La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 13 febbraio 2016

L'Italia e la ricerca scientifica: odio o amore?

di Viola Serena Stefanello
Con una conferenza stampa internazionale, è stata ieri data notizia al mondo di una scoperta eccezionale in campo scientifico: il 14 Settembre scorso sono state rilevate per la prima volta le onde gravitazionali che Einstein aveva previsto oltre un secolo fa. E così, a 100 anni esatti dalla pubblicazione della celebre Teoria della Relatività Generale è stato osservato l’ultimo fenomeno che mancava per confermare definitivamente la Teoria. Si tratta di una svolta tanto epocale nel campo della fisica che potrebbe portare a un Premio Nobel.
A rilevarle sono state due apparecchiature gemelle statunitensi, dette LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory) e l’europea VIRGO, un interferometro situato nel comune di Cascina, in provincia di Pisa. Il primo a captare il segnale è stato un giovane ricercatore italiano ad Hannover, Marco Drago, ed italiani sono anche moltissimi dei ricercatori che hanno collaborato alla scoperta. Le reazioni dei politici nostrani, ovviamente, non si è fatta attendere. “C’è anche la ricerca italiana nella storica scoperta delle onde gravitazionali. Bravissimi i ricercatori di Cascina e dell’INFN“, ha twittato il premier. “Come quattro anni fa al Cern di Ginevra, l’Italia è oggi tra i protagonisti della scoperta, grazie all’intelligenza, alla caparbietà e all’impegno dei ricercatori“, ha aggiunto il Ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini. Sono affermazioni, le loro, totalmente condivisibili: è più che giusitificato il sentimento d’orgoglio nazionale a fronte di scoperte tanto importanti. Quello che ci fa molto meno onore, però, è un fatto che sembra sfuggire ai discorsi accorati dei politici nostrani. Se i ricercatori italiani rimangono un fiore all’occhiello per questo Paese, infatti, ci si dovrebbe domandare se questo Paese dia davvero la giusta, sacrosanta importanza alla sua ricerca.
Infatti, se il mondo continua a riconoscere l’apporto di nostri concittadini al progresso scientifico – nel report The world’s most influential scientific minds 2015sono 44 i ricercatori italiani citati – l’Italia taglia imperterrita nel campo dell’istruzione e della ricerca. Secondo un recente rapporto OCSE, mentre in Europa l’investimento in ricerca è in media pari al 2% del PIL, nel nostro Paese corrisponde all’1,29%, ovvero tra i 19 e i 20 miliardi di euro, di cui solamente 8 miliardi sono pubblici. Per fare un confronto impietoso con due altre nazioni che si avvicinano a noi come popolazione, in Francia si investono 48 miliardi di euro all’anno, in Gran Bretagna 31 miliardi. Una situazione talmente patetica che il “Gruppo 2003“, che raccoglie gli scienziati italiani più citati al mondo, ha recentemente proposto di creare un’Agenzia italiana per la Ricerca scientifica direttamente collegata con la Presidenza del Consiglio, con il compito di riassumere in una sola sede tutte le risorse destinate da parte dei vari ministeri, di trovare il giusto equilibrio tra ricerca fondamentale e applicata e di raccordarsi con i laboratori europei sulla base di input chiari del Governo sulle priorità da perseguire. Si auspica dunque un’inversione di marcia rispetto al disinvestimento che ha subito il campo della ricerca scientifica in Italia nell’ultimo decennio: basti pensare che tra 2008 e il 2014 la spesa della missione 17 (Ricerca e Innovazione) è passata da 4 a 2,8 miliardi, mentre quella della missione 23 (Istruzione Universitaria) è stata abbassata da 8,6 a 7,8 miliardi.
Una condizione di drammatico sottofinanziamento che non può non specchiarsi nell’ormai noto fenomeno della “fuga di cervelli”. Sono tantissimi, infatti, i giovani che, formatisi in Italia, decidono di cercare fortuna all’estero, dove sperano che i loro sforzi siano premiati, o per lo meno retribuiti. Infatti, se le tante storie di successo dei nostri connazionali all’estero ci riempiono d’orgoglio, dovrebbero essere allo stesso tempo un campanello d’allarme. Il problema non sembra essere la qualità del nostro sistema accademico, di cui sono figli queste moltitudini di ricercatori, ma il modo in cui i nostri studenti che vogliono continuare la carriera accademica vengono trattati una volta conseguiti gli studi. La disponibilità di posti di lavoro, le prospettive di carriera e gli stipendi dei ricercatori in Italia sono molto minori di quelli negli altri paesi industrializzati ed i finanziamenti per l’università e la ricerca sono a dir poco insufficienti. “Oggi nessuno si ricorda dello stipendio, c’è un grande entusiasmo. Ma basta soffermarsi sul fatto che nessuno dei fisici coinvolti nel progetto avrà alcun riconoscimento, né di carriera né economico, che l’allegria si smorza. In qualsiasi altro Paese europeo sarebbe diverso.” Questa la testimonianza di Ernesto Filoni, 47 anni, da vent’anni tecnico di ricerca per la stessa INFN a cui Matteo Renzi fa i complimenti all’indomani dell’annuncio della scoperta delle onde gravitazionali. Per ognuno dei ricercatori che rimane nel proprio Paese “andando avanti con spirito di sacrificio e abnegazione”, tantissimi sono però quelli che emigrano.
Per far fronte al problema, il Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca Stefania Giannini ha annunciato il Programma Nazionale della Ricerca che, se approvato stanzierebbe fino al 2017 2 miliardi di euro nei principali pilastri della internazionalizzazione, capitale umano, infrastrutture per la ricerca, Mezzogiorno e partnership pubblico-privati, nonchè una maggiore partnership europea.
Se, pur con manovre che paiono a dir poco modeste, il MIUR sembra voler sbloccare la situazione, dall’altra parte è il Ministro del Lavoro Poletti a suscitare l’ira dei nostri ricercatori. Uno dei decreti attuativi del Jobs Act, il Dlgs 22 del 4 marzo 2015, ha introdotto infatti una nuova forma di indennità di disoccupazione chiamata DIS-COLL, indirizzata a tutti i collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, iscritti alla gestione separata presso l’Inps, che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione. Da questa categoria vengono però ritenuti esclusi proprio i ricercatori, come affermato da Poletti stesso: i loro contratti sono infatti, secondo il Ministro, assimilabili soltanto a borse di studio e quindi inerenti soltanto la carriera accademica. Spendere anni della propra vita, spesso sottopagati e poco considerati, in laboratori e studi sarebbe un hobby, come il sudoku o il jogging. A questa improbabile presa di posizione ministeriale hanno risposto l’Associazione Dottorandi e dottori di ricerca Italiani e la FLC-CGIL, appellandosi alla Carta Europea dei Ricercatori del 2005. Questa, infatti, recita: “Tutti i ricercatori che hanno abbracciato la carriera di ricercatore devono essere riconosciuti come professionisti ed essere trattati di conseguenza. Si dovrebbe cominciare nella fase iniziale della carriera, ossia subito dopo la laurea, indipendentemente dalla classificazione a livello nazionale (ad esempio, impiegato, studente post-laurea, dottorando, titolare di dottorato-borsista, funzionario pubblico)”. La situazione, a mesi di distanza, non si è ancora sbloccata.
La lista di motivi per cui è vitale per un Paese investire sulla propria ricerca scientifica è sterminata. Ci si potrebbe appellare al diritto alla salute sancito dall’art.32 della nostra costituzione. Si potrebbe ricordare che siamo il Paese che ha dato i natali a Leonardo da Vinci e Rita Levi Montalcini. Potremmo, ancora, appellarci al fatto che l’innovazione è la linfa vitale del progresso, che ogni nuova scoperta scientifica , per quanto possa sembrare teorica o inapplicabile nella nostra vita, contribuisce allo sviluppo della società e dell’umanità intera. Da qualsiasi punto di vista si voglia guardare la questione, il risultato non cambia. Quel che dovrebbe cambiare, e al più presto, è l’approccio del nostro Governo alla questione della ricerca. Perchè è tanto facile sentirsi orgogliosi delle eccellenze italiane: un po’ più difficile è coltivare quelle eccellenze e non dar loro motivo di dover cercare fortuna lontano da casa.

Fonte: Sconfinare.net

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