La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 20 agosto 2016

Allarme rosso globale per l'economia italiana?

di Giovanni Principe
In giro, nell'establishment economico-finanziario internazionale, sembra ci sia allarme rosso. Non per il fatto in sé che l'economia italiana va male, visto che il classico 1% fa ancora buoni affari nel nostro paese. Preoccupa piuttosto che i numeri del disastro economico italiano stiano accentuando ulteriormente il declino dei consensi per il premier, che di quella politica è responsabile (o, almeno, dovrebbe essere considerato tale: che lo sia davvero è da dimostrare). Ai numeri il governo risponde con la narrazione... Sul da farsi c'è però grande confusione, se non panico.
Per il trio Sensi-Messina.Renzi no: nessun panico. Per loro la soluzione è sempre la stessa, la narrazione. La prima nota ufficiale, emanata dal Tesoro (“era tutto previsto”) è stata un autogol clamoroso: appena qualche mese prima avevano costruito il DEF su una previsione (+1,2%) che nessun istituto serio osava avallare; dopo, comunque, non hanno mosso un dito per porre riparo. Ora devono farlo e la narrazione segue il solito copione, promesse e specchietti per allodole.
Si parla di lotta alla povertà, ma si tratta di 100-200 milioni in più sul Sostegno all'Inclusione Attiva, una misura istituita da Letta che riprendeva (a titolo sperimentale) una misura (sperimentale anch'essa) del centrosinistra nel 2000, il Reddito di Inserimento, che Berlusconi arrivando al governo aveva immediatamente cancellato. Renzi, proprio come Berlusconi, l'aveva lasciata cadere (“non dobbiamo regalare pesci ma canne da pesca”) per tornare sui suoi passi e mettere a bilancio per il 2016 qualche spicciolo visto che la povertà era in forte crescita e i sondaggi in forte calo.
Si parla di Assegno di Ricollocazione per i disoccupati, ma è una misura che esiste da oltre un decennio che, si promette, finalmente funzionerà (perché invece delle Regioni sarà un'Agenzia statale a occuparsene!); proprio come si fa con la Riforma della P.A., repertorio di ricette vecchie di 20-30 anni che ora dovrebbero finalmente dare risultati.
Si parla di flessibilità in uscita per le pensioni, ma quella che era prevista nella riforma Dini (secolo scorso, 1995) era stata sacrificata da Tremonti e poi da Monti: la trovata sarebbe quella di farne pagare il costo a chi va in pensione (con un interesse – minimo, si intende – a favore delle banche). E, sempre guardando al bersaglio grosso, ai pensionati, si torna a parlare di aumento delle pensioni minime: gli 80€ agli incapienti (pensionati soprattutto) non sono stati dati, quelli no perché si mirava al ceto medio. Adesso si dovrebbero accontentare di una trentina di euro (promessi prima del referendum ma da varare a dicembre con il Bilancio 2017). Se Bruxelles autorizza.
E in tema UE, dovendo rimediare ulteriori margini di flessibilità, l'altra mossa ad effetto è il vertice di Ventotene. Per rilanciare il sogno europeo? Figurarsi: per concedere alla Merkel di allungare i tempi con la Gran Bretagna, così da attutire gli effetti della Brexit. In cambio di che? Dell'appoggio tedesco alla petizione rivolta alla UE perché ci permetta di continuare a far crescere il debito.
... ma la politica economica non cambia
Questi dovrebbero essere i “segnali” di una svolta nella politica economica. Ma, a fare un po' di conti, stiamo parlando di promesse che costano, tenendosi larghi, qualche miliardo. Per che cosa, quindi, servono altre decine di miliardi di flessibilità (a parte la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia, già nel conto)? Per il taglio dell'IRES (selettivo, giustamente: se non fosse che possiamo immaginare i criteri di selezione), per le grandi opere affidate a Del Rio (ricordate la lavagna di Vespa?) e le infrastrutture per la crescita. Che poi sono, al singolare, la rete di connessione ultra-veloce. Grosso affare su cui è in corso una guerra mondiale tra i grandi gruppi privati, ormai in mani estere (dopo aver quasi certamente tolto di mezzo l'ormai superfluo Berlusconi) e quelli infeudati, ENEL capofila (in nome dell'italianità, ricordate Alitalia?).
Con molto ottimismo, si dovrebbe credere che questo pacchetto, infiocchettato da testate nazionali e TV, dovrebbeconvincere gli indecisi che Renzi ha ancora in serbo energie e idee per tirare fuori il paese dalla crisi. Ma la realtà va in un'altra direzione, i sondaggi registrano che la gente crede sempre meno alle successive riedizioni della stessa storia.
Perché la storia, la linea di Renzi, non può cambiare ed è questo che preoccupa, davvero, le élite che intendono continuare a gestire le leve della politica mondiale.
Il dopo Renzi come un salto nel buio? Già visto, dopo Berlusconi
Preoccupa più della Brexit? Forse sì, nel senso che temono che Renzi si riveli un investimento peggiore di Cameron. Solo che Renzi avrebbe una scusante in più, perché finora ha eseguito diligentemente, quasi pedissequamente, i loro dettami ed è dunque dal loro stesso mondo che partono le radici della crisi dell'”ultima ruota del carro”.
Il motivo del panico è che se ne stanno rendendo conto.
La carta che stanno tentando è quella di rovesciare il panico, il terrore dell'ignoto, sugli elettori. Via Renzi, quale sarà il vostro futuro?
La prima sortita in questa direzione l'ha fatta, già in luglio a Termoli, la Boschi (a cui non manca il fiuto per capire da che parte soffia il vento) ma non ha avuto grande successo. Il problema è che la mossa non è nuova, essendo stata usata per evitare che, cacciato Berlusconi, cambiasse anche la musica. Gli italiani, assaggiato Monti, ora capiscono l'antifona: la minaccia, in concreto, non serve a far vincere Renzi ma a impedire un cambio di rotta, anche se vince il No.
Il fatto però è che neanche questo scenario, e neanche la vittoria nel referendum, tranquillizza le élite. Perché senza un cambio di rotta le cose non potranno che andare sempre peggio, ma faranno di tutto perché la rotta non cambi.
È andata bene fin qui (per loro): dopo la caduta di Berlusconi quando la spinta delle amministrative e del referendum si è arenata sulle larghe intese di Monti; quando il nuovo clima politico doveva far riconquistare maggioranza e governo al centro-sinistra ma il PD ha preferito il voltafaccia: mano tesa ai centristi in campagna elettorale, sgambetto a Prodi nelle presidenziali e di nuovo larghe intese recuperando Berlusconi (che aveva mollato Monti); infine, quando si sono affidati al progetto DC 2.0 di Renzi e a una riforma per concentrare il potere nelle sue mani. Ma sanno che ora neanche le alchimie antidemocratiche riusciranno a fermare la spinta al cambiamento.
Senza un cambiamento radicale le cose andranno sempre peggio
Il dilemma è micidiale, ma anche abbastanza elementare. Se non bastano i segnali, servono misure che modifichino in modo sostanziale – altro che narrazione! – gli equilibri sociali in Italia, con ripercussioni prevedibili su scala globale. Non è uno scherzo per il potere economico-finanziario.
Che cosa significa? Quali sono quelle misure?
Non è questa la domanda da porsi, non sono le ricette che mancano. Non solo perché le conoscono gli esperti e perché se ne hanno esempi concreti nel mondo. Ma anche perché chiunque non sia totalmente sprovveduto e sia semplicemente in buona fede sa perfettamente che cosa significa. C'è bisogno di ripetere la lista? Di spiegare ancora perché il reddito garantito, o la progressività fiscale? O che significa il sostegno a un'economia innovativa, orientata alla crescita sociale? O perché promuovere forme di democrazia partecipata, reti di comunicazione orizzontali, imprenditoria sociale? O la differenza tra l'obiettivo di includere e aprire spazi e prospettive per la crescita delle persone. e quello di estrarre il massimo profitto privato?
Gli “esclusi” delle periferie, i lavoratori privati di reddito, dignità e futuro, i “connessi istruiti” costretti a rinunciare ai loro saperi, gli stranieri tenuti in una condizione di schiavitù come toccava ai vinti delle guerre antiche, tutta questa parte preponderante della popolazione sa perfettamente chi è in credito e chi in debito nei confronti della Repubblica, chi paga e chi riceve; sanno a favore di chi e contro chi sono le leggi che si varano; sanno a chi e per quali fini lo Stato ne impone il rispetto e a chi e per quali fini è concesso di non rispettarle.
Il problema non è sapere cosa fare dopo. Questo è chiaro, e l'establishment lo sa e lo teme.
Il problema è convincere quella parte (il 99%!) che lo si vuole fare davvero. 

Fonte: blog dell'Autore 

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