La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 19 settembre 2017

Il digitale populista

di Lelio Demichelis 
Il tema resta – purtroppo – di stretta attualità. La crisi della democrazia si aggrava e i populisti fanno abilmente il loro gioco sporco generando un meccanismo perverso ma per loro utilissimo, che si autoalimenta richiamandosi a quell’entità, astratta ma molto capace di produrre meccanismi identitari e di condensazione del rancore, della rabbia e dell’antipolitica, che è appunto il popolo. Ed è un processo degenerativo certo non nuovo, molto novecentesco e che si produce quando il popolo rinuncia a essere demos sovrano e decide di estraniarsi dal potere demo-cratico e di farsi nichilista di se stesso e della sua democrazia, lasciandosi affascinare dalle ombre che il populismo abilmente proietta sulla parete di una democrazia ridotta a caverna platonica o a schermo di un pc. Cioè si aliena da se stesso, rinuncia alla cittadinanza attiva e delega tutto il potere all’uomo solo del populismo e al suo apparente potere salvifico, credendo così di riconquistare un potere da cui si sente espropriato da caste e oligarchie. La differenza, oggi, sta tutta nella rete e nel digitale.
In un certo senso, il popolo e il populista applicano alla crisi della politica e della democrazia la figura dell’imprenditore schumpeteriano e la sua distruzione creatrice. Ma così come l’imprenditore capitalista soprattutto distrugge e, se crea lo fa in primo luogo per il proprio profitto, altrettanto fa quell’imprenditore della politica che si chiama populista di destra. Che distrugge la democrazia dissolvendola in nome del popolo ma non crea nulla di nuovo, se non nella pura apparenza e nella pura rappresentazione di sé come potere del popolo; popolo che resta invece proiettato sulla parete della caverna, illudendo di essere reale.
Ma anche le élites, quelle che presuntuosamente si auto-definiscono classe dirigente, davanti al populismo lo rincorrono sul suo terreno anti-politico. Perché se il populismo come degenerazione della politica (diversa era la visione di Ernesto Laclau) è caratterizzato da questi elementi: un uomo solo al comando, il rapporto diretto e verticale con il popolo, il trasformismo e l’autoritarismo e il rifiuto dei conflitti, il superamento delle classi e della società civile, la semplificazione qualunquistica della complessità, l’auto-referenzialità egotistica e narcisistica – allora non solo Trump e Orbàn sono populisti ma anche Macron, appunto il populismo delle élites che, per salvare se stesse e il sistema, si fanno populiste.
Di più: la rete non è solo un mezzo molto efficace e rapido per la diffusione del populismo di destra, ma è essa stessa populista per essenza e per natura. Perché, al di là della sua apparente orizzontalità, la rete è verticale (e quindi populista) nel rapporto diretto e senza mediazioni che crea tra l’individuo e la rete (anzi: la Rete); perché populista/carismatico è stato Steve Jobs ma lo è anche Mark Zuckerberg come padre-padrone di Facebook, per il rapporto semplificato/semplificante ma fortemente legante che crea tra gli utilizzatori e il suo social network; per il narcisismo che emana su un mondo social di molti narcisisti; per il suo superamento della distinzione tra destra e sinistra, ponendosi oltre la destra e la sinistra; per il suo voler scendere in politica (in apparenza) senza partito ma con molto popolo, perché la rete ha creato il suo popolo social (che è populista perché populista è la tecnica; e perché affascinato dagli imprenditori-guru-uomini-soli-e-carismatici della Silicon Valley). Rete da cui è però sempre esclusa – come in ogni populismo – ogni forma di democrazia.
Fine di questa lunga e personalissima premessa. E veniamo a discutere di quella sua particolare forma digitale su cui il sociologo Alessandro Dal Lago riflette in questo suo ultimo lavoro: Populismo digitale. La crisi, la rete e la nuova destra. Un libro che coniuga riflessione politica, storica e sociologica; analisi del mezzo digitale di comunicazione e di propaganda; e pensiero critico. E che compone uno sguardo comparato tra il vecchio populismo (come il peronismo argentino) e quello nella sua forma appunto digitale, in particolare del M5S di Beppe Grillo, passando per il neo-nazionalismo e il sovranismo. Perché digitale è la nuova forma della politica (o dell’anti-politica) e quella che un tempo era opinione pubblica oggi è, ma tutta diversa, opinione digitale. In realtà, come sosteneva il Gruppo Ippolita opportunamente richiamato da Dal Lago, la rete non è intrinsecamente e naturalmente libera né democratica ma è piuttosto un grande acquario in cui crediamo di nuotare liberamente, ma in realtà nuotiamo dentro lo spazio chiuso dell’acquario e dei poteri che lo (e ci) governano; uno spazio trasformato oggi in un grande mercato (e soprattutto, aggiungiamo, in una grande fabbrica) dove il concetto di social è un lontanissimo ricordo, ma utile ancora a produrre lauti profitti. Anche politici; e in questo la destra appare decisamente più attrezzata della sinistra (anzi: «La conversione della sinistra alle ragioni della destra neo-populista ha diverse giustificazioni – prima tra tutte l’incapacità del progressismo o della sinistra moderata di affrontare gli effetti perversi della globalizzazione. […] L’incomprensione del fenomeno Grillo, a sinistra, moderata o radicale che sia, è stata generale»), la destra meglio sapendo sfruttare il carisma digitale e il bisogno di uomo forte che si può generare via rete, perché «l’ambiente del populismo contemporaneo non è altro che la realtà immanente e al tempo stesso evanescente di Internet. […] Il popolo, che nella realtà materiale non esiste, se non nelle convenzioni o nelle finzioni della democrazia rappresentativa, si è ora ricostituito in rete».
Una rete dove appunto massima è la possibilità di attivare il rapporto verticale, diretto e senza mediazioni tra populista e popolo, perché, scrive Dal Lago, «indipendentemente dalla professione, dalla posizione sociale e dall’educazione i soggetti digitali tenderanno a provare le stesse paure, a manifestare le stesse ossessioni, a essere sensibili agli stessi messaggi politici. […] Internet rappresenta oggi il vero ambiente sociale in cui si elabora un’alternativa alla democrazia rappresentativa o meglio si lavora al suo svuotamento». Nel senso che davvero «il mezzo è il messaggio», ma è un messaggio implicitamente nichilista. E da cui non può che emergere una delle tendenze fondamentali di oggi, cioè confondere la società con l’illusione di ricreare una comunità omogenea e pacificata: «Benché Grillo e gli altri leader populisti siano contro le strutture politiche esistenti, il loro ideale è una società senza conflitti e quindi essenzialmente apolitica». Che è però la negazione della società. E della democrazia.
Per descrivere questo populismo digitale si deve allora parlare esplicitamente, secondo Dal lago di para-fascismo o di fascismo digitale perché è difficile usare altri termini «per descrivere il politico (apparentemente) più potente al mondo, il suo gemello russo, un aspirante sultano, un paio di ultraconservatori dell’Europa dell’Est, e infine Grillo e i suoi portaborse. […] Non saprei usare altra definizione per politici che attizzano l’odio per gli stranieri, disprezzano visibilmente la democrazia parlamentare, praticano o invocano la censura per chi non è d’accordo con loro, coltivano il senso comune più forcaiolo, soffiano sul fuoco neo-nazionalista che cova in mezzo mondo». E ancora: «Si può parlare di para-fascismo o fascismo digitale, allora, nel senso che questi sviluppi ideologici hanno luogo in un ambiente radicalmente nuovo (rispetto a quello della destra storica), e cioè nell’universo di Internet. Gli aspiranti uomini (e donne) forti agiscono, chi più e chi meno, tenendo d’occhio soprattutto gli utenti del Web e dei social media. […] Ecco perché ho intitolato questo saggio “Populismo digitale”». Ed ecco perché la rete va profondamente ripensata, anche in termini di sua implicita (o esplicita) produzione di populismo.

Fonte: alfabeta2.it 

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