La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 26 marzo 2016

Per Romero il più grande peccato della società era l'ingiustizia sociale

Intervista a Geraldina Colotti di Alessandro Bianchi e Fabrizio Verde
Geraldina Colotti è una giornalista de 'Il Manifesto' e 'Le Monde Diplomatique', autrice del libro Oscar Arnulfo Romero. Beato fra i poveri. A tal proposito, abbiamo fatto una chiacchierata con lei che ci ha descritto il pensiero e l'azione di monsignor Romero in un America Latina dove imperversano dittature militari e squadroni della morte.
Chi era Oscar Arnulfo Romero e perché la sua figura è importante?
"Devo premettere che, come spiego nel libro, il mio non è uno sguardo interno alla chiesa. La collana Sorbonne chiede ad autori diversi di offrire una loro chiave di lettura su un determinato personaggio. A me, a una brigatista che non ha rinnegato il suo passato e che lavora come giornalista nella sua seconda vita, è stato chiesto di scrivere su monsignor Romero, come altre volte ho fatto per “il manifesto”. Romero è stato, fino a un certo punto della sua vita, un vescovo schierato a difesa dei potenti, attento ai poveri e ai contadini purché accettassero la propria condizione e ringraziassero sia per le briciole che per le frustate. Una figura classica dell'istituzione religiosa, che serve a mantenere inalterati i rapporti fra le classi. Un uomo delle gerarchie che ha avversato la teologia della liberazione, decisa invece a camminare a fianco degli oppressi e a dialogare con il marxismo.
L'assassinio di Rutilio Grande, noto progressista e suo amico (seppur diversamente collocato nel modo di intendere il sacerdozio) lo portò però a vedere le cose in altro modo, provocando quella che lo stesso Romero definirà come la sua “conversione”.
Da allora, il suo impegno a fianco degli ultimi non verrà mai meno, nonostante la sorda opposizione delle gerarchie ecclesiastiche e quella dell'oligarchia salvadoregna foraggiata dagli Usa. Le sue coraggiose denunce gli costeranno la vita: verrà ucciso sull'altare il 24 marzo del 1980. Poco dopo inizieranno i dodici anni di guerra civile. Viene così messa a tacere una voce scomoda, che aveva osato portare in Vaticano un fascicolo sulle torture del regime salvadoregno e che era stato freddamente liquidato dal neoeletto papa Wojtyla, il papa “guerriero” che, insieme a Reagan farà la sua crociata contro il comunismo.
Le domande e le riflessioni poste da una figura come Romero interrogano il presente anche in un contesto radicalmente mutato: un contesto in cui manca la sponda del campo socialista e in cui l'esempio dei paesi latinoamericani che di nuovo vi si richiamano non è ancora un terreno solido. Un contesto in cui sembra che a declinare in modo conseguente i diritti degli ultimi – terra, lavoro, casa – sia solo la voce di Bergoglio, un papa progressista che non ha più come avversario diretto il comunismo.
Romero non è stato un eretico e non ha imbracciato le armi, ed è rimasto schiacciato tra la coerenza dei principi e il limite del ruolo che ricopriva. Il tema dell'etica e della scelta oggi che la politica sembra solo un grande affare e in cui non c'è grande conseguenza fra quel che si dice e quel che si pratica, è senza dubbio molto attuale: così come attuale è riflettere sul ruolo dei comunisti nel grande Novecento e sulla sconfitta che ne è seguita e su un presente in cui la sinistra non avrebbe bisogno di andare a scuola da Bergoglio, ma dovrebbe piuttosto recuperare nel conflitto di classe il senso profondo delle proprie ragioni per ricominciare a fare egemonia. La figura di Romero può ricordare a chi considera il Novecento e la storia del movimento operaio come un fardello quale partita epocale si sia giocata e quali costi si debbano pagare per liberarsi dall'oppressione capitalista e dalla sua legalità che uccide: lasciandoti senza lavoro e senza futuro o buttandoti le bombe in testa se hai avuto la sfortuna di nascere dalla parte “sbagliata” del pianeta."
Quanto sono attuali oggi il pensiero e l'azione di Romero?
"Nel libro cito alcuni passaggi dei suoi discorsi e delle sue omelie, durante le quali denunciava i potenti e i repressori con nomi e cognomi. Per lui, il più grande peccato della società era quello dell'”ingiustizia sociale”. Parole simili a quelle che pronunciava Don Andrea Gallo, purtroppo scomparso, che non predicava la rassegnazione ma combatteva l'ingiustizia qui e ora. Figure come quella di Romero rendono più attuale e necessario il progetto comunista per una società senza padroni. Se nei quartieri poveri del sud si lotta per portare casa, lavoro, educazione e non blindati, pentiti e magistrati, i giovani non saranno obbligati a servire le mafie, che sono l'altro aspetto del capitalismo. Perché farsi sfruttare nelle maquilladoras dell'Honduras o della Colombia, dove vanno a investire i nostri Marchionne dovrebbe essere più accettabile dell'impresa gestita dal capobastone, il cui voto serve peraltro a perpetrare questo sistema? Non credo che il messaggio di Romero incontrerebbe quello dei preti-sceriffo che si ergono a giudici e usano le confessioni per darle alla polizia. A raccoglierne il messaggio sono state le masse in resistenza nell'America latina, che hanno cercato nel socialismo del XXI secolo un nuovo riscatto."
Ci descrivi il contesto de El Salvador negli anni 70-80 dove imperversavano gli squadroni della morte dell'estrema destra di Arena (Alianza Repubblicana Nacionalista)?
"Erano gli anni in cui in tutta l'America latina imperversavano i dittatori cresciuti alla Scuola delle Americhe degli Usa, gli anni del Piano Condor, la rete criminale gestita dalla Cia con la quale le dittature sudamericane si scambiavano i favori, uccidendo gli oppositori ovunque si trovassero. Il 24 marzo, ma del 1976, è l'anniversario del golpe in Argentina, e in questi giorni è in Italia una delegazione di testimoni di cui fa parte anche la nipote di Romero, Cecilia Elizabeth Romero. In Salvador, come in gran parte dell'America latina e in tutto il sud del mondo, c'era una lotta senza quartiere tra due visioni del mondo, il comunismo e il capitalismo.
Nel '79, in Nicaragua trionfa la rivoluzione sandinista e gli Usa intensificano i finanziamenti ai gruppi paramilitari per evitare il contagio del “pericolo rosso”. In quegli anni, Washington crea i grandi cartelli della droga che poi imperverseranno in tutto il Centroamerica e oltre. Il Partito Arena era il loro principale cavallo in Salvador ed è ben lungi dall'aver esaurito le sue carte. E' di questi giorni una denuncia del presidente salvadoregno Sanchez Céren, un ex comandante guerrigliero, sui legami del partito Arena con le bande criminali e l'uso della questione della sicurezza a fini politici. Il sicario che ha ucciso Romero era agli ordini di Roberto D'Aubuisson, leader del partito Arena. L'uccisione di Romero contribuì a saldare intorno Frente Farabundo Marti l'arco di forze che condurrà la resistenza popolare e armata fino agli accordi di pace."
Nel libro un pensiero è rivolto anche a preti come Rafael Ernesto Barrera, che come il colombiano Camilo Torres, hanno deciso di lottare imbracciando le armi. Qual è stato il loro ruolo storico in quella fase dove in America latina imperversavano brutali regimi militari?
"Camilo Torres, in Colombia, è uno dei fondatori della guerriglia dell'Eln, una delle due principali, insieme alle Farc, che esistono da oltre cinquant'anni. Alcuni hanno descritto nei loro diari il conflitto che vivevano con i loro principi di pace e non violenza. Conflitti simili a quelli di tutti i rivoluzionari che, in un contesto storico particolare, hanno ritenuto loro dovere essere conseguenti, schierarsi e guidare il “gregge” che non voleva più essere tale. Romero racconta appunto di aver deciso di andare avanti spinto dalla domanda forte di direzione che veniva dai contadini e dai lavoratori dopo la morte di Rutilio Grande.
E' la solitudine della scelta, una scelta di coerenza coi propri principi, che lascia sempre una ferita aperta: a differenza degli aguzzini che schiacciavano i bottoni dei forni crematori sentendosi assolti per aver “eseguito gli ordini”; a differenza del soldato che butta il napalm o le bombe in Iraq, ma si sente tranquillo perché è coperto dall'istituzione, il rivoluzionario che sceglie di disobbedire all'istituito per seguire la propria coscienza, non ha paracadute. Ogni comunista è un ardente pacifista, perché il suo obiettivo è quello di costruire una società di liberi e uguali in cui non ci sia sopraffazione. Solo che per arrivarci occorre fare delle scelte di campo e decidere anche per gli altri: è questa la politica. “Compelle intrare”, dice Gesù a un certo punto volendo invitare la gente a un banchetto: “obbligali a entrare”.
E' un quesito che si è posto per oltre vent'anni anche in Italia, nelle particolarissime condizioni che hanno prodotto un'altissima conflittualità sociale e diverse ipotesi rivoluzionarie, anche armate, per togliere il potere alla borghesia. Un conflitto che ha prodotto quasi 6.000 prigionieri politici, la maggior parte condannati all'ergastolo, alcuni dei quali ancora in carcere. Discutere in termini storico-politici e senza dietrologie di quella stagione consentirebbe di rimuovere la cappa mefitica e le reazioni perverse che sempre provocano le grandi rimozioni."
Cosa pensi delle contraddizioni in seno alla Chiesa Cattolica dove da una parte Papa Bergoglio denuncia ingiustizie sociali e le rapine delle multinazionali, mentre dall'altra troviamo settori della gerarchia ecclesiastica coinvolti nel golpe che nel 2009 ha deposto Manuel Zelaya in Honduras, così come troviamo coinvolgimenti nei tentativi violenti di rovesciare il legittimo governo venezuelano?
"La chiesa è una istituzione secolare capace di contenere grandi contraddizioni. Oltretutto, Wojtyla ha messo i suoi uomini in punti chiave del potere ecclesiastico. La corporazione dei vescovi continua a fare una guerra sorda ai governi progressisti e socialisti dell'America latina, e alcuni cardinali non nascondono le loro propensioni golpiste, naturalmente presentandosi come paladini dei “diritti umani”. Il Venezuela bolivariano è la cartina di tornasole, il paese che più ha raccolto la bandiera del socialismo, gettata nel pozzo della IV Repubblica, diventando il bersaglio – concreto e simbolico – dei custodi dell'ordine economico capitalista. La bandiera degli oppressi e, in fondo, quella di Romero. Soprattutto, la nostra bandiera."

Fonte: L'Antidiplomatico

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