La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 13 febbraio 2016

La tragedia dello Yemen non è marginale

di Vijay Prashad
Tra un mese, i bombardamenti sullo Yemen, guidati dall’Arabia Saudita, compiranno un anno.
I successi strategici sono stati pochi. La scacchiera fratturata della politica yemenita è complessa oggi quanto lo era il giorno che i Sauditi cominciarono a bombardare, il 26 marzo 2015.
Perché i Sauditi e i loro alleati hanno cominciato a bombardare lo Yemen? Non c’era alcun chiaro casus belli. L’accordo di transizione del 2011 si è logorato: il mandato del Presidente Mansour Hadi è terminato un anno prima che si dimettesse, nel febbraio del 2015.
Vari gruppi hanno manovrato per verso un nuovo accordo che non era all’orizzonte. La presa di Sanna non era inevitabile, ma non è stata neanche una sorpresa. Sono seguite le bombe saudite.
Chi ha preso Sanaa? Due formazioni politiche rivali: gli Houthi e il partito denominato Congresso Generale del Popolo di Ali Abdullah Saleh, si sono messi insieme contro il governo di Hadi per prendere la capitale. Saleh aveva fatto una guerra contro gli Houthi dal 2004 al 2010. Ciononostante, si sono alleati per dargli questa spinta.
Avendo preso Sanaa, si sono aperte delle fratture tra i due alleati, con scontri nel campo militare di Raymat al-Humayad a nordo di di Sanaa che hanno mostrato la loro debolezza interna. Se avessero avuto tempo, è probabile che questi alleati avrebbero intensificato le loro proprie divisioni.
Prima, però, che questo potesse accadere, i Sauditi e i loro alleati iniziarono il bombardamento che cementò l’unità tra Saleh e gli Houthi e diede a questi ultimi l’accesso a personale militare altamente esperto che, per esempio, era in grado di sparare i missili Scud in Arabia Saudita.
E’ stata questa alleanza che è stata capace di ritardare l’assalto saudita, anche se al costo della distruzione dello Yemen.
Una delle grandi tragedie della guerra in Yemen è stata che la politica interna dello Yemen – che è notevolmente complessa – ora gira intorno alle tensioni geopolitiche regionali tra Iran a Arabia Saudita.
L’Iran di solito aveva rapporti minimali con gli Houthi e Saleh. Anche i loro cosiddetti comuni legami sciiti sono deboli, dato che gli Sciiti Zaydi dello Yemen non sono d’accordo con gli iraniani del ramo Twelver dell’Islam riguardo a vari argomenti di successione e di dottrina.
La paranoia dell’Arabia Saudita riguardo all’influenza iraniana, svolge qui un ruolo importante. Si eclissano le altre spaccature in Yemen: le questioni del federalismo e delle secessioni, il Nord rispetto al Sud, il laicismo repubblicano rispetto al dominio islamico. L’inserimento dell’Arabia Saudita nel conflitto ha complicato le cose e ha reso la pace un’idea impossibile.
Se i Sauditi volevano indebolire gli Houthi e Saleh, certamente era il caso in cui l’intelligence saudita avrebbe colto i segni di problemi interni tra questi due campi.
L’approccio più sensato sarebbe stato di cercare di “scollarli” . Quello che ha fatto il bombardamento del 26 marzo è stato di unirli. E’ possibile che i Sauditi non abbiano fatto un ragionamento strategico, e che fossero motivati semplicemente dall’odio per l’Iran?
O forse potrebbe darsi che le preoccupazioni interne abbiano portato alla guerra? Dopo tutto, proprio prima della guerra, re Salman era salito al trono e aveva nominato ministro della difesa suo figlio Mohammed bin Salman.
Mohammed bin Salman, noto localmente come MbS, è apparso alla televisione saudita il giorno dopo l’inizio dei bombardamenti, mentre parlava con i piloti e guardava le mappe. La guerra dello Yemen avrebbe potuto essere l’occasione di MbS per dimostrare che era davvero in carica.
Ora è un peso fastidioso per lui. Non si può vedere l’Arabia Saudita che si ritira, a meno che non abbia vinto. La legittimità della monarchia le viene conferita da questo esito. Lo Yemen viene sacrificato a tali motivazioni.
Un nuovo rapporto dal Gruppo Internazionale di Crisi, intitolato: Yemen: una pace è possibile? (9 febbraio) fa una richiesta pertinente di pace e poi offre una valutazione profondamente negativa.
“Le dinamiche interne e regionali non fanno prevedere cose buone per la pace,” scrivono gli autori. Mentre si deteriorano le relazioni tra Riyadh e Teheran, si deteriorano anche le possibilità di sistemare i problemi regionali qui. All’interno del paese si è infranta la fiducia tra le varie parti. Il sentimento settario è ora dominante.
L’unificazione dello Yemen avvenuta nel 1990 rischia di essere distrutta. Le due forze sono contente di stare sedute vicino alla vecchia linea di confine, con la città di Taiz che è cavallo tra le due. Le milizie Houthi e la Resistenza del Sud sono ora diventate importanti come l’esercito yemenita ridotto in frantumi.
“Il settarismo, che storicamente non spinge al conflitto e non è una struttura che mobilita la violenza, è ora diffuso,” scrive Il Gruppo di Crisi. “I problemi di vendetta, sempre presenti in passato, sono aumentati in maniera esponenziale. Le vendette a base tribale sopravvivranno al conflitto.”
Le Nazioni Unite sono state spinte ai margini. I suoi problemi in Yemen sono uguali a quelli che hanno in Siria. Le tensioni geopolitiche e il dominio delle armi sul terreno rendono improbabile che le parti siederanno al tavolo dell’ONU. Ciò che minimizza il Gruppo di Crisi nel suo rapporto, è il ruolo dell’Occidente che è stato considerevole.
Ha continuato ad armare i sauditi tramite in conflitto, ponendosi, per così dire, come parte nel conflitto e non come osservatore neutrale.
Nel frattempo, due cavalli dell’Apocalisse perseguitano lo Yemen.
Da una parte c’è la carestia, con le agenzie dell’ONU in costante angoscia per il deterioramento dei livelli di vita della popolazione. Un mese fa il Programma Alimentare Mondiale ha detto che manca solo un passo prima che metà della popolazione dello Yemen sia in condizioni di carestia.
Più di 14 milioni di Yemeniti dei 23, non hanno la “sicurezza del cibo”. Julien Harneis, rappresentante dell’UNICEF in Yemen ha esposto alcuni dei dati che ha raccolto l’agenzia. Più di un milione di bambini sono stati trasferiti dalle loro case , più di un milione di bambini al di sotto dei 5 anni rischia grave malnutrizione e infezioni acute dell’apparato respiratorio.
Due milioni di bambini non possono andare a scuola. “Le conseguenze a più lungo termine di tutto questo per lo Yemen – che era già la nazione più povera del Medio Oriente prima del conflitto – si possono soltanto cercare di indovinare,” ha detto Harneis.
L’altro cavallo dell’Apocalisse è l’Estremismo. Al-Qaida nella Penisola Arabica (AQAP) e il gruppo Stato Islamico, dice il Gruppo di Crisi, “presumibilmente sono i principali beneficiari della guerra.”
L’AQAP non soltanto ha nelle mani alcune città della regione dell’Hadramout, come Mukalla, ma è stata attiva in questa guerra a fianco della Resistenza Meridionale a Taiz e altrove. Ha trovato di gran beneficio la copertura aerea saudita e, come risultato, ha ottenuto importanti successi.
Nel frattempo, un gruppo scissionista dell’AQAP si presenta come nuova “concessiione” dell’IS. Il 20 marzo 2015, ha annunciato la sua esistenza con un massiccio attacco che ha ucciso più di 140 persone che erano dentro o vicino alle moschee Zayadi a Sanaa.
“Nelle nuove “convulsioni” in Medio Oriente,” osserva il gruppo di Crisi, “la guerra in Yemen è relativamente inosservato, ma sono stati uccisi 2.800 civili, la maggioranza dei quali a causa di attacchi aerei, e il paese sta soffrendo una grave crisi umanitaria che potrebbe innescare una carestia catastrofica e u flussi di rifugiati che destabilizzerebbero ulteriormente la regione.”
Questa è una valutazione giusta. Risveglierà un qualche interesse? Non necessariamente.
Gli Emirati Arabi Uniti, uno dei paesi alleati dell’Arabia Saudita in questa campagna, hanno di recente nominato Ohood al-Roumi come primo Ministro della Felicità. C’è qualcosa di inquietante nel fatto che questa carica arrivi in mezzo a tale infelicità in Yemen, un paese loro vicino.
Forse il nuovo ministro potrebbe voler fare qualche gesto per la diffusione della felicità non soltanto nei centri commerciali di Dubai e Sharjah, ma anche nelle stamberghe di Sanaa e di Taiz dove i bambini si stringono insieme nella paura del successivo bombardamento.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Originale: The New Arab
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

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