La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 9 settembre 2016

Monsignor Paglia e il terrorismo clericale sull’eutanasia

di Carlo Troilo
Da soli 20 giorni presidente della Pontificia Accademia per la Vita, Monsignor Vincenzo Paglia sta già per uscire con un libro sull’eutanasia (“Sorella morte. La dignità del vivere e del morire”, Piemme, pp. 276, euro 17,50). Un libro che prima ancora di giungere in libreria ha avuto ampie (ed acritiche) recensioni sui maggiori quotidiani, quasi si trattasse dell’atteso sequel de “I promessi sposi”. Niente di strano in questa Italia sempre più “papalina”, in cui la televisione pubblica sembra la brutta copia di “Radio Maria”. 
Il libro non ha niente a che fare con il dibattito parlamentare sulle scelte di fine vita – assicura Paglia – ho solo messo insieme le riflessioni fatte di recente con alcuni miei confratelli. 
E a proposito di una legge sull’eutanasia, Paglia afferma che “non bisogna avere fretta” (ma lo sa, il nostro Monsignore, che la prima legge sull’eutanasia è stata presentata da Loris Fortuna nel lontano 1985?). 
In passato – fra l’altro – “postulatore” della causa di beatificazione di Monsignor Romero, impegnato da anni nella Comunità di Sant’Egidio, Paglia è considerato un progressista. 
Ma sul tema dell’eutanasia le sue aperture sono pari a zero e le sue accuse a noi sostenitori della “buona morte” non meno pesanti di quelle dei suoi predecessori: ricordo per tutti Monsignor Elio Sgreccia, che ci assimilava apertamente ai medici nazisti. 
Paglia, sul piano generale, sostiene le solite tesi della Chiesa. In estrema sintesi: 
- “La scelta suicida non è mai un valore. Sempre lascia inevasa una disperata domanda di amore, di senso, di un futuro diverso”. Ma in quale futuro – vorrei chiedere a Monsignor Paglia – può sperare un malato terminale?
- Il problema vero è la solitudine, la mancanza di accompagnamento. Falso, nella stragrande maggioranza dei casi. 
- Bisogna puntare sulle cure palliative per ridurre la disperazione dei malati e le richieste di eutanasia. Ma la terapia del dolore non serve quando la volontà di morire non è causata (o non principalmente) dal dolore fisico. 
Non a caso l’autore prende le mosse da un romanzo dello scrittore svedese Carl-Henning Wijkmark, che nel 1978 descriveva un immaginario convegno segreto organizzato dal ministero degli Affari Sociali della Svezia nel quale si diceva: “Ormai il crescente numero di anziani rende insostenibile l’economia del Paese”. Ecco perché bisogna rendere “desiderabile” l’eutanasia. Quasi un “obbligo volontario” da parte degli anziani a chiedere di andarsene. Sempre in nome dei buoni sentimenti, per non essere di peso...”. 
E da qui Paglia muove per passare all’attacco: “Non è saggia – argomenta – la tesi di chi sostiene che l’eutanasia va legalizzata perché comunque riguarderebbe solo chi la chiede. È ovvio – si dice da parte di costoro – che non può essere imposta.(n.d.r.: e infatti è ovvio e negarlo è un segno di totale malafede). E insistono – prosegue Paglia – dicendo che esiste il diritto alla vita, non l’obbligo, per cui chi desidera vivere fino alla morte naturale, può ovviamente farlo, ma non si può vietare di morire a chi liberamente lo sceglie. 
Per confermare questa tesi si aggiunge: se in Italia il tentato suicidio non è penalizzato, perché dovrebbe essere penalizzata l’eutanasia? È vero però che, nel martellamento propagandistico, si sta realizzando una vera “newspeak orwelliana”: la morte per eutanasia viene presentata come un evento positivo che risponde alla richiesta di morire in maniera dignitosa. E affermare che bisogna “morire in modo degno” significa sempre di meno “morire in modo naturale” (considerato spesso indegno, specie se la morte si fa aspettare) e sempre più ottenere la morte per via medicalmente indotta”.
Ancora un brano del nostro Monsignore, in un crescendo di terrorismo clericale: “La moda dell’eutanasia” porterà alla “deriva” (altro termine adorato dalle alte gerarchie vaticane). Nel momento in cui l’eutanasia fosse legale, “figli e nipoti sapranno che ci si può sbarazzare dei vecchi; i più giovani non potrebbero fare a meno di vedere i più anziani come oggetti da gettar via”. E aggiunge, per maggior chiarezza: “Quando i “vecchi” non serviranno più, che siano depressi o che ancora non abbiano trovato il reparto medico in grado di non farli soffrire, si deciderà che è tanto semplice, e persino più caritatevole, sbarazzarsene”.
Paglia – che “condanna” il suicidio e ne parla come di un caso estremo, da cui non farsi condizionare – ignora (ma ovviamente “finge” di ignorare) che in Italia ogni giorno tre malati si suicidano e altrettanti tentano invano di farlo. Così come finge di ignorare i 20mila casi di eutanasia clandestina che ogni anno si registrano nella sanità pubblica e privata. E cita invece il caso di un medico al quale nessuno mai ha chiesto di essere aiutato a morire. L’autore, così, cerca di negare la realtà di una crescente richiesta di poter morire degnamente, e non indegnamente, come capita ai troppi malati costretti a ricorrere alla violenza bestiale del suicidio. 
E fortuna che in una delle sue interviste di “lancio” del libro, Paglia dichiara che il suo intento di nuovo presidente della Accademia per la Vita è quello di “dialogare, creare ponti, anche in maniera dialettica, creare un nuovo umanesimo”. Figuriamoci se il suo intento fosse quello di chiudere il dialogo e abbattere i ponti!

Fonte: MicroMega online 

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