La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 8 ottobre 2016

Col Labour di Corbyn una Brexit progressista è possibile

di Andrea Pisauro
Il Labour di Jeremy Corbyn sta scrivendo un pezzo di storia. Impensabile all’indomani della sconfitta laburista alle politiche del 2015 e prima dell’incredibile e rocambolesco congresso dello scorso anno, il deputato londinese rieletto a valanga segretario del Labour Party al congresso di Liverpool sabato scorso è oggi alla guida del Partito Socialista più grande d’Europa (quasi 600 mila membri). Il Labour ha oggi un numero di iscritti superiore a quello di tutti gli altri partiti britannici messi insieme, con più nuovi iscritti negli ultimi 20 mesi che negli ultimi 20 anni. Numeri impressionanti che segnalano che la svolta radicale di Corbyn ha interpretato qualcosa di profondo del tempo in cui viviamo.
Il Labour di Corbyn ha interpretato la voglia di un’alternativa socialista
Jeremy Corbyn è stato la risposta di speranza a una crisi di sistema che lascia ovunque macerie politiche e sociali. Ha saputo dare voce alla voglia di ribellione che attraversa una fetta sempre più grande della società, consapevole che il finanz-capitalismo non funziona a livello sistemico, e una sinistra che sa parlare solo ai privilegiati per i quali funziona provoca crescente insofferenza.
È successo in UK (ed in parte negli Stati Uniti con Bernie Sanders), nel cuore del Capitalismo Anglosassone dove è entrata in crisi l'egemonia dell'ideologia neoliberista che dalla fine degli anni '70 ha determinato le sorti del mondo e una nuova generazione nata a cavallo della caduta del muro torna a chiedere un’alternativa socialista. Dal Neoliberismo al Neosocialismo. Impensabile fino a pochi anni fa, è un cambio di paradigma che ha rivitalizzato il Labour e aspira a rivitalizzare l’intero paese.
L’alternativa di Corbyn vince perchè al passo coi tempi
La vittoria di Corbyn non è un semplice voto di protesta. Al congresso innescato dalla mozione di sfiducia votata da tre quarti del gruppo parlamentare Corbyn ha sbaragliato lo sfidante Owen Smith, incrementando i propri voti (313mila +25%) e la propria percentuale (62% +3%) rispetto al congresso dell’anno scorso. L’ha fatto con una campagna all’avanguardia, capace di cavalcare la rivoluzione digitale e dominare il confronto sui social media, guidata dalle tecniche di mobilitazione più innovative e da una capacità che non si vedeva da molti anni in Europa di attrarre giovani brillanti e motivati, a partire da quelli raccoltisi attorno a Momentum, l’organizzazione fondata nel 2015 per trasformare l’entusiasmo generato da Corbyn nella forza motrice che farà del Labour il “partito del Governo di Cambiamento del XXI secolo”.
Un cambiamento per nulla ancorato al passato. Forte del suo rapporto blindato coi sindacati, Corbyn non ha problemi a parlare di innalzamento del salario minimo e di modernizzare da sinistra il welfare. Il suo Labour sostiene il ritorno alla contrattazione collettiva ma guarda con favore anche alla prospettiva di un reddito di base universale che tuteli i lavoratori autonomi. Il piano del ministro ombra per l’economia McDonnell di investimenti keynesiani da 250 miliardi di sterline per infrastrutture riguarda anche una riconversione ecologica dell’economia ed energie pulite.
Un “progressive Brexit” è possibile
Chiaramente la forte acrimonia verso Corbyn della minoranza del partito non cesserà dal giorno alla notte, ma sarà molto difficile immaginare un’ulteriore resa dei conti dopo la netta sconfitta di questo tentativo di coup e una migliore organizzazione del team del leader ha già prodotto un netto miglioramento della sua performance retorica. Paradossalmente potrebbe essere la partita del Brexit ad aiutare Corbyn a unire il partito. 
La Prima Ministra Theresa May ha scelto la linea dura dell’ “hard Brexit”: uscita dal mercato unico, fine della libera circolazione delle persone e procedura di uscita attivata entro Marzo 2017, come da indicazione dell’ala dura dei Brexiteers.
Corbyn ha avuto allora gioco facile nell’unire il grosso del partito sulle sue Red Lines: rispetto della volontà democratica espressa nel voto ma grande attenzione ad evitare che le classi più svantaggiate paghino il prezzo della Brexit, difesa dei diritti acquisiti dei cittadini UE, difesa dei diritti del lavoro garantiti dalla legislazione UE, sostanziale permanenza nel mercato unico per tutelare il commercio estremamente integrato con l’Europa e rifiuto categorico di fissare un tetto all’immigrazione, rigettando le tentazioni neosovraniste di alcuni esponenti della destra del partito. Al contrario Corbyn propone di reintrodurre il Migration Impact fund per limitare l’impatto a breve termine sui servizi per quelle aree del paese in cui la popolazione cresce più in fretta a causa dei flussi migratori. Insomma un progressive Brexit che ha buone chances di avere un consenso maggioritario nel paese.
La difficile sfida per una maggioranza a Westminster
Sebbene Corbyn abbia annunciato che il Labour è pronto a competere in elezioni anticipate nella prossima primavera, la sfida per Downing Steet si preannuncia comunque complessa.
A una stampa dichiarata ostile nei suoi confronti da uno studio indipendente di LSE si aggiunge la difficoltà di ricostruire una narrazione nazionale, capace di tenere insieme l’immaginario progressista della Scozia e di elaborare una connessione emotiva tra le città post industriali del nord e i giovani millennials tagliati fuori dallo sviluppo del sud. Secondo l’opinionista progressista Paul Mason infatti la linea di faglia tradizionale tra la destra e la sinistra non è più la stessa in tutto il paese, con tre “narrazioni” che tagliano il Regno da nord a sud: dalla “ScandiScozia” dominata dall’SNP che insegue il sogno di un’indipendenza socialdemocratica sul modello scandinavo, al ricco sud-est Conservatore che ha cavalcato senza redistribuire i successi del Capitalismo finanziarizzato. In mezzo, la GranBretagna post-industriale che vota Labour senza entusiasmo e non vede una prospettiva di sviluppo, cui si aggiungono i grossi centri urbani laburisti del sud, come Bristol e Londra.
Nessuno di questi tre blocchi territoriali è di per sé capace di assicurare una maggioranza elettorale significativa alimentando l’insofferenza reciproca e rendendo strutturalmente instabile il confine scozzese. In questo nuovo scenario, la norma sono gli hung parliament come quello che nel 2010 ha portato al primo governo di coalizione dalla seconda Guerra Mondiale, e l’eccezione è la risicatissima maggioranza conservatrice del 2015, che infatti nessun sondaggio aveva previsto. A questa difficoltà oggettiva si aggiunge una riforma dei collegi elettorali studiata dai Conservatori per rendere più contendibili molti storici seggi del Labour.
Eppure l’alternativa neosocialista del Labour rimane l’unica speranza di tenere unito e garantire un futuro a un Paese dilaniato dalle tensioni della campagna referendaria, dall’austerity dei conservatori e dalle imprevedibili conseguenze della futura rottura con l’Europa. Una sfida epocale che richiede l’impegno di una comunità di uomini e donne che lottano insieme, in un partito radicato nella storia, vivo nelle lotte del presente e proiettato in una visione di futuro. Un partito che chiude il suo congresso con compagni abbracciati a cantare, dove si può di nuovo immaginare una società radicalmente diversa e dove “non è più necessario sussurrare per pronunciare la parola Socialismo”.

Fonte: Il Corsaro 

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