La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 12 febbraio 2016

Il socialdemocratico americano e il conformismo dei giovani adulti






di Alfredo Morganti
Sanders è un utopista? Difficile sostenerlo, a meno che non si intenda per utopista chi intende mutare radicalmente le cose, e non limitarsi a suonare il piffero riformista della conservazione degli attuali assetti di potere. Le sue proposte sono di tipo socialdemocratico, come le definisce lui stesso: sistema sanitario nazionale a gestione pubblica, università pubblica gratuita, salario minimo a livelli dignitosi, tasse sulla speculazione finanziaria a Wall Street. Sembra il programma di uno stato sudamericano povero e sotto il tallone di ferro di una dittatura di destra. E invece no, è quello di un candidato alle presidenziali americane. Ma di quale America?
Pensiamo alla situazione delle università USA da almeno un decennio. Federico Rampini racconta che molto cedio medio americano preferisce ormai mandare i propri figli a studiare in Europa: costi più bassi, qualità ottima. I cervelli in fuga americani sono ormai 45.000 circa, una cifra considerevole. È il prezzo che il ceto medio paga al taglio delle tasse per i ricchi: alle minori entrate statali corrisponde, difatti, un incremento delle rette universitarie pubbliche del 50%. Il costo medio per gli atenei pubblici è oggi di 33.000 dollari, più circa 15.000 di vitto, alloggio e libri. Sanders dice che il ‘taglio’ delle tasse è mera ‘narrazione’, visto che crescono parallelamente e conseguentemente i costi dei servizi pubblici, della sanità, della formazione. In sostanza, si alleggeriscono le tasse dei ricchi, ma con ciò si producono costi più alti per i poveri. I ricchi, pagando meno tasse, hanno ancor meno problemi a investire 250.000 dollari per Harvard (questa la stima finale di taluni), mentre i più poveri, che continuano a onorare le medesime tasse di prima, scontano pure l’aumento delle rette. Cornuti e mazziati insomma.
Tutto ciò rallenta, anzi blocca, l’ascensore sociale dell’american dream. E le dinamiche sociali si congelano. Avviene in USA così come avviene in Italia. Non c’è da stupirsene, visto che gli assetti di potere sono quelli che sono, e chi detiene il bastone tende a conservarne l’impugnatura, anche a costo di mettere in ginocchio il resto della società e creare un problema gigantesco in termini di capitale umano e coesione sociale. Se ci si fermasse al ‘realismo’, ossia a dire: non si può cambiare nulla, i rapporti di forza sono quelli che sono, non c’è alternativa alle regole del capitalismo finanziario e, al più, possiamo aspirare ai posti di chi sta meglio di noi senza mettere in campo ‘rischiose’ rivoluzioni, se ci si fermasse a questo, certamente Sanders andrebbe considerato un utopista, anzi un demagogo, anzi un arruffapopolo o un vecchio bacucco, e chi più ne ha più ne metta. Ma se nel cervelletto di molti brillasse ancora un’idea di ‘riforma’ sociale (non dico rivoluzione sennò temo l’insonnia o gli incubi notturni di tanti), se si passasse dalla modalità individuale ‘arrampicatore sociale’ a quella sociale ‘mutiamo gli assetti di potere per renderli più giusti’, probabilmente quell’ascensore ripartirebbe, probabilmente ci sarebbero chance per tutti, probabilmente le famiglie potrebbero sostenere un investimento di alta formazione con maggiore serenità e senza rischio di insolvenza. Così per il resto: se pagassero le tasse anche i ricchi, i servizi godrebbero di più risorse, lo Stato sarebbe meno ‘minimo’ e striminzito, ci sarebbe più uguaglianza per tutti, mentre i ricchi, se lo volessero, continuerebbero a servirsi dei loro servizi privati senza turbare i sonni e la vita degli altri.
Ci sono dunque meccanismi sociali e assetti di potere da rimuovere, da ridisegnare. Purtroppo, lo dicevo ieri, non ci stanno pensando i giovani adulti 30-40enni, chiusi in gran parte nella loro retorica “ho studiato per vincere il premio Nobel e dovete assegnarmelo di diritto” (o almeno darmi uno stipendio che surroghi questo mancato trionfo a Stoccolma). Oppure affogati negli effetti del darwinismo sociale e del precariato che mette alla prova anche la capacità di pensiero. Ci devono allora pensare i vecchi aiutati stavolta dai giovanissimi, da quelli che non sono ancora entrati del tutto in certi meccanismi sociali perversi, e ancora resistono alle narrazioni edulcorate, alle ideologie che fanno finta di non esserlo, agli storytelling truffaldini, per i quali anche una semplice indicazione politica di giustizia sociale che farebbe pure bene all’intero sistema è ritenuta utopia. Spiace dirlo, spiace davvero, ma sono i vecchi in combutta con i ventenni a pensare di cambiare il mondo. Corbin, Sanders, e chissà quanti altri se non ci fosse un pregiudizio diffuso e rottamatorio verso gli anziani. Non coloro che si lagnano perché nessuno li retribuisce come vorrebbero. E se c’è un aspetto del conformismo politico e sociale che più mi intristisce, è proprio questo.

Fonte: nuovatlantide.org

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