La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 19 settembre 2017

Leggi, contratti, lavoro: un esempio, la scuola

di Silvia R. Lolli
È interessante il progetto di legge regionale presentato dal consigliere Piergiovanni Alleva rappresentante di AER (Altra Emilia-Romagna) per facilitare l’entrata nel mondo del lavoro dei giovani. Titolo della proposta: Misure per il riassorbimento della disoccupazione tramite la promozione di contratti di solidarietà espansivaInteressante perché, se trovasse la stessa strada spalancata del consiglio regionale come ha fatto l’approvazione della recente legge sullo sport, potrebbe prospettare una risoluzione, almeno temporanea, degli epocali cambiamenti che stiamo vivendo. L’articolato è semplice, solo cinque articoli; non sarebbero neppure necessarie troppe discussioni su tanti articoli che spesso hanno solo il compito d’ingarbugliare gli effetti delle leggi; la proposta potrebbe così passare facilmente.
La prefazione del consigliere Alleva è ricca di riflessioni e di spiegazioni. Fra l’altro si sottolineano le finalità e gli obiettivi; per esempio la prima frase della premessa nella relazione introduttiva dice:
“L’idea che una riduzione importante dell’orario lavorativo settimanale possa consentire da un lato, di a nuove assunzioni e, dall’altro, migliorare le condizioni dei lavoratori già occupati sotto il profilo della conciliazione dei rispetto ai non è certo nuova ma, nel trascorrere degli anni non ha perso nulla del suo fascino, anche a causa della oggettiva constatazione della crescente velocità di sostituzione del lavoro umano con processi automatizzati”.
La proposta è corredata da un’importante scheda tecnico-finanziaria e da un’interessante ricerca della società MV su un campione di lavoratori dipendenti; riprende un istituto contrattuale previsto da molti anni nella legislazione italiana, ma mai attuato e contenuto in: L. 863/1984 che convertiva in legge il DL 726/84; L. 183/14 e dal conseguente art. 41 del D.Lgs. 148/15, attuativo della stessa.
Attraverso questo istituto contrattuale si vogliono creare posti di lavoro per i giovani. È un contratto di solidarietà, chiamata “espansiva”: oltre a dare vita ad articoli di legge nazionale mai attuati, cerca, secondo noi, di applicare lo spirito solidaristico della nostra Costituzione che attualmente ci sembra quasi del tutto perso sia a livello istituzionale sia fra noi cittadini e lavoratori.
Probabilmente si è esplicitato per pochissimo tempo e forse solo in pochi luoghi italiani, anche se gli italiani a volte continuano, e nonostante tutte le loro difficoltà economiche e sociali, a metterla in campo: esempi sono in molte regioni del Sud o del Nord l’arrivo di immigrati che vengono accolti non solo dalle organizzazioni umanitarie e dalle istituzioni italiane, ma anche da molti cittadini.
Tuttavia l’individualismo corrente, sviluppato anche con leggi sul lavoro che avrebbero dovuto avere un effetto opposto, limita queste solidarietà sociali.
Siamo a favore della proposta di legge, anche per le premesse che finalmente spiegano in Italia l’aspetto del tempo libero, poco studiato come in molti altri paesi.
È un aspetto della vita che ci ha sempre interessato, anche per il lavoro che svolgiamo tutti i giorni; oggi, nella nostra società, definita anche post-industriale, tante categorie di persone si ritrovano con molto tempo libero, anche se non si può dire completamente “liberato dal lavoro”; è un tempo spesso vuoto. Le due categorie temporali che le analisi sulla società industriale hanno definito in passato, oggi si confondono di più e contengono vari aspetti. Per esempio il tempo libero per un disoccupato non ha la stessa valenza di chi ha un lavoro e può permettersi di utilizzare il tempo, appunto liberato da esso, come vuole. Poi esistono i problemi per la sua occupazione: spesso diventa tempo vuoto, in cui si sopravvive faticosamente.
Il disoccupato di oggi comunque usa spesso questo tempo alla ricerca di un impiego, anche di poche ore, per sopravvivere; è quindi un tempo che l’incatena di più al lavoro, soprattutto se leggiamo le varie contrattualistiche degli ultimi anni: lavoro a chiamata o altri simili. Dunque questa proposta di legge regionale, oltre a dare attuazione a parti di leggi sul lavoro rimaste in “naftalina”, cerca di dare uguali opportunità di vita anche ai più giovani, riprendendo l’idea costituzionale della nostra carta: la solidarietà.
La proposta sembra rivolgersi di più alle imprese e ai lavoratori del settore privato, anche se il contratto, di tipo aziendale, si può estendere al pubblico. Per completare ciò che in Italia si dice da anni, cioè che il settore pubblico è poco produttivo, la burocrazia italiana è inefficiente,… si è fatto di tutto per ridurre all’osso gli uffici pubblici. I principi proposti dalla legge dovrebbero quindi consentire di aumentare i concorsi pubblici per contratti a orario ridotto.
Si dovrebbe invertire una rotta che da alcuni anni ha portato ad un aumento di ore di lavoro in molti settori pubblici, oltre che in quelli privati con le ore di straordinario o attività similari. Qui si chiamano incentivi e hanno parzialmente sostituito contratti non rinnovati. La legge regionale mantiene la possibilità di fare il lavoro straordinario, d’altra parte una legge regionale non può essere in contrasto con quelle nazionali.
Prima di spiegare meglio con esempi tratti dal settore pubblico scolastico vogliamo esaminare, molto velocemente, la ricerca che accompagna la proposta di legge. Si chiede ai lavoratori dipendenti, soprattutto del settore privato (hanno risposto 558 lavoratori del settore privato e 96 del settore pubblico), se sarebbero disposti a lavorare un giorno alla settimana in meno per uno stipendio decurtato, ma in modo minore rispetto alla percentuale delle ore non lavorate.
Alla domanda “Lei quanto sarebbe interessato ad una proposta come questa?” c’è uno scarto tra chi risponde con un voto sufficiente e chi invece dà l’insufficienza di 11 punti percentuali. Solo il 37% dà un voto fra l’8 e il 10. La media dei voti è 5,8. Va meglio alla domanda: “Un giorno libero in più alla settimana, quanto migliorerebbe la sua gestione quotidiana, la sua qualità della vita?”
Infatti la media del voto è 7 e i voti fra 8 e 10 sono il 58,5%. Alla domanda: “Accetterebbe il pagamento di circa il 30% della sua retribuzione in buoni acquisto o servizi (es. acquisto in più di una catena di grande distribuzione commerciale di prodotti alimentari, abbigliamento, casalinghi, ecc.)?” c’è di nuovo un calo dei favorevoli: voti sufficienti il 41,7%, mentre il 55,9% è insufficiente. Da notare le percentuali più alte agli estremi con il voto medio 4,5, infatti vota da 1 a 4 il 47,3% degli intervistati, mentre da 8 a 10 il 22,8%.
Per le nostre considerazioni ci sembra interessante la valutazione positiva più alta (voto medio 7,6 e voto da 8 a 10 per il 63,5% delle risposte) alla seguente domanda: “I contributi pensionistici garantiti sull’intera retribuzione (non ridotta) con costi a carico dell’INPS o degli enti bilaterali sindacati-imprenditori in sede di contrattazione: quanto le sembra positivo?”.
Nell’analisi dei ricercatori si sottolinea, fra gli altri elementi, che “la valutazione è maggiormente positiva rispetto al totale fra i dipendenti pubblici, i quadri e tecnici del settore privato, gli impiegati del settore privato; valutazione inferiore al totale invece per gli operai del settore privato”.
Dopo la lettura di questa interessante proposta di legge regionale, che si conclude con un ulteriore documento: “L’aggiornamento possibile del programma “Lavorare meno, lavorare tutti”, nel quale si delinea anche il bisogno di preparare la futura riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, ci domandiamo perché finora si è nascosta questa possibilità (la prima legge è del 1984).
Se ora leggiamo, limitatamente al settore scuola, le normative degli ultimi anni, non ultima la così detta “Buona scuola” e quelle relative alla contrattualistica, verifichiamo che nella pratica è avvenuto l’opposto a ciò che la legge regionale proposta di Piergiovanni Alleva, con il contratto di solidarietà espansiva, ipotizza per il futuro: una distribuzione del lavoro fra molti più cittadini.
Sappiamo di non essere esaustive, ma vogliamo ricordare alcuni cambiamenti che, oltre a rendere la professione docente qualcosa di diverso a prima, vanno in direzione opposta alla diminuzione dell’orario di lavoro a favore della solidarietà espansiva. Fra l’altro è avvenuto, proprio con lo sviluppo della contrattualistica aziendale, nelle singole scuole, che ha ormai quasi sostituito da vent’anni i contratti nazionali del pubblico e con una riforma della scuola (legge sull’autonomia del 1999) rimasta a metà, ma continuamente rimaneggiata e sostituita da altre riforme, fino all’ultima del 2015.
Tutto con l’unico fine di privatizzare i contratti di lavoro e depauperare il valore del salario degli insegnanti, in nome di una demagogia che vede nel corpo insegnante una spesa corrente per lo Stato troppo alta. Ma le spese per l’educazione non dovrebbero essere considerate spese d’investimento per lo Stato? La risposta a questa domanda purtroppo ci viene data quando emergono ancora poche preoccupazioni per i laureati che vanno all’estero a lavorare non trovando occupazioni valide qui.
Gli insegnanti rimangono con i livelli più bassi di reddito rispetto agli altri paesi europei. Le differenze di opportunità nel settore scuola emergono bene fra le generazioni di insegnanti: oggi si sta affrontando l’ennesima guerra fra poveri. La domanda sorge spontanea: dove sono andati a finire il principio distributivo e quello solidaristico?
Per esempio quanti contratti abbiamo perso nel corso del nostro più che trentennale lavoro? Almeno due e siamo in una situazione privilegiata rispetto ai nuovi docenti immessi in ruolo, ma deficitaria rispetto a chi è già in pensione da anni. Nel settore pubblico si legge meglio il problema generazionale. Rispetto a chi ha potuto usufruire degli scatti di anzianità ogni due anni, poi della possibilità di andare in pensione già con le mini pensioni e con il sistema retributivo e di chi ha usufruito fin da subito della buonuscita, noi crediamo di essere vittime di una truffa di Stato, perciò legalizzata. I giovani poi rimangono per anni in situazioni di precariato o di non lavoro quindi almeno non versano nessun contributo.
Non crediamo che ci siano stati per tutte queste situazioni solo obblighi richiesti dall’Europa, bensì da molti anni c’è stata la perdita dell’applicazione della nostra Carta costituzionale. Per inciso quando sentiamo l’ennesimo richiamo all’incostituzionalità per una legge approvata dalla Camera e non ancora dal Senato, legge che dovrebbe diminuire i vitalizi ai parlamentari ci sentiamo oltre che defraudati nei nostri diritti di uguaglianza, veramente truffati. In più i vitalizi per questa legislatura, che tra l’altro non ha fatto il suo dovere visto che avrebbe dovuto soltanto scrivere una legge elettorale in linea con la Costituzione, ci sono tutti. In questi giorni abbiamo letto che gli attuali parlamentari percepiranno la pensione di € 900,00 al mese a 65 anni. Perché per noi mortali si prospetta l’andare in pensione, cioè percependola, solo a 67 anni e con 40 e più anni di contributi versati? Ci sentiamo sempre di più truffati.
Vogliamo comunque fare qualche esempio nella scuola, per ragionare sulle finalità ultime della legge regionale, importante, ma solo se temporanea e con la previsione di minor spesa per le risorse pubbliche. Spesso le leggi emesse negli ultimi anni hanno contribuito a creare sacche di individualismo contrattualistico che danneggiano le finalità ultime della professione insegnante e creano una visione opposta alla solidarietà.
La contrattualistica nazionale, ma soprattutto aziendale per recuperare un po’ di quote salario, sta istituzionalizzando nella scuola nuove figure di insegnanti, per esempio le funzioni obiettivo o strumentali (la definizione è cambiata nel corso degli anni). Si propongono al collegio docenti che normalmente approva e senza alcuna discussione le funzioni e gli insegnanti che accettano la funzione. Sono docenti che continuano a fare le loro ore di insegnamento, ma a loro vengono assegnate altre attività, approvate dal collegio appunto, oltre a quelle per le quali hanno fatto i concorsi a cattedre.
Non c’è stata nessuna legge specifica che abbia istituito queste specifiche figure professionali nelle scuole, ma si è proposto nel contratto di lavoro ai tempi della legge sull’autonomia che ricordiamo è risultata incompiuta rispetto agli obiettivi iniziali. Molti docenti dunque hanno altri compiti, mantenendo il loro orario di lavoro (a volte anche aumentato) e percepiscono annualmente un reddito lordo, non certamente troppo ricco rispetto alle attività da svolgere, ma che può essere considerato una mensilità di un docente a inizio o metà carriera. Queste figure possono essere in ogni scuola dalle quattro alle cinque.
Se ragionassimo in termini di contratti di solidarietà espansiva, basterebbe mettere assieme tre scuole e salterebbe fuori un contratto per un altro docente a tempo indeterminato. Ancora meglio, si potrebbe finalmente pensare ad una figura specifica (attuando meglio l’idea inziale dell’autonomia), intermedia fra il dirigente e gli insegnanti, che potrebbe aiutare nell’organizzazione didattica; ormai i dirigenti sono presi da funzioni altre rispetto ai problemi di tipo più didattico e comunque anche per loro si dovrebbero prevedere funzioni più precise alle quali dover dedicare non più di 40 ore settimanali! Negli ultimi anni i dirigenti scolastici, con tutte le loro funzioni e responsabilità, passano tra le mura scolastiche o negli impegni istituzionali esterni, tantissime ore.
Comunque per la figura intermedia da noi individuata andrebbero verificate meglio le specifiche competenze per tale compito; invece si continuano a fare corsi di formazione un po’ alla rinfusa e si evidenziano sempre molte spese per soggetti esterni alle scuole, perché intanto si assegnano ai primi docenti disponibili le varie funzioni.
Così si è costruita negli anni una notevole differenziazione, economica e professionale, e sempre senza una vera valutazione di merito sulle specifiche competenze, nel corpo docente, quindi all’interno dei collegi docenti e dei singoli consigli di classe. Questo cambiamento delle figure professionali fra i docenti ci sembra tra l’altro il più grave, perché spesso ciò che ci ha rimesso è stata la didattica curricolare, già difficile da tenere ai massimi livelli con le continue riforme della scuola che i politici, per lo più incompetenti e populisti, ci hanno propinato negli anni.
Altro esempio, rispetto al discorso che stiamo facendo, solidarietà per il diritto al lavoro di tutti in riferimento alla proposta di legge regionale del consigliere Alleva, può emergere guardando le ore settimanali dedicate all’insegnamento.
In genere sono 18, ma, da sempre, la cattedra di un docente può arrivare fino alle 24 ore settimanali. Succede spesso che alcune ore non vengano assegnate ai supplenti, ma agli stessi docenti della scuola che appunto aumentano le loro ore settimanali. Anche se oggi c’è una redistribuzione e, in base ai nuovi ammessi in ruolo, le cattedre all’interno delle scuole prevedono meno ore di insegnamento (è soltanto rispetto alla loro numerosità nelle diverse classi di concorso per la scuola superiore, quindi non è vero per tutti i docenti), dobbiamo sempre verificare le funzioni e le competenze diverse rispetto alla docenza, per alcune di queste attività. In questi anni si sono modificati i ruoli professionali senza una chiara definizione di essi, per legge.
Sarebbe dunque da rivedere la formazione delle cattedre per una distribuzione del lavoro fra più persone: aiuterebbe a diminuire ancora i precari, oltre ad allinearsi a questa proposta di legge regionale. Fra l’altro, nonostante la legge tanto sbandierata come “buona scuola” e obbligatoria per l’assunzione dei precari in genere molto “maturi” – poteva essere limitata solo ad essi – , assistiamo ancora a sacche di precarietà e di disfunzioni in questo inizio di anno scolastico: continua ad esistere il solito fenomeno di cattedre occultate ed opportunamente fatte uscire solo al momento di dare lavoro ai supplenti annuali.
Lo scorso anno grazie alla nuova legge sembrava che la continua mobilità dovesse assestarsi, invece per errori anche amministrativi si continua ad assistere alla girandola di docenti in molte scuole, soprattutto quelle di periferia e più problematiche. Al di là di questo fenomeno e nonostante gli obblighi che ci imponeva l’Europa (sembra che recepiamo soltanto quelli legati ai vincoli di bilancio) nella scuola la precarietà non morirà mai. Perché?
Abbiamo il dubbio che, al di là delle incapacità previsionali sui reali fabbisogni, si continui solo ad avere una navigazione a vista per mantenere i privilegi di alcuni a scapito di tanti altri, in un mare di incapacità di chi deve organizzare che ci sembra aumentata anche per il dissanguamento che dal ministero Moratti in poi si è fatto degli uffici centrali e periferici del ministero della Pubblica (sempre meno!) Istruzione. Tante ancora le consulenze e conosciamo varie situazioni di dirigenti in ufficio arrivati solo pochi anni fa al superamento del concorso pubblico, quindi senza un vero e proprio curriculum ministeriale, ma prima al lavoro solo con consulenze ben pagate.
Nel Governo Renzi del resto due dei referenti della legge, tra l’altro giovani, e con formazioni manageriali ed economiche, erano solo consulenti esterni al Ministero. Le critiche anche solo alla pessima scrittura della legge le abbiamo già fatte, ora ci preme riflettere su altri aspetti. In un sistema burocratico forte, che per noi dovrebbe essere l’ossatura di uno Stato, non si possono improvvisare le dirigenze e gli uffici amministrativi. Il depauperamento dei posti di lavoro pubblici, che sta purtroppo continuando, oltre a farci spendere più soldi nell’immediato, ne ipoteca molti per il futuro del sistema incapace a far fronte all’attuazione di leggi sbagliate e ai buchi delle incompetenze ed improvvisazioni; si sta solo attuando un lento ed inesorabile declassamento della scuola della Repubblica, nella quale rimarrà l’individualismo, anche contrattuale più spinto e l’interesse a calmierare la perdita d’acquisto del proprio salario di contratti non rinnovati.
L’opportunità nella scuola prende sempre di più il posto del merito, dire il contrario è solo spot elettorale populistico. Ci sono posti di lavoro nella scuola pubblica? Secondo noi sì. Guardiamo per esempio la situazione delle dirigenze scolastiche. Già da anni, e quest’anno sembra ancora più problematico, ci sono tantissime reggenze in molte scuole, cioè molti dirigenti hanno, oltre la loro titolarità, altre scuole da seguire. Non bastavano il lavoro e le aumentate responsabilità il Governo ha pensato di assegnare ai dirigenti scolastici e alle scuole anche l’obbligo del controllo delle vaccinazioni degli alunni. Accenniamo soltanto ai nostri ricordi di medicina scolastica altro settore sparito nell’organizzazione dello Stato italiano. Per il nostro discorso sia tratta di altri posti di lavoro spariti, poi in altra sede potremo esaminare le altre conseguenze.
Sulla questione dirigenti scolastici ricordiamo che dieci anni fa al concorso indetto dopo tantissimi anni la commissione preposta in Emilia-Romagna bocciò moltissimi candidati; non crediamo fossero tutti così incapaci per assumere compiti dirigenziali rispetto ai pochi altri assunti. Le attuali reggenze sono altri posti di lavoro che non vengono assegnati; sappiamo che tutto ciò che raccontiamo non ha l’obiettivo primario dell’efficienza del sistema, ma solo dell’economicità, spending review eccetera.
Emerge sempre la contraddizione con l’idea centrale della legge regionale sul contratto di solidarietà espansiva. Rispetto ai principi solidaristici, quelli che si spiegano con i termini di redistribuzione del reddito o di progressività di carico fiscale o di impegni dello Stato per limitare le differenze economiche e sociali, ci sono poi altri elementi più generali, a livello nazionale, che dovrebbero essere cambiati con leggi appropriate. Per esempio le ore di straordinario dovrebbero essere tolte ed anche la questione delle pensioni dovrebbe essere affrontata con gli stessi principi.
Ci permettiamo di fare qualche domanda a questo proposito.
Quanti sono i dirigenti, soprattutto pubblici, che negli anni passati (a regime pensionistico retributivo) sono passati alla funzione dirigenziale nell’ultimo anno di lavoro per potersi assicurare una pensione più alta? Quanti sono coloro in pensione da anni senza aver contribuito come succede oggi alle spese della propria previdenza?
C’è una fenomenologia su questi temi, forse solo italiana; ci può aiutare a spiegare le risposte alla domanda fatta nella ricerca che accompagna la proposta di legge regionale del consigliere AER Piergiovanni Alleva: si chiede se si è d’accordo con il contratto di solidarietà espansiva, ricordando che nella futura pensione nulla cambierà. Sono i dirigenti, e i quadri sociali più alti quelli più favorevoli, lo sono meno gli operai.
Forse è una congettura sbagliata, ma sappiamo che attualmente l’INPS deve intaccare i versamenti degli operai (la cui previdenza non è in passivo) per far fronte alle richieste pensionistiche di molti quadri, dirigenti per esempio, le cui casse previdenziali, come quelle dell’INPDAP sono in passivo. La differente risposta data alla domanda può comprendere meglio le differenze che si creano e si sono sempre create fra chi vive o sopravvive nella realtà quotidiana e chi invece vive ancora in un limbo di settori che, nonostante i cambiamenti in atto, si mantengono ancora nell’idea dell’assistenzialismo e/o del privilegio. Non sappiamo se sia un problema soltanto per noi italiani, ma la nostra storia legislativa l’ha certamente ampliata.
Per ritornare alla questione contratto di solidarietà espansiva nel settore scolastico ci chiediamo perché si continuano in questi ultimi vent’anni a fare campagne sempre più spinte per dare minore importanza al lavoro quotidiano in classe dei docenti a favore di progettualità e continui aggiornamenti in cui l’unica cosa certa rimane la dequalificazione della professionalità docente per qualcosa di esterno che magari non ha neppure una certificazione precisa e comunque depaupera in termini economici le scuole e gli uffici ministeriali delle poche risorse a loro destinate.
A proposito di risorse non si possono dimenticare le maggiori risorse pubbliche date alle scuole paritarie per le quali non c’è mai la sicurezza nel controllo del personale docente e dei loro contratti. L’idea di solidarietà espansiva dovrebbe passare anche da e parti e, secondo noi, dovrebbe essere obbligatoria.
Dovrebbe poi passare anche da un controllo maggiore dei secondi lavori e dei lavori in nero, oltre che dall’eliminazione della possibilità di continuare a lavorare una volta in pensione; anche se la pensione viene decurtata ci sembra che lo spazio per ore a favore di contratti per i giovani ci possano essere anche in queste opportunità di utilizzare per anni personale in pensione.
Possiamo poi vedere che tra le risorse economiche che da anni vengono spese nelle scuole, spesso rimangono a favore degli stessi insegnanti soprattutto delle superiori di secondo grado (e, visto che sono pagati in modo diverso da altre attività, chi li fa ha un’ulteriore fonte di reddito) sono le quote relative ai corsi di recupero che dovevano servire a togliere il nero dei corsi di ripetizione. Poi forse, come per le altre forme descritte sopra, ha potuto calmierare le richieste di molti insegnanti per i mancati rinnovi contrattuali e il prolungamento o l’annullamento degli scatti di anzianità.
Questi ultimi avvenivano in automatico, e, a differenza di oggi, non c’era la possibilità di concorrere anche con la discrezionalità del dirigente, ad ulteriori premialità; già con il fondo incentivante inserito sempre per le ragioni esaminate dopo l’autonomia scolastica (che in molte parti fra l’altro è ancora parzialissima), ma soprattutto oggi con la legge “buona scuola(?)”- sempre più si sta rivelando un eufemismo questa dicitura sbandierata dal jockey Renzi -, si tratta di situazioni che, oltre a far cambiare i rapporti fra professionisti all’interno degli stessi istituti, creano nei fatti insegnanti di serie A e B senza che vengano chiaramente definite e quindi controllate nel reale merito, le diverse competenze attribuibili ad istituti giuridici diversi.
Abbiamo voluto esaminare solo un settore del pubblico per osservare come la proposta di legge regionale del Prof. Alleva potrebbe facilitare un cambiamento anche a livello nazionale, mettendo in atto forme di lavoro e di vita più solidaristiche ed in linea con la Costituzione Italiana
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Fonte: Il manifesto Bologna 

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