La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 19 settembre 2017

Sinistra. L’unità, la lista, il partito

di Paolo Ciofi
Dov’è la sinistra? Dopo il referendum del 4 dicembre dell’anno passato, che con il clamoroso rovescio dello statista di Rignano e del suo tentativo di arronzare l’impianto costituzionale sugli interessi dominanti del capitale finanziario ha terremotato l’intero sistema politico, oggi la domanda continua a rimbalzare qua e là senza trovare un preciso ubi consistam. Tuttavia, nonostante la confusione delle lingue e anche dei simboli, a sinistra del partito di Matteo Renzi si sono venute delineando due tendenze sufficientemente chiare.
Una, rappresentata da Articolo uno-Mdp, che intende dare forma a un nuovo partito con l’obiettivo di ricostruire il centrosinistra coinvolgendo in posizione di leader l’ex sindaco di Milano e il suo Campo progressista: come ha sostenuto Pier Luigi Bersani, «si tratta di rivitalizzare il centrosinistra promuovendo un soggetto politico progressista e popolare». L’altra, impersonata da Anna Falcone e Tomaso Montanari, che dopo il successo nel referendum si propone di dare vita a «una sola lista a sinistra, capace di portare in Parlamento un popolo che vuole finalmente attuare il progetto della Costituzione». Nel mezzo, diverse sigle e formazioni, tra cui Sinistra italiana, piuttosto incerta sulla via da seguire, e Rifondazione comunista, da tempo priva di rappresentanza parlamentare, orientata verso la seconda opzione.
In questo quadro, qual è la posta in gioco? Solo il governo, o qualcosa di molto più rilevante e decisivo, vale a dire lo stesso ordinamento democratico della Repubblica fondata sul lavoro? E non per responsabilità dei migranti, ma perché una parte crescente della classe dominante, compreso Renzi, intende scardinare il patto costituzionale tra gli italiani. Se di questo si tratta, come appare evidente per mille segni, allora il problema non è rivitalizzare il centrosinistra, ma lottare per una radicale svolta politica e sociale. Giuliano Pisapia, chiuso in un mondo politicista che non esce da schemi del passato, appare lontano mille miglia dalla portata reale della posta in gioco. D’altra parte, però, la stessa prospettiva indicata da Bersani è tutt’altro che convincente e adeguata alla fase.
Che senso ha oggi riproporre il centrosinistra, se è dubbio che esista un centro ed è certo che non esiste la sinistra? Il problema da cui dipende tutto il resto, compreso il governo, è costruire la sinistra che non c’è. Non una sinistra del capitale, ma una sinistra che affondi le radici nel vasto e complesso mondo del lavoro, segnato da forme di sfruttamento primitive e violente, dal precariato crescente e in pari tempo da una rivoluzione scientifica e digitale in perenne movimento. Una sinistra popolare e di massa, di lotta e di governo, in quanto si proponga di far assurgere le lavoratrici e i lavoratori, tutti coloro i quali per vivere devono lavorare, al rango di classe dirigente come la Costituzione prevede.
O si raccoglie la forte spinta alla partecipazione democratica che si è espressa il 4 dicembre 2016 seppure con motivazioni diverse, dandole una limpida risposta politica sul terreno dell’attuazione della Costituzione, o siamo condannati a un’ulteriore regressione sociale e civile, a un avvenire ancora più incerto e oscuro. Altre strade non ce ne sono. Ed è proprio su questo terreno che la sinistra può riscoprire le sue ragioni storiche, assumendo i principi costituzionali per rifondare se stessa.
«Intorno al lavoro si edifica l’intero patto sociale». Perciò «togliere lavoro alla gente o sfruttare la gente con lavoro indegno o malpagato, è anticostituzionale». Lo dice papa Francesco. Bersani, invece, non arriva a dire con chiarezza che occorre il completo ripristino dell’articolo 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori: facciamo 17 e mezzo, continua a dichiarare. Ma non è credibile intestare al proprio partito virtuale l’articolo 1 della Costituzione se poi non si combatte con coerenza per l’uguaglianza sostanziale - la vera innovazione rivoluzionaria della nostra Carta (art.3) - e per la tutela del lavoro «in tutte le sue forme ed applicazioni» (art.35).
La linea Bersani-Pisapia, ammesso che riesca a emergere e consolidarsi, appare inadeguata e perdente proprio perché, invece di raccogliere la spinta all’unità e alla partecipazione che si è espressa nel referendum, tende a depotenziarla. E a impastoiarla dentro uno schema leaderistico, come è già avvenuto in altre circostanze nel passato. Nella sostanza, una linea subalterna e divisiva, che non è in grado di rispondere alle motivazioni profonde dello stato di insoddisfazione, di malessere e di rifiuto della politica diffuso nella società.
Il movimento Per la democrazia e l’uguaglianza promosso da Falcone e Montanari si propone invece di costruire una sola lista a sinistra con l’obiettivo di attuare la Costituzione facendo leva sulla spinta unitaria e partecipativa del referendum. La proposta di rivitalizzare il centrosinistra inevitabilmente divide e guarda al passato. Al contrario, la proposta di attuare la Costituzione unisce e guarda al futuro. Certamente è l’unica vera novità di questa stagione politica, e non di poco conto. Già solo per questo dovrebbe essere considerata con maggiore curiosità e attenzione. Per la prima volta, infatti, durante i lunghi anni della cosiddetta seconda repubblica viene posto in modo chiaro, in una competizione elettorale, il tema dell’attuazione della Costituzione, non della sua cancellazione o revisione.
Finalmente, la Costituzione antifascista viene assunta per quello che è: un progetto originale di nuova società, da attuare in Italia e da diffondere in Europa, che fondando la repubblica sul lavoro, ridefinisce i principi di democrazia, di uguaglianza e libertà con l’obiettivo di aprire la strada a una civiltà più avanzata. Un progetto straordinariamente attuale. Certamente idoneo, oggi, a farci uscire dalla crisi di un ordinamento economico imperniato sullo sfruttamento della persona umana e sulla distruzione dell’ambiente, e lacerato da contraddizioni insanabili di cui le migrazioni sono la manifestazione più evidente e drammatica. Finalmente, si è scoperto che abbiamo nelle mani una bussola per orientare il cammino verso un reale cambiamento.
La proposta di Montanari e Falcone, tuttavia, non è di facile attuazione, perché richiede anche a sinistra del Pd un taglio netto rispetto al passato. Rimuovendo vecchie pratiche gruppettistiche e deleterie abitudini leaderistiche. Compiendo una vera e propria rivoluzione copernicana nella pratica della politica: prima i programmi e poi gli schieramenti. Costruendo gruppi dirigenti centrali e periferici che padroneggino pienamente la cultura creativa e modernamente rivoluzionaria della nostra Carta. Ma proprio perciò tutti quelli che apprezzano la proposta - persone, partiti, movimenti - non possono stare alla finestra, in attesa degli eventi. Devono prendere l’iniziativa, coordinarsi per mettere in campo iniziative comuni, aprire spazi nella società, fare proposte per la definizione di un programma concreto e incisivo, muovendo dalla condizione umana spesso insostenibile su cui crescono orientamenti autoritari e fascitici.
Il programma non può ridursi all’assemblaggio di buone intenzioni. Deve essere un progetto coerente di cambiamento con l’indicazione di obiettivi concreti per cui vale la pena di impegnarsi e lottare, e per la cui realizzazione occorre saper organizzare il conflitto nella società. Per questo la lista unitaria non basta. È solo un passaggio necessario, utile se porterà alla costruzione di una libera associazione di donne e di uomini, ossia di un partito, che assuma la Costituzione come tavola dei valori e si mobiliti con coerenza e determinazione per attuarne i principi e i diritti.
Una Repubblica democratica fondata sul lavoro in cui i lavoratori sono esclusi dalle decisioni politiche e non hanno alcun peso nella determinazione del proprio destino non può reggere a lungo. E l’attuazione della Costituzione resterà un bel sogno di anime belle se non si combatte tenacemente, anche sul terreno culturale, per mettere in campo una formazione politica in grado di organizzare e rappresentare il mondo del lavoro. È la priorità di questa fase. E i tempi non sono lunghi.

Fonte: paolociofi.it 

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