La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 23 settembre 2017

Modello Ryanair in crisi. Il neoliberismo battuto sui salari

di Claudio Conti
L’inaspettata crisi di Ryanair è la crisi di un modello di business neoliberista che ha fatto furore negli ultimi 30 anni, contribuendo in modo decisivo allo smantellamento del sistema di welfare europeo e delle regole del mercato del lavoro. Dal punto di vista dal “personale dipendente”, Ryanair ha indubbiamente imposto salari bassissimi rispetto agli standard del trasporto aereo, turni assurdi in dispregio delle stesse normative europee sulla sicurezza (un pilota stanco è un pilota pericoloso…), zero diritti sindacali, licenziabilità ad libitum. Se questo fosse stato sufficiente a creare una compagnia low cost di successo, tutte le altre compagnie avrebbero seguito la stessa strada (e in misura notevole lo hanno anche fatto) spostando la concorrenza sul livello più basso possibile del costo del lavoro. Il successo clamoroso – nelle dimensioni dei profitti – ha invece arriso quasi alla sola società di Michael O’Leary, mentre molte altre compagnie low cost sopravvivono appena dignitosamente e qualcuna fallisce miseramente (la tedesca Air Berlin, che pure ha alle spalle l’esperienza e la potenza di Lufthansa).
In fondo gli altri costi industriali (prezzo dei velivoli, manutenzione, carburante, tasse aeroportuali, ecc) sono uguali per tutti i vettori. Dunque il solo costo del lavoro basso non può bastare.
Il segreto del successo di Ryanayr deve dunque stare da qualche altra parte. E in effetti è una delle poche compagnie – è stata la prima – ad aver sottoscritto oltre un quarto di secolo fa accordi con consorzi pubblico-privati interessati ad aumentare il traffico passeggeri sul proprio territorio (utenza business e turistica), sfruttando piste e aeroporti marginali e poco utilizzate. Questi consorzi versano annualmente quote finanziarie e contribuiscono a migliorare notevolmente i bilanci Ryanair, permettendole una politica tariffaria particolarmente aggressiva (su una certa quota di posti su ogni aereo, gli altri sono a prezzo “di mercato”) in grado di sbaragliare molta concorrenza (a partire ovviamente dalle compagnie più antiche e “paludate”, anche sul piano contrattuale).
Il secondo elemento strutturale è l’ottenimento dalle autorità nazionali di slot appetibili (diritti di atterraggio e decollo negli orari più richiesti) sui singoli aeroporti, garantendosi così un buon ventaglio di opzioni per programmare i voli. Qui si è misurata l’abilità politica di O’Leary o, al contrario, la dabbenaggine di alcuni governi europei. In Italia, per esempio, a Ryanair sono stati concessi slot vantaggiosi (in termini di orario) anche sulle tratte interne più redditizie (la Roma-Milano, fino a qualche anno fa), aprendo dunque le porte alla concorrenza in dumping contro Alitalia (che allora era compagnia pubblica). La quale, contemporaneamente, veniva gestita da incompetenti o complici che privilegiavano il “medio raggio” – il meno redditizio e più esposto alla concorrenza delle low cost – a discapito del lungo raggio (memorabile la chiusura della Roma-Pechino mentre si andava verso le Olimpiadi cinesi…).
In Francia, al contrario, lo Stato difendeva la tratta Marsiglia-Parigi (tesoretto della società pubblica Air France) senza neanche un divieto formale; bastava offrire slot inutilizzabili con profitto, e Ryanair rinunciava. Anche per arrivare a Parigi da altri paesi, in fondo, ti fanno scendere a Beauvais (80 km a nord), mica a Ciampino (ai bordi del Raccordo Anulare).
Modello comunque inattaccabile? A quanto pare no. E addirittura offrendo stipendi molto più alti, oltre ad altri benefit impensabili dentro lo schema della “concorrenza basata sul taglio dei salari”.
Nei mesi scorsi diversi media mainstream avevano riportato, come fosse una stranezza tutta orientale, che grandi compagnie aeree asiatiche – soprattutto cinesi – stavano girando l’Europa per assumere piloti offrendo stipendi favolosi (fino a 250.000 euro annui, vedi qui). Morta lì? No, perché a quanto pare li stanno trovando proprio dalle parti di Ryanair e simili, più che tentati da un salario 4-5 volte più alto, oltre ad alloggio, scuole e lavoro per l’intera famiglia. Il che ha svuotato il parco piloti della compagnia irlandese costringendola a cancellare centinaia di voli e ad offrire un bonus da 12.000 euro ai soli comandanti, nel tentativo.
Ovvio che non sarà sempre così. Prima o poi anche le compagnie cinesi copriranno i vuoti d’organico esistenti in questa fase di sviluppo accelerato del mercato interno, e non avranno dunque più bisogno di offrire cifre così alte. Ma intanto segano le gambe alla concorrenza, preparando il terreno a un’espansione verso altri mercati.
La prova arriva direttamente da IlSole24Ore che pubblica una lettera abbastanza sconclusionata di un giovanissimo pilota fuggito tra le munifiche braccia cinesi.
Al di là delle evidenti sciocchezze “ideologiche” (il giovane professionista è convinto per esempio che il debito pubblico italiano sia cresciuto per “elevare lo stile di vita” dei coetanei di suo padre, mostrando così di essere una vittima del “senso comune” sparso dai media), questa testimonianza mostra con chiarezza come quelle politiche neoliberiste abbiano prodotto una declino inarrestabile dei paesi che le hanno subite o adottate con gioia.
Tra un po’, infatti, l’ondata migratoria da questi paesi verso i punti alti dello sviluppo economico – la Cina, non gli Usa – sarà inarrestabile perché trainata dalladinamica salariale. Per le professioni di punta, naturalmente; tutti gli altri – braccia a disposizione sottocosto per l’industria, il commercio e i servizi – li lasceranno volentieri nei paesi d’origine. Fin quando non scapperanno, magari su un barcone…

Fonte: Contropiano 

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