La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 4 febbraio 2016

Estetica ed economia in Croce

di Paolo D'Angelo
Che cosa mai potranno avere in comune Estetica ed Economia? La scienza che studia «il lato più bello della storia del mondo» (Hegel dixit) e la dismal science? Quella che si occupa della più disinteressata tra le attività umane e quella che ha che fare con i bisogni? Quella che si confronta con la dura necessità e quella che si dedica al superfluo? Nulla o ben poco, vien da pensare. Esse sembrano legate piuttosto, come è stato detto, da «un’ostilità strutturale e reciproca», che le costituisce «l’una come negazione dell’altra», la prima consacrata all’inutile, la seconda al suo opposto[i].
Benedetto Croce non la pensava così. Egli ha infatti apparentato queste due scienze in un saggio un tempo famoso, oggi ben poco conosciuto, mettendone in luce le analogie e scoprendo in esse un «fondo» comune. Lo scritto crociano fu composto nel 1931; apparve in volume, per la prima volta, negli Ultimi saggi del 1935, e successivamente è stato ristampato anche in appendice alla edizione laterziana del Breviario di estetica in collana economica, e si intitola Le duescienze mondane. L’Estetica e l’Economica[ii].
Ma cosa unisce secondo Croce due discipline a tutta prima tanto distanti? In primo luogo si tratta, agli occhi di Croce, di due scienze eminentemente moderne. L’antichità e il Medioevo non le conobbero, o ne conobbero solo accenni, incunaboli, precorrimenti. Come scienze vere e proprie, esse sorsero unicamente nel Settecento, che non è solo il secolo che vide il battesimo e il rigoglio dell’estetica, a partire da Baumgarten (seppure Croce, in proposito, avrebbe citato piuttosto Vico), ma anche quello in cui l’economia politica assurse a dignità scientifica, e apparve il primo capolavoro sistematico di teoria economica, la Ricchezza delle nazioni di Adam Smith. Prima di allora, naturalmente, non è che vita economica, politica e artistica non vi fosse, e neppure che mancasse qualsiasi riflessione sui fenomeni che la caratterizzano. Croce sapeva bene che l’antichità aveva dato importanti trattati di poetica, e qualche accenno di teoria economica e politica; egli era ben consapevole, inoltre, che l’estetica non sorge nel Settecento ex abrupto, ma si costruisce sull’ampia messe di trattati sulla poesia e le arti figurative composti a partire dal Cinquecento, così come l’economia e soprattutto la politica (vedremo che le due attività sono in Croce ricomprese sotto la categoria più generale dell’economico) avevano cominciato a guadagnare attenzione autonoma più o meno nello stesso periodo. Resta il fatto che la costituzione delle due discipline, e soprattutto il riconoscimento filosofico della loro autonoma dignità, è per Croce un acquisto imperituro del secolo dei Lumi.
A unire estetica ed economia è dunque, in prima istanza, un dato negativo, un’assenza: l’assenza di una scienza economica e di una scienza estetica nel mondo antico e in quello medioevale, epoche, scrive Croce nel saggio Inizio, periodi e caratteri della storia dell’estetica, caratterizzate «dal disinteresse verso quelle forme dello spirito che più fortemente si attenevano al mondo, al sensibile, al passionale: ossia, nella sfera pratica, verso la teoria delle vita politica ed economica, e, nella sfera teoretica, appunto verso la teoria della conoscenza sensibile o estetica»[iii].
Certo, Croce sapeva bene che nihil sequitur ex mere negativis, che da due determinazioni negative non può seguire nessuna affermazione, e infatti il saggio del 1931 non conclude affatto circa un carattere comune all’estetica e all’economia a partire dalla loro sostanziale assenza prima del Settecento. Piuttosto – correttamente da un punto di vista logico – vede la modernità delle due scienze come conseguenza di un carattere positivo condiviso da entrambe.
Questo carattere è quello sottolineato e annunciato fin dal titolo: estetica ed economia sono due scienze mondane. E «mondano», vale qui nel senso in cui si parlava un tempo di «sapienza mondana» in opposizione al sapere teologico: significa antitrascendente, antiascetico, profano. Estetica ed economia sono due scienze che mirano, in modo diverso ma in certo senso complementare, alla legittimazione del senso, della sensibilità, del desiderio e, al limite, del piacere.
Lasciamo che sia Croce a spiegare che cosa intende quando afferma che sono entrambe scienze del senso: «Che cosa, in ultima analisi, fanno queste due scienze? Per dirla in breve, esse intendono a giustificare teoricamente, ossia a definire e sistemare dandogli dignità di forma positiva e creativa dello spirito, quel che si chiama il “senso”, e che, oggetto di diffidenza o addirittura di negazione e di esorcismi nel Medioevo, l’età moderna, nella sua opera effettuale, veniva rivendicando. E poiché il “senso” aveva due congiunti ma distinti significati, e designava, da una parte, quel che nel conoscere non è logico e raziocinativo ma sensibile e intuitivo, e, dall’altra, quel che nella pratica non è per sé morale e dettato dal dovere ma semplicemente voluto perché amato, desiderato, utile o piacevole, la giustificazione dottrinale metteva capo, da una parte, alla logica dei sensi o logica poetica, scienza del puro conoscere intuitivo o estetica, e, dall’altra, alla edonistica, alla logica dell’utile, all’Economica nella sua più larga comprensione: che era né più né meno che la teoretica e filosofica “redenzione della carne” come si suol chiamarla, cioè della vita in quanto vita, dell’amore terreno in tutte le sue guise»[iv].
Almeno per quanto riguarda l’estetica, la determinazione di «scienza del senso» appare largamente giustificata, anche solo dal nome della disciplina, che nasce appunto come scientia cognitionis sensitivae. È vero però che questa accezione dell’estetica, oggi tornata ampiamente in auge, può in qualche modo sorprendere in Croce, che di solito viene interpretato come una fautore di un’estetica identificata con la filosofia dell’arte. Qui Croce sembra invece aderire appieno ad un’idea baumgarteniana di estetica come scienza della sensibilità, un’idea che, pur presente nella prima formulazione dell’estetica crociana (quella delle Tesi di estetica del 1900 e poi della grande Estetica del 1902), si era andata poi attenuando negli sviluppi successivi, più marcatamente idealistici, della sua filosofia.
Non per nulla, infatti, nella seconda parte dello scritto del 1931, intitolata Spirto e natura (mentre la prima parte, ricordiamolo, si intitola Spirito e senso) Croce svolge alcune osservazioni che, pur andando nella stessa direzione delle affermazioni appena riportate, si presentano più in linea con la prospettiva filosofica del Croce maturo. Le due scienze mondane, l’estetica e l’economica, precisa qui Croce, aiutano la filosofia nel suo complesso a superare il dualismo corrente tra realtà materiale o naturale e realtà spirituale. Lo fanno in quanto mostrano che ciò che chiamiamo «natura» è anch’essa un’attività spirituale: è la vita passionale, la vita degli impulsi e degli stimoli, che viene elaborata da un lato nella forma espressiva, artistica, dall’altro offre la base su ci viene a esercitarsi la vita morale. «Le due scienze filosofiche, che abbiamo dette precipuamente moderne e che si riferiscono l’una alla praxis nella sua vita dinamica e passionale, e l’altra alle figurazioni della fantasia, apprestano i dati necessari alla soluzione del problema, svelandoci l’oggetto per nient’altro che quella vita passionale, quegli stimoli, quegli impulsi, quel piacere e dolore, quella varia e molteplice commozione, che è ciò che si fa materia della intuizione e della fantasia e, attraverso di essa, della riflessione e del pensiero. La verità, in conseguenza di questa concezione, non sarà, dunque, da definire, come nella scolastica, adaequatio rei et intellectus, giacché la res come res non esiste, ma piuttosto (prendendo, beninteso, in modo metaforico il concetto dell’adeguazione), adaequatio praxeos et intellectus»[v].
Si tratta di un brano ricco di tensioni: per un verso è ancora la concezione famosa, anzi famigerata, della «natura» come costruzione pratico-economica, operata schematizzando l’infinita diversità del reale attraverso i concetti empirici o pseudo-concetti; per un altro, siamo già prossimi a qualcosa che avrà molto peso nell’ultimo Croce, ossia la concezione del «vitale» come fondo da cui si origina tutta la vita spirituale. Ci torneremo alla fine di questo saggio.
Intanto, è opportuno aggiungere due precisazioni. La prima è di carattere terminologico. Come si sarà notato, il termine adottato da Croce non è quello che abbiamo impiegato nel titolo, economia, ma l’altro, più desueto, di «economica». Non è però in gioco solo una paleonimia, un esempio di quella lingua crociana che, diceva Gianfranco Contini, possiede la «deliziosa polverosità di un classico». Siamo di fronte a un fatto sostanziale. L’economica, per Croce, è una forma dello spirito, una delle quattro grandi forme in cui si articola il suo sistema (estetica, logica, economica ed etica), e non è l’economia degli economisti, che per lui è una scienza empirica. Ciò significa che nell’economica di Croce non entrano soltanto i fatti che anche noi siamo abituati a chiamare economici, ma anche la politica e il diritto[vi]. Proprio in riferimento alla politica Croce ha avuto buon gioco, nella prima parte dello scritto sulle Scienze mondane, a mostrare che una considerazione autonoma del «politico», in quanto distinto dalla morale, sorge solo nella modernità, e trova una prima decisa affermazione in Machiavelli.
La seconda osservazione non è solo terminologica, ma riguarda più in profondità la filosofia di Croce. Questa similitudine tra Estetica ed Economica, questa analogia che è molto di più di un’analogia, è una omologia di funzione, non è affatto qualcosa che Croce affermi solo nel saggio del 1931, e tantomeno una tardiva aggiunta secondaria. Tutt’al contrario, la corrispondenza di estetico ed economico è già tutta nella prima grande opera filosofica di Croce, l’Esteticadel 1902.
La prima Estetica (lo abbiamo appena visto nel saggio precedente), infatti, è sì un trattato di estetica, ma insieme, e non ostante l’esigua mole, un intero sistema di filosofia, una Filosofia dello Spirito in nuce. E il nucleo di questa filosofia dello Spirito è dato dalla distinzione di due grandi sfere di attività, la sfera teoretica, produttrice di conoscenze, e la sfera pratica, produttrice di azioni. Ognuna delle due sfere presenta poi al proprio interno una ulteriore bipartizione. L’attività teoretica è formata dalla conoscenza intuitiva, individuale, e dalla conoscenza logica, concettuale; l’attività pratica a sua volta consta di volizione del fine individuale (economica) e di volizione del fine universale (etica).
Come si vede, tra le due sfere c’è perfetta simmetria. E su di essa Croce insiste molto, fino a intitolare il capitolo dell’Estetica in cui viene introdotta la distinzione tra economica ed etica Analogie tra il teoretico e il pratico. Il capitolo si apre con queste parole: «Il doppio grado, estetico e logico, dell’attività teoretica, ha un importante riscontro, finora non messo in luce come si doveva, nell’attività pratica. Anche l’attività pratica si partisce in un primo e secondo grado, questo implicante quello. Il primo grado pratico è l’attività meramente utile o economica; il secondo, l’attività morale. L’Economia è come l’Estetica della vita pratica; la Morale, come la Logica»[vii]. Come si vede, non è questione di corrispondenze puramente architettoniche, estrinseche: Croce insiste sulla profonda similarità funzionale tra l’estetica e l’economica, e sottolinea che a legarle è il doppio grado di implicazione tra le attività che si situano sul gradino più alto di ogni sfera. La logica e l’etica non possono stare senza l’estetica e l’economica; queste invece possono sussistere senza l’apporto delle prime due. Ciò significa che come, secondo Croce, l’intuizione può stare senza il concetto, così l’attività pratica può stare senza l’attività etica, il che poi vuol dire che l’agire economico possiede la propria dignità anche senza essere inglobato nella più alta attività morale.
«Volere economicamente è volere un fine; volere moralmente è volere il fine razionale: ma appunto chi vuole e opera moralmente non può non volere e operare utilmente (economicamente). Come potrebbe volere il fine razionale, se non lo volesse insieme come fine suo particolare?. La reciproca non è vera; come non è vero in scienza estetica che il fatto espressivo debba essere di necessità congiunto col fatto logico. Si può volere economicamente senza volere moralmente; ed è possibile condursi con perfetta coerenza economica seguendo un fine obbiettivamente irrazionale (immorale)»[viii].
Croce faceva gran conto di questa sua «scoperta» dell’utile o economico come forma trascendentale dello Spirito. Gli pareva, non del tutto a torto, che questa fosse una delle novità radicali della sua filosofia. Nelle Tesi di estetica si leggeva un’appassionata perorazione dell’utile: «O perché il povero Utile è sempre stato oggetto dei disdegni dei filosofi ai quali è parso di scapitare nei contatti con esso? O perché, ora che cominciano a rivolgervi lo sguardo, vogliono per forza abbassarlo a una semplice categoria psicologica, che non si sa che cosa possa essere? Solleviamo l’Utile alla pari del Bello, ed usiamo verso quello l’indulgenza che si è usata verso questo: egli la merita!»[ix].
Sarebbe facile estendere queste analogie a molti punti particolari. Per esempio il teorema capitale dell’estetica crociana, l’identità di intuizione ed espressione ha un preciso riscontro sul versante pratico nella identità di volizione e azione (ma non di volizione e accadimento esterno). Qui vorrei limitarmi a due sole osservazioni. La prima è che il tipo di articolazione sistematica tra le attività spirituali comporta una fortissima accentuazione dell’autonomia tanto dell’attività estetica che di quella economica. La seconda, e connessa, è che questa autonomia, mentre resterà sempre una pietra angolare e un punto di forza dell’estetica crociana, come autonomia del momento economico creerà a Croce parecchi problemi. Una prima spia dei quali è la frase che egli aggiunse a conclusione del passo dell’Estetica sopra riportato. A partire dalla terza edizione, dopo «Si può volere economicamente senza volere moralmente; ed è possibile condursi con perfetta coerenza economica seguendo un fine obbiettivamente irrazionale (immorale)», Croce aggiungeva la precisazione non priva di difficoltà «o piuttosto che tale sarà giudicato in un grado superiore della coscienza»[x]. E si capisce perché. In questione c’è, nientemeno, che il problema dell’autonomia della politica dall’etica, e delle conseguenze di una totale autonomizzazione della prima dalla seconda. Croce si arrovellerà a lungo su questo punto, ma qui a noi giova trascorrere ad un altro ordine di considerazioni.
Per Croce la rivalutazione dell’utile e la scoperta dell’economico non sono una escogitazione a tavolino, o il frutto di una combinatoria astratta di forme spirituali. Tutto al contrario, nascono da una conoscenza approfondita e da un confronto prolungato con la scienza economica del suo tempo. Certamente, Croce non è stato un economista, ma si è occupato intensamente di economia negli anni dal 1895 al 1898, e anche oltre. Il titolo che abbiamo dato a questo piccolo saggio, Estetica ed economia, non era dunque un titolo dato pour épater, ma allude al fatto che l’economico di Croce è anche la scienza economica vera e propria, che euristicamente ricopre un ruolo tutt’altro che secondario nella formazione della filosofia crociana.
L’interesse di Croce per la scienza economica nasce quasi all’improvviso, ed è dovuto all’influsso di Antonio Labriola. Nell’aprile del 1895 Labriola invia a Croce il suo saggio In memoria del Manifesto dei Comunisti. Croce ne è subito molto colpito. Capisce immediatamente che il banco di prova del marxismo è la teoria economica di Marx (per Croce il marxismo è prima di tutto una dottrina economica, e non una filosofia: l’esatto contrario di quel che ne penserà Gentile). E si getta a capofitto nello studio della scienza economica. Non solo quella di Marx, ma l’intera dottrina economica: da classici Smith e Ricardo ai contemporanei, Marshall in particolare, e poi la cosiddetta «scuola austriaca» di Böhm-Bawerk. L’attenzione per il problema del valore nasce tutta da qui: e si può dire che Croce trasferisca il problema del valore dall’economia alla filosofia in generale, e in particolare all’estetica.
Di solito si interpretano gli studi economici crociani come una parentesi significativa ma chiusa entro limiti ben precisi, che sono poi, a monte, i primi studi di estetica (quelli sulla storia del 1893 e quelli sulla critica letteraria del 1894), e a valle il periodo di gestazione dell’Estetica (1898-1900). E si conclude, come fa uno studioso per altro autorevolissimo, che «attorno al 1898 l’estetica scacciò l’economia»[xi]. Si tratta però di una conclusione palesemente affrettata. È proprio dagli studi economici che Croce riceve la convinzione della necessità di fondare l’utile economico in una forma della coscienza, cioè non su di un piano psicologico ma su di un piano trascendentale. Sarà proprio saldando questo procedimento con quello compiuto in ambito estetico e in ambito morale che il sistema di Croce, e con esso la sua estetica, potrà cominciare a prendere una fisionomia determinata.
Citerò solo due passi a sostegno di questa interpretazione. Il primo è tratto da una lettera di Croce a Gentile del 23 novembre 1898. Nella lettera Croce annuncia di non voler più occuparsi di materialismo storico, dichiara che raccoglierà i propri scritti sul marxismo e «li comporr[à] in volume come in una bara», e poi scrive: «non credo che il concetto dell’utile sia stato finora ben elaborato dai filosofi. Utile, piacevole, giovevole, sono tutti concetti da esaminare da capo; e a me pare che il risultato debba essere stabilire un concetto filosofico dell’utile da coordinare a quello dell’eticità, dell’esteticità ecc.»[xii].
Il secondo è un brano tratto dallo scritto Recenti interpretazioni della teoria marxistica del valore e polemiche intorno ad esse, un intervento del 1899: «Un’economia – scrive Croce – nella quale si prescinda dal valore, è come una logica nella quale si prescinda dal concetto, un’etica in cui si prescinda dall’obbligazione, un’estetica in cui si prescinda dall’espressione»[xiii].
Sono osservazioni che si potrebbero approfondire e che consentirebbero di comprendere meglio il percorso seguito da Croce nella formazione del suo pensiero. Qui, però, preferiamo concludere con una sola osservazione.
Abbiamo visto che nell’Estetica Croce scrive che «L’economia è l’estetica della vita pratica», e abbiamo cercato, sia pur brevemente, di chiarire il senso di questa affermazione. Chiediamoci ora, alla luce del tema che avevamo toccato di sfuggita, quello dell’espansione dell’economico nel vitale nei tardi scritti crociani, se sia possibile affermare anche l’inverso, e cioè che l’estetico è come l’economico della vita teoretica. In altre parole, possiamo dire che l’estetico si configura in Croce come una sorta di «vitale» della conoscenza, come qualcosa che, nel campo teoretico, svolge la stessa azione che il vitale svolge nella vita pratica? Ciò configurerebbe una grande dilatazione dell’esteticità, che permeerebbe ogni forma del nostro rapporto conoscitivo col mondo.
Ora, se si considera l’estetica di Croce come una «filosofia dell’arte» in senso tradizionale, evidentemente la risposta non può che essere negativa; se invece prendiamo in esame la posizione assunta da Croce nella prima Estetica, le cose mutano di parecchio. In quel testo, infatti, Croce, come abbiamo già accennato, assume una posizione non distante da quella di Baumgarten: l’estetica è scienza delle intuizioni, ma di tutte le intuizioni, non solo di quelle rare e speciali che chiamiamo correntemente opere d’arte. Tutte le intuizioni sono arte, le piccole come le grandi: «Tutta la differenza è quantitativa, e, come tale, indifferente alla filosofia, scientia qualitatum. A esprimere pienamente certi complessi stati d’animo vi è chi ha maggiore attitudine e più frequente disposizione, che non altri; e costoro si chiamano, nel linguaggio corrente, artisti: alcune espressioni, assai complicate e difficili, sono raggiunte più di rado, e queste si chiamano opere d’arte. I limiti delle espressioni-intuizioni, che si dicono arte, verso quelle che volgarmente si dicono non-arte, sono empirici: è impossibile definirli. Un epigramma appartiene all’arte: perché no una semplice parola? Una novella appartiene all’arte: perché no una cronaca giornalistica? Un paesaggio appartiene all’arte: perché no un schizzo topografico?»[xiv].
È un passo importante, e, per chi continua a figurarsi Croce esclusivamente come il pensatore di «poesia e non poesia», sorprendente. L’estetica qui è attività continua, quotidiana, legata al minimo commercio col mondo. Esattamente come l’economia, nel suo senso immediato di procacciamento del necessario, acquisto e vendita di beni, scambio di lavoro e di compenso, è – ahimè – un’attività nella quale siamo continuamente coinvolti e dalla quale non possiamo staccarci neppure un giorno.

Paolo D’Angelo (paolo.dangelo at uniroma3.it) è professore ordinario di Estetica presso il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università di Roma Tre, del quale è attualmente Direttore. Per i tipi di Quodlibet ha pubblicato: Filosofia del paesaggio (2010, 2014); Ars est celare artem. Da Aristotele a Duchamp (2014, 2005); Le arti nell’estetica analitica (2008);Cesare Brandi. Critica d’arte e filosofia (2006). Tra i suoi lavori più recenti ricordiamo: Le nevrosi di Manzoni. Quando la storia uccise la poesia (Il Mulino 2013), Estetica (Laterza 2011) Estetica e paesaggio (Il Mulino 2009), Introduzione all’estetica analitica (Laterza 2008), L’estetica italiana del Novecento (Laterza 2007), Estetica della natura. Bellezza naturale, paesaggio, arte ambientale(Laterza 2010, 2001).

NOTE

[i] B. Carnevali, Le apparenze sociali, Il Mulino, Bologna 2012, p. 128.

[ii] Citeremo da Le due scienze mondane. L’Estetica e l’Economica, in B. Croce,Ultimi saggi, Laterza, Bari 1935, pp. 43-58.

[iii] B. Croce, Inizio, periodi e caratteri della storia dell’estetica (1916), in Id.,Breviario di estetica, Laterza, Bari 1972, p. 104.

[iv] B. Croce, Le due scienze mondane, cit., pp. 47-48.

[v] Ivi, pp. 54-55.

[vi] Si veda in proposito B. Croce, Filosofia della pratica. Economica ed etica, Laterza, Bari 1908 in particolare la Sezione Prima della Parte Seconda: Le due forme pratiche, l’economica e l’etica; e, per quanto attiene al diritto, anche la memoria crociana del 1907, Riduzione della filosofia del diritto alla filosofia dell’economia, in «Atti dell’Accademia Pontaniana», XXXVII (1907).

[vii] B. Croce, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, Laterza, Bari 1965, p. 61.

[viii] B. Croce, Tesi fondamentali di un’estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, ristampa anastatica della ed. del 1900, a cura di F. Audisio, Bibliopolis, Napoli 2002, p. 46.

[ix] B. Croce, Tesi fondamentali, cit., p. 46.

[x] B. Croce, Estetica, cit., p. 63.

[xi] G. Galasso, Croce e lo spirito del suo tempo, Il Saggiatore, Milano 1990, p. 141.

[xii] B. Croce, lettera a G. Gentile del 23 novembre 1898, in B. Croce, Lettere a Giovanni Gentile, Mondadori, Milano 1981, p. 34.

[xiii] B. Croce, Recenti interpretazioni della teoria marxistica del valore e polemiche intorno ad esse, in Id., Materialismo storico ed economia marxistica, Laterza, Bari 1973, pp. 121-138. La citaz. è a p. 135.

[xiv] B. Croce, Estetica, cit., pp. 16-17.

Fonte: MicroMega online - Il Rasoio di Occam

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