La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 20 agosto 2016

La guerra del coltan

di Cinzia Palmacci
Di tutti quelli che leggeranno questo articolo, certamente solo una minima percentuale potrà dirsi realmente informata di questi conflitti per l'approvvigionamento di materie prime che fanno più morti delle due guerre mondiali messe insieme. E il tutto nel più assoluto silenzio dei mass media ufficiali.
L’Africa è forse oggi il continente più ricco di minerali preziosi: possiede il 30% delle riserve mondiali da cui si ricavano oro, argento, rame, cobalto, uranio, coltan, stagno, tungsteno, fosfati e manganese. Il legame tra risorse naturali e conflitti è presente in circa il 20% dei conflitti nel mondo. In Africa sono in atto 33 conflitti legati alle risorse.
E non si può parlare di conflitti senza tener conto del commercio delle armi: U.S.A., Russia, Cina, Germania, Francia, U.K., Spagna, Italia, Ucraina e Israele sono i maggiori fornitori di armi in Africa. Un caso emblematico è la Repubblica Democratica del Congo che possiede l’80% delle riserve mondiali di coltan (una sabbia nera presente nei condensatori dei cellulari e computer) e il 47% di riserve di cobalto, utilizzato per le batterie dei cellulari. E’ inoltre ricco di oro, diamanti, stagno, carbone, ferro, zinco, piombo, rame, manganese. A causa delle estrazioni di coltan la popolazione ha visto espropriate le proprie terre e gran parte degli introiti delle miniere finanziano la guerra, con conseguenze devastanti per la popolazione: insicurezza, violenza, fame, mancanza di servizi, illegalità, corruzione e migrazione. 
La columbite­tantalite o columbo­tantalite (per contrazione linguistica congolese Coltan) è una miscela complessa di columbite e tantalite, due minerali della classe degli ossidi che si trovano molto raramente come termini puri (il Brasile possiede il 5% delle riserve mondiali, la Thailandia anche il 5%, l’Africa l’80% e l’Australia il 10%). Per questo il Coltan è chiamato l’oro bianco, ed è una risorsa strategica, essenziale per lo sviluppo di nuove tecnologie. Serve per la fabbricazione di telefoni cellulari, GPS, satelliti, armi guidate, televisori al plasma, console per videogiochi, computer portatili, PDA, MP3, MP4, razzi spaziali, missili, giocattoli elettronici, macchine fotografiche e molto altro ancora. Nelle miniere africane i metodi di lavoro sono simili a quello dei vecchi cercatori d’oro del West americano. Un buon lavoratore può produrre un chilo di Coltan al giorno. Il guadagno di un lavoratore medio congolese è di 10 dollari al mese, mentre un lavoratore del Coltan guadagna da 10 a 50 dollari alla settimana. Il boom tecnologico ha fatto schizzare il prezzo del Coltan a 500 dollari al chilo. Aziende come Bayer, Nokia e Sony se lo contendono. I minatori sono spesso giovani agricoltori e allevatori che lasciano i loro campi. 
Migliaia di bambini, i cui corpi possono muoversi più agevolmente sottoterra nelle anguste gallerie delle miniere. Sempre sorvegliati dai soldati. Le conseguenze di questa situazione sono che boschi e campi si trasformano in pantani, i ragazzi e le ragazze non vanno più a scuola, si diffondono molte malattie per mancanza di acqua pulita, cibo, turni e condizioni lavorative estenuanti. Inoltre proliferano diversi gruppi armati che controllano le miniere. Si stima che ogni chilo di Coltan che viene estratto costi la vita di due bambini, molti dei quali muoiono a causa di frane. Altre gravi conseguenze sono migliaia di spostamenti forzati, migliaia di civili fuggiti dalle loro case, milioni di rifugiati, violazione dei diritti fondamentali di anziani, donne e ragazze. I lavoratori del Coltan smettono di coltivare la loro terra, lavorano dall’alba al tramonto, e dormono e mangiano nella zona selvagge di montagna. Non sono solo gli uomini a subire le conseguenze dell’estrazione del Coltan. Per estrarre il Coltan del Congo si sono invasi i parchi nazionali. 
La popolazione degli elefanti è scesa dell’80%. La popolazione di gorilla è diminuita del 90%. Un rapporto delle Nazioni Unite ha portato alla luce lo sfruttamento delle risorse naturali del Congo. Ci sono rapporti che dimostrano che Ruanda, Uganda e Burundi sono coinvolti nel traffico di Coltan in Congo, e utilizzano i profitti generati dal suo prezzo elevato per finanziare e continuare le loro guerre. Si stima che l’esercito ruandese riceve almeno 170 milioni dollari all’anno dalla vendita di Coltan, anche se il Ruanda non ha Coltan. Ovviamente tutti i paesi coinvolti nel conflitto negano di avere sfruttato le risorse naturali del Congo. Aziende multinazionali, principali produttori di computer, telefoni, videogiochi, come Nokia, Alcatel, Apple, Nikon, Ericsson, Bayer sono citate nel rapporto delle Nazioni Unite come saccheggiatrici.
Finanziano la guerra e sostengono i governi corrotti e non hanno nessun interesse a fermare la guerra. Hanno il consenso dei governo. I media non ne parlano. Se la guerra si ferma non si faranno più affari con il Coltan. A loro poco importa dei più di 5 milioni di morti che ha causato. Per porre fine a queste stragi, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il 29 novembre 2010, ha adottato la risoluzione 1952 che richiama gli Stati membri a mettere in atto misure di diligenza ragionevole per conoscere l’origine dei minerali e assicurarsi che il ricavato di quelli importati non vada a benefici di uomini armati, compresi i militari dell’esercito congolese. 
Nel 2011 gli Stati Uniti hanno promulgato una normativa che vieta alle imprese americane di importare o utilizzare minerali provenienti dalle zone di guerra in Congo che non abbiano garanzia e certificazione di provenienza. La conseguenza è che diverse aziende americane hanno preferito spostarsi verso altre zone piuttosto che certificare l’utilizzo di minerali “conflict­free”. Nel 2014 anche l’Unione Europea ha proposto un regolamento per il commercio responsabile di minerali provenienti da zone di conflitto ma la proposta di legge è su base volontaria ed è rivolta solo agli importatori. Diversi attori della società civile europea, coordinati da EurAC, la rete europea di ong e altri enti che lavorano in Africa Centrale, stanno facendo pressione a livello istituzionale per una modifica della legge. 
A Maggio 2015 il Parlamento Europeo ha chiesto a tutte le aziende europee, che producono o importano componenti e prodotti finiti contenenti i minerali contemplati nel regolamento, un controllo obbligatorio sul proprio sistema di approvvigionamento assicurandosi che non si stiano alimentando conflitti e siano rispettati i diritti umani. Dopo mesi di negoziati, le tre istituzioni europee Commissione, Consiglio e Parlamento hanno raggiunto nel giugno 2016 un accordo per rendere obbligatoria la tracciabilità dei minerali importati nello spazio UE. Ma se le istituzioni europee hanno fatto la loro pur minima parte, sappiamo bene che l'Europa non è l'unico continente a depredare l'Africa bensì uno dei meno invasivi dopo l'America con gli Usa e l'Asia con la Cina e il Giappone a fare la parte del leone.
Spesso le stesse grandi multinazionali che producono cellulari e materiale elettronico, sono le stesse che finanziano alcune ONG e associazioni che operano sul territorio africano e delle quali comprano soprattutto la complicità. Allora viene da chiedersi cosa si potrebbe fare concretamente. Innanzitutto denunciare questa realtà, informandoci e informando meglio la nostra comunità con quello che già sappiamo. Assumendo comportamenti etici. In fondo abbiamo davvero bisogno di un telefono nuovo ogni anno? Vale la pena finanziare con i nostri consumi la politica dell’usa e getta? Potremmo condividere i telefoni che non usiamo magari lasciandoli
nei punti di riciclaggio, o se non esistono nella nostra comunità, creandoli. Ma spesso il demone della vanità e della civetteria ci mettono la coda, e allora ogni Natale la stessa patetica fila davanti ai negozi per acquistare l'ultimo modello di smartphone. 
La "logica" del consumismo che ci domina è talmente suadente e dannatamente perversa che perfino i minatori africani sottopagati e sfruttati comunicano con gli stessi smartphone che gli stanno scavando la fossa. Non ci meravigliamo se migliaia di disperati africani sbarcano in Europa a cercare la sopravvivenza negata in patria e forse non solo quella.

Fonte: peacelink.it 

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