La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 8 ottobre 2016

Fuori dall’austerity con la moneta fiscale

di Stefano Sylos Labini
Ogni giorno nel mondo milioni di persone utilizzano monete complementari, digitali o con supporto cartaceo, per acquistare beni e servizi. Con questo sistema le aziende che ne accettano il corso possono aumentare il proprio volume produttivo, stimolare l’acquisto di beni e sostenere l’economia locale. Ne esistono diverse forme: le monete “commerciali”, di cui il Sardex rappresenta uno degli esempi di maggior successo, per aumentare gli investimenti e la vendita di beni delle aziende; le monete “dedicate o settoriali”, come i buoni-pasto, per finanziare l’acquisto di prodotti specifici; le “monete-tempo” il cui valore viene quantificato attraverso le ore lavoro dei partecipanti al circuito.
Si tratta generalmente di monete complementari che circolano in ambito locale o regionale. Per fare il salto sul piano nazionale, due anni fa con Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa, Enrico Grazzini e Giovanni Zibordi abbiamo costituito un gruppo di lavoro, a cui aveva aderito con entusiasmo anche il compianto professor Luciano Gallino, che ha elaborato la proposta della “moneta fiscale” (sulla rete è disponibile un e-book, all’indirizzo: urlin.it/143930).
La moneta fiscale consiste in titoli pubblici denominati in euro – Certificati di credito fiscale (Ccf) – che conferiscono al portatore il diritto a uno sconto fiscale dopo due anni dall’emissione, sono trasferibili a terzi, non generano un debito al momento dell’emissione e rispettano i vincoli imposti dai trattati e dai regolamenti dell’Eurozona.
Infatti, i Ccf sono un credito tributario e, ai sensi dei regolamenti europei di contabilità nazionale, non costituiscono indebitamento dello Stato che li emette poiché, a differenza di Bot e Btp, non vengono venduti per raccogliere denaro che deve essere restituito alla scadenza. Al momento dell’emissione, dunque, i Ccf non vanno iscritti a bilancio come riduzione delle entrate fiscali e possono funzionare immediatamente come mezzo di pagamento al posto dell’euro per finanziare consumi e investimenti. Ciò perché il loro valore non è soggetto ad alcun rischio di svalutazione sul mercato dei titoli: un Ccf da 100 euro alla fine varrà sempre 100 euro qualsiasi cosa accada sui mercati. E anche perché il denaro potenziale rappresentato dai Ccf è denaro legalmente “pieno” in quanto essi vengono per definizione accettati per pagare le tasse allo Stato, che è il maggior riconoscimento a cui qualsiasi forma di denaro possa aspirare, quale che sia la sua apparenza o denominazione, come moneta circolante in una nazione.
I Ccf dunque hanno un controvalore monetario sicuro, interessano esclusivamente chi paga le tasse in Italia e permettono di guadagnare due anni per rilanciare la crescita dell’economia prima che ci sia un impatto sul bilancio pubblico.
Nella nostra proposta, la moneta fiscale viene assegnata con una carta fiscale elettronica in modo gratuito a disoccupati, lavoratori precari e pensionati con assegni bassi, che rappresentano le categorie più svantaggiate con le maggiori potenzialità di espansione dei consumi. Inoltre, la moneta fiscale può consentire di ridurre il cuneo fiscale delle imprese per migliorarne la competitività e quindi per mantenere in equilibrio la bilancia commerciale e può essere usata dal settore pubblico per effettuare pagamenti di servizi e investimenti pubblici, permettendo di liberare euro dal bilancio dello Stato.
Riteniamo che la moneta fiscale possa stimolare una forte ripresa della domanda interna, del Pil e dell’occupazione. Da ciò deriveranno anche maggiori entrate fiscali lorde, più che sufficienti a compensare la perdita di gettito che si avrà quando i Ccf giungeranno a scadenza e cominceranno a essere utilizzati per ottenere sconti fiscali. Lo scorso anno Mediobanca ha elaborato una simulazione ipotizzando l’immissione di 20 miliardi di euro di Ccf nel 2016 e di ulteriori 40 miliardi nel 2017 e nel 2018. La simulazione (disponibile all’inidirizzo: urlin.it/14392f) mostrava che con questo intervento il Pil reale sarebbe cresciuto del 3,1% nel 2016 e del 3,0% nel 2017 portando il rapporto debito/Pil a ridursi dal 132,8 al 112% nel 2019.
Un programma di assegnazioni prolungato e certo, dunque, può sostenere la spesa pubblica e privata e può ridurre il costo del lavoro lordo delle imprese permettendo di rilanciare l’economia e di avviare una rapida riduzione del rapporto debito pubblico/Pil. La manovra sarebbe ancora più efficace se venisse costruita come un’operazione di sistema, poiché la mobilitazione e il coordinamento delle forze economiche – imprese, banche e sindacati – consentirebbe di sfruttare al meglio gli ampi incentivi che la manovra stessa offre.
La moneta fiscale è la strada più efficace che il nostro Paese può percorrere in tempi rapidi e in modo autonomo senza chiedere nulla all’Europa. Ciò anche alla luce delle alternative che abbiamo di fronte: 1. il rispetto dei vincoli europei farà affondare inesorabilmente la nostra economia; 2. un cambio di rotta della politica economica a guida tedesca non è un obiettivo che può essere conseguito in tempi brevi; 3. l’uscita dall’euro con un referendum comporta dei rischi altissimi perché passerebbero mesi prima della consultazione e il nostro Paese potrebbe finire sotto l’attacco della speculazione finanziaria con fughe di capitali e corse agli sportelli bancari; 4. l’uscita dall’euro senza referendum implicherebbe l’esistenza di una maggioranza parlamentare molto ampia; 5. un’espansione unilaterale del deficit pubblico ci porterebbe in rotta di collisione con la Bce, la Commissione europea e la Germania esponendo il nostro Paese al rischio di attacchi speculativi con spinte al rialzo sui tassi di interesse.
Per concludere, la “moneta fiscale” è una possibilità più semplice e meno traumatica dell’uscita “secca” dall’euro ed evita i rischi del deficit-spending. Nel tempo, potrebbe perfino sostituire l’euro creando le condizioni per un’uscita “morbida” dalla moneta unica qualora ciò si ritenesse utile o necessario. Ma potrebbe anche costituire uno schema permanente all’interno dell’euro, adottabile dall’Italia e da altri Paesi dell’Eurozona in crisi, per assorbire la disoccupazione, risanare i bilanci pubblici e gestire in modo civile gli imponenti flussi migratori che si stanno riversando sul continente europeo.

Fonte: Left.it 

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