando a fare da tramite fra gli interessi della propria struttura e dei propri aderenti e le scelte di governo, accreditandosi come il canale privilegiato per ottenere dal governo finanziamenti, e provvedimenti normativi di favore. L'ha fatto con Berlusconi, ha provato a farlo, con alterni successi, anche con Prodi e con D'Alema.
Disturbata nel compito da quanto sopravviveva della struttura storica della relazioni industriali. Il contratto nazionale, i tavoli di confronto sulle scelte di politica industriale e del lavoro. Con Renzi questa tendenza ha raggiunto il suo punto massimo. Si sposava perfettamente con la linea decisionista del governo tesa a marginalizzare tutti gli elementi di confronto con le parti sociali e l'idea stessa di concertazione.
La disintermediazione proclamata dal Premier sulle grandi scelte di politica economica e sociale si sposava perfettamente con la pratica minuta di intermediazione con gli interessi contingenti del tessuto industriale del nostro Paese a cui Confindustria si era attrezzata. La ministra Guidi era il centro di questa nuova alleanza. Il suo conflitto di interessi era, per così dire, strutturale.
La continuità proclamata da Boccia, il nuovo presidente di Confindustria, è con questa storia e con queste pratiche. Raccoglie intorno a se la parte meno moderna e innovativa della industria italiana, e i nuovi boiardi di Stato, molto peggiori dei precedenti perché in essi è svanita ogni distinzione fra ruolo pubblico e interessi privati. Vacchi, lo sconfitto, non è certo un rivoluzionario, ma aveva il grande difetto di pensare che il primo terreno di confronto con la politica e con il governo deve avvenire sul terreno delle politiche industriali, e che la contrattazione coi sindacati è una risorsa preziosa per l'innovazione delle imprese e per il Paese. Un po' troppo per una Confindustria schiacciata sul lavoro di lobbing e per un governo che ha fatto delle nomine nei centri di potere e della intromissione quotidiana nel mercato della finanza e degli affari il suo fondamentale centro di interesse. Facendo della debolezza strutturale di gran parte della nostra industria e del nostro sistema finanziario la giustificazione di un interventismo minuto e invasivo.
Il loro presidente lo hanno deciso come è giusto, a stretta maggioranza, gli industriali. E pur tuttavia credo che l'opinione pubblica debba farsi sentire perché quelle scelte in qualche modo influiranno sulla nostra vita e sul nostro futuro. Una prima possibilità l'avremmo col referendum il 17 di aprile. Perché non è un caso che il conflitto di interessi, l'intreccio perverso tra potere pubblico e interessi privati, diventi più acuto e dirompente quando si tratta di petrolio, come nel caso che è costato il posto alla ministra Guidi. Perché l'industria del petrolio ha più di ogni altra bisogno di una rapporto stretto col potere politico, di avere amici nei governi del mondo. In Arabia Saudita, in Egitto, in Italia. Liberarsi dalla dipendenza energetica dei combustibili fossili non è solo necessario per salvare la vita sul pianeta, ma è un passo decisivo per la trasparenza e la moralità della vita pubblica. Bloccare la durata illimitata, fino ad esaurimento del giacimento, delle concessioni per le trivelle è un primo passo in questa direzione.

Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore

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