La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 7 ottobre 2016

Benigni, la Costituzione e la Brexit

di Alessandro Somma 
Alcuni anni fa Benigni volle manifestare la propria venerazione per la Costituzione italiana dando vita a uno spettacolo dal titolo molto eloquente: “la più bella del mondo”. Lesse e commentò, con l’entusiasmo e le doti di trascinatore che tutti gli riconoscono, i primi dodici articoli del testo, quelli contenenti i “principi fondamentali”. Parlò con ammirazione della semplicità e forza poetica con cui si affermano due principi rivoluzionari: quello per cui “la sovranità appartiene al popolo” (art. 1) e “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge” (art. 3). Si soffermò sulla magia che consentì a personalità politiche eccezionali, pur provenienti da culture politiche molto diverse, di produrre insieme un testo invidiatoci da tutto il mondo.
Lo spettacolo venne trasmesso da mamma Rai nel dicembre 2012, quando era Presidente del Consiglio Mario Monti, qualche giorno prima che il Parlamento decidesse con maggioranza bulgara di sfregiare “la più bella del mondo” costituzionalizzando il principio del pareggio di bilancio (art. 81). Ora però la geografia politica è cambiata: a Palazzo Chigi siede Renzi. E questi ha deciso di modificare profondamente la Costituzione italiana, riscrivendo ben 47 articoli su 139.
Tutti gli articoli sono collocati nella seconda parte del testo, quella dedicata ai poteri dello Stato e agli enti territoriali, e dal canto suo il Premier ripete sino alla soglia del dolore che la prima parte non viene in alcun modo toccata. La Rai, sebbene in epoca renziana sia oramai abituata a lavorare a briglia particolarmente stretta, non dovrebbe dunque avere problemi a ritrasmettere lo spettacolo di Benigni.
Evidentemente, però, le cose non stanno in questi termini. Altrimenti Benigni non avrebbe fatto precedere la replica de “la più bella del mondo”, nel giugno scorso, da un messaggio imbarazzante. Ha infatti voluto ribadire che la riforma Boschi tocca solo la prima parte della Costituzione e che questa può e anzi deve essere cambiata, giacché “un paradiso dal quale non si può uscire diventa un inferno”. Il tutto accompagnato da una clamorosa retromarcia rispetto a quanto il comico toscano aveva in un primo momento incautamente affermato: che intendeva votare no al referendum costituzionale “per proteggere la nostra meravigliosa Costituzione”. Era una posizione espressa con il cuore, ha poi precisato, e la mente porta a sostenere le regioni del sì.
A usare la mente, soprattutto se si è costruita la propria fortuna di artista sull’irruenza e la spontaneità, si fanno pasticci. Giacché porta a dimenticare che le Costituzioni si fanno e si cambiano con il contributo di tutte le forze politiche e non a colpi di maggioranza, magari dando ascolto a personalità meno affette da nanismo politico e scarsa dimestichezza con la scrittura. E porta a non vedere che la prima parte della Costituzione viene toccata, e molto, dalla riforma Boschi, esattamente come è stata toccata dall’introduzione del pareggio di bilancio: un principio che impedisce la redistribuzione della ricchezza così come viene richiesto dal principio di uguaglianza sostanziale (art. 3).
La riforma Boschi si deve infatti leggere “in combinato disposto”, come si usa dire, con l’Italicum, la legge elettorale che presenta i medesimi vizi di costituzionalità del Porcellum. Con il premio di maggioranza abnorme che prevede viola il principio per cui la sovranità appartiene al popolo, così come quello per cui tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge: il voto di chi sceglie il partito che vince le elezioni varrà il doppio o il triplo, o se si preferisce il voto di chi non lo sceglie varrà la metà o un terzo. E c’è un modo solo per far fuori l’Italicum: votare no al referendum. Solo se salta la riforma Boschi il Parlamento è costretto a trovare un accordo per cambiare la legge elettorale, cosa che ora molti affermano di volere, senza però essere capaci di trovare un accordo di massima, o magari preferendo non farlo.
Ma torniamo a Benigni. Poteva finire lì, e forse si sarebbero perdonati gli scivoloni di una personalità celebrata come una sorta di monumento nazionale. I perdonisti sono però messi a dura prova, a meno che non siano renziani, si intende. Giacché il comico, raggiunto nei giorni scorsi dalle Iene, ha voluto rincarare la dose e fare proprie le peggiori trovate propagandistiche dei sostenitori della riforma Boschi: ha detto che al referendum è “indispensabile” che vinca il sì, altrimenti “è peggio della Brexit”, e ha aggiunto che, se non si cambia ora la Costituzione, “non accadrà mai più”.
Anche il Roberto nazionale, insomma, ha voluto iscriversi al partito dei catastrofisti secondo cui il no porterà recessione economica, impedirà la lotta al terrorismo, e magari provocherà inondazioni e invasioni di cavallette. E ha fatto proprio il mantra secondo cui non si può perdere l’occasione storica di vedere finalmente riformata la Costituzione italiana: come se un Paese massacrato dall’austerità davvero non aspettasse altro e come se la vittoria del no condannasse a convivere con una costituzione orribile, e non con “la più bella del mondo”.
Pensando forse di mettersi al riparo dalle critiche, Benigni ha voluto precisare, fin dai giorni in cui ha renzianamente “cambiato verso”, che vota sì nonostante non sia convinto fino in fondo della bontà della riforma. Anche qui il comico toscano finisce per riprodurre una formula sulla bocca di molti tra i sostenitori del sì, alcuni particolarmente espliciti: la riforma fa “schifo”, ma occorre votarla ugualmente.
Forse è questo ciò che non si può perdonare a uno come Benigni: aver deciso senza cuore, come lui stesso ha detto, senza passione, come se “la più bella del mondo” potesse essere sfregiata da chi neppure è convinto di quello che fa.

Fonte: Micromega online 

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