La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 5 febbraio 2016

A 50 anni dalla morte di Camilo Torres. Prete guerrigliero, icona dei cristiani rivoluzionari










di Claudia Fanti
A cinquant'anni dalla morte, è con occhi nuovi che si guarda alla figura del prete colombiano Camilo Torres, icona dei cristiani impegnati nel cammino della rivoluzione, caduto nella sua prima esperienza di combattimento il 15 febbraio del 1966, appena quattro mesi dopo il suo ingresso nella guerriglia dell'Esercito di liberazione nazionale. In seguito alla richiesta dell'Eln al governo colombiano di localizzare i suoi resti mortali – come gesto di buona volontà per l'inizio, ormai imminente, dei negoziati di pace tra il governo e il movimento guerrigliero (che si annunciano sicuramente più brevi di quelli tuttora in corso, ma prossimi alla firma dell'accordo, con le Farc) – le autorità colombiane hanno annunciato, il 25 gennaio, la riesumazione, nel cimitero di Bucaramanga, la capitale del dipartamento di Santander, di resti che, come ha spiegato il direttore dell'Istituto Nazionale di Medicina Legale Carlos Valdés, potrebbero appartenere al sacerdote guerrigliero (ci vorrà però del tempo per avere la conferma attraverso gli esami del dna). 
È stato il generale Álvaro Valencia Tovar, scomparso nel 2014 e all'epoca comandante della V Brigata dell'esercito con sede a Bucaramanga, a rivelare nel 2007, in un'intervista concessa alla rivista Semana, di aver dato l'ordine di seppellire il corpo del sacerdote, di cui egli era stato amico (da bambino, suo padre, un medico affermato, lo aveva guarito dalla febbre tiroidea), in un punto separato dalle fosse degli altri guerriglieri, incaricando un ufficiale topografo di prendere nota del luogo esatto in cui era stato deposto, con l'intenzione di consegnare i suoi resti ai familiari non appena fosse stato possibile. Tre anni dopo la sua morte, però – aveva rivelato il generale – egli aveva ordinato di riesumare i resti di Camilo Torres e di depositarli nel cimitero militare della Quinta Brigata, nella città di Bucaramanga, a fianco degli stessi soldati della brigata che lo aveva ucciso: «Che perlomeno, nel luogo dell'ultimo riposo, un soldato possa riposare accanto a un guerrigliero, questo per me ha un valore simbolico», aveva spiegato il generale, che tuttavia non aveva rivelato l’esatta ubicazione delle spoglie del sacerdote.
L'autorizzazione da parte del presidente Santos alle ricerche dei resti del prete guerrigliero è stata apprezzata anche dalla Chiesa, a cui peraltro l'Eln ha rivolto la richiesta «di riconsegnargli il suo posto come sacerdote», riconoscendo in lui «la realizzazione più sincera dell'impegno sociale della Chiesa con i poveri»: «il recupero dei resti mortali è un segnale di riconciliazione», ha dichiarato l'arcivescovo di Cali Darío de Jesús Monsalve, che fa parte della commissione ecclasiastica incaricata di mediare con l'Eln e che si è detto convinto dell'opportunità di restituire al prete guerrigliero la sua dignità sacerdotale. In un'epoca in cui le antiche contrapposizioni cedono il passo alla necessità di dialogare per «salvaguardare un futuro comune», in particolare nell'attuale congiuntura colombiana, «Camilo – ha spiegato il vescovo in un'intervista a El Tiempo (27/1) – diventa ora una figura “ponte” in grado di collegare tra loro sponde opposte», tanto più che, afferma il vescovo, la sua lotta affonda le radici, «più che nella sfera ideologica, nell'esperienza popolare, più che nella lotta di classe, nell'unità come principio etico di ogni azione di trasformazione collettiva e in una pedagogia a partire dal mondo dei poveri». Con «il suo messaggio cristiano sulla prassi dell'“amore efficace”», con «la sua denuncia della tirannia» di un sistema di violenza istituzionalizzata, la sua figura, ha evidenziato il vescovo, può davvero servire da riferimento per condurre il popolo colombiano e il suo governo a concordare una serie di trasformazioni a livello economico, ecologico, sociale e politico.
Di sicuro, però, è anche la Chiesa che deve riconciliarsi con la memoria del prete colombiano. Entrato nella guerriglia appena un anno prima della sua morte, a 35 anni, Camilo Torres, proveniente da una famiglia della borghesia liberale, aveva condotto i suoi studi di Sociologia all'Università cattolica di Lovanio, in Belgio, per insegnare poi, a Bogotà, nella Facoltà di Sociologia che aveva contribuito a fondare. Benché fosse stato proposto come nuovo rettore dell’Università di Bogotà, il card. Concha y Cordoba aveva preferito assegnargli l'assai meno pericolosa direzione dell’Istituto di Amministrazione Sociale, puntando in questo modo a imbrigliarne l'ansia di rinnovamento. Ma Camilo non ci aveva messo molto a capire che non era con dettagliati documenti sulla povertà che si sarebbe riusciti a sollevare le condizioni di vita della popolazione sfruttata e che solo la rivoluzione avrebbe offerto una via d'uscita: quello di cui c'era bisogno, pensava, era una pressione da parte delle masse e dipendeva solo dal comportamento della classe dirigente il fatto che tale pressione potesse tradursi in una lotta pacifica o violenta. «Sono un rivoluzionario – affermava –, come colombiano, come sociologo, come cristiano e come sacerdote. Come colombiano, perché non posso estraniarmi dalle lotte del mio popolo. Come sociologo, perché grazie alla mia conoscenza scientifica della realtà, sono giunto alla convinzione che le soluzioni tecniche ed efficaci non sono raggiungibili senza una rivoluzione. Come cristiano, perché l'essenza del cristianesimo è l'amore per il prossimo e solo attraverso una rivoluzione si può ottenere il bene della maggioranza. Come sacerdote, perché dedicarsi al prossimo, come la rivoluzione esige, è un requisito dell'amore fraterno indispensabile per celebrare l'eucarestia».
In questo quadro, non poteva certo essere il marxismo il nemico da abbattere: «Ritengo che il Partito Comunista abbia elementi autenticamente rivoluzionari e, pertanto, non posso essere anticomunista né come colombiano» – «perché l'anticomunismo mira a perseguire i compatrioti discordi, comunisti o meno, in maggioranza poveri» –, «né come sociologo» – «perché nei progetti comunisti per combattere la povertà, la fame, l'analfabetismo (…), si trovano soluzioni efficaci e scientifiche» – «né come cristiano» – perché l'anticomunismo implica una condanna in blocco di tutto quello che difendono i comunisti, comprese le cose giuste, «e ciò è anticristiano» –, «né come sacerdote – «perché, benché gli stessi comunisti non lo sappiano, tra essi possono esserci molti autentici cristiani». Così, se da un lato «i comunisti devono sapere molto bene che (…) non sono né sarò comunista», dall'altro, afferma, «sono disposto a lottare con essi per obiettivi comuni: contro l'oligarchia e il dominio degli Stati Uniti, per la presa del potere da parte della classe popolare». E ciò in linea con la Pacem in terris di Giovanni XXIII in cui, a proposito del rapporto con movimenti non cristiani, si esprimeva una chiara apertura: «Può verificarsi che un avvicinamento o un incontro di ordine pratico, ieri ritenuto non opportuno o non fecondo, oggi invece lo sia o lo possa divenire domani. Decidere se tale momento è arrivato come pure stabilire i modi o i gradi di una eventuale consonanza di attività al raggiungimento di scopi economici, sociali, politici onesti e utili al vero problema della comunità, sono problemi che si possono risolvere soltanto con la virtù della prudenza, che è la guida delle virtù che regolano la vita morale sia individuale che sociale».
Dimesso da tutti gli alti incarichi che ricopriva all'Università e destituito dal sacerdozio – vescovi e sacerdoti non gli perdonavano tra l'altro il fatto che avesse sollecitato l'espropriazione dei beni della stessa Chiesa –, Camilo promosse la costituzione del Fronte Unito del Popolo allo scopo di unire tutte le forze di sinistra, rivolgendosi a tal fine «alla classe popolare, alla classe media, ai sindacati, alle cooperative, alle leghe contadine, alle organizzazioni operaie, indigene, a tutti i ribelli, gli uomini, le donne, i giovani…» e immaginando una struttura democratica dal basso verso l’alto, plurale ed estranea a ogni avanguardismo, in quanto dovevano essere le maggioranze ad avere accesso al potere politico, in fedeltà all'ideale cristiano di giustizia e liberazione.
Convintosi infine – come altri esponenti della Teologia della Liberazione nel contesto delle lotte guerrigliere dei decenni ‘60 e ‘70 – che la lotta armata fosse l'unica via per poter realmente sollevare le condizioni di vita del popolo, era entrato nell'Esercito di Liberazione Nazionale, cadendo, nel suo primo scontro con l'esercito, sotto i colpi della V Brigata.
Ma sempre, fino all'ultimo, l’amore per il prossimo restò la misura della sua azione, un amore che, per essere «sincero e vero», doveva essere necessariamente «efficace» e dunque saldamente ancorato alle scienze politiche.

Fonte: Adista News

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