La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 5 maggio 2016

Caregiver familiari, serve un vero riconoscimento

di Brunella Casalini
Il nostro è un welfare sprovvisto di misure relative a "cure a lungo termine". Anziani fragili e malati cronici possono contare su poco più di una misura monetaria costituita da un'indennità di accompagnamento di entità modesta che mai copre totalmente le spese per l'assunzione di un assistente familiare e non tiene conto né del reddito né del grado di non autosufficienza. 
Negli ultimi anni in alcune regioni è stato introdotto un assegno di cura (legato all'Isee) erogato dai comuni. Vari tentativi sono stati inoltre sperimentati per facilitare o rendere un po' meno gravoso il lavoro dei caregiver familiari impegnati nella ricerca di un aiuto. Basti pensare all'istituzione degli albi delle badanti, a misure quali il numero verde della regione Toscana (il cosiddetto “Pronto badante”) e alla legge regionale sul caregiver familiare, approvata dalla regione Emilia Romagna nel 2014 grazie alla cittadinanza attiva dell'associazione Carer e della Cooperativa anziani, e non solo. 
L'attivismo delle associazioni ha consentito di ottenere in poco tempo altri importanti risultati. Altre regioni (almeno sei: Abruzzo, Campania, Lazio, Marche, Piemonte e Sardegna), infatti, hanno in discussione analoghi provvedimenti legislativi. Il 17 settembre 2015 a Bruxelles la commissione petizioni dell'Unione europea ha accolto le richieste di riconoscimento dei family caregivers italiani, inviando un sollecito al governo del nostro paese. Il 24 settembre il presidente della repubblica ha voluto organizzare al quirinale un incontro tra il consigliere di stato per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali e il coordinamento nazionale famiglie disabili. Le stesse associazioni delle famiglie disabili stanno attivamente lavorando al fine di presentare all’Onu un ricorso sulla mancata applicazione in Italia – nonostante la sua ratifica fin dal 2009 – della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. 
In questo clima di grande attivismo da parte dei caregiver familiari (che è destinato probabilmente a ricevere un'ulteriore spinta dalla risoluzione approvata dal parlamento europeo il 29 aprile 2016 sulla base del rapporto Kuneva relativo alla condizione dei lavoratori domestici e dei familiari che prestano cura all'interno dell'Unione europea), tre diversi disegni di legge sono approdati tra la fine dell'anno scorso e l'inizio di quest'anno alle camere[1]. In sede di esame del disegno di legge per la riforma del terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale, il 23 marzo il senato ha approvato quasi all'unanimità un ordine del giorno che "impegna il Governo a valutare l'opportunità di adottare disegni di legge recanti norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare", dando un segnale che qualcosa, forse, si stia effettivamente muovendo. 
Nel 2012, proprio sulle pagine di inGenere scrivevo a proposito dell'importanza di una discussione pubblica sul ruolo e la funzione svolta nel nostro sistema di welfare dalle famiglie, da tante madri, mogli, compagne e figlie impegnate, talvolta per anni, nella cura dei loro cari non autonomi. Qui mi propongo di tornare sulla questione per analizzare i punti salienti dei disegni di legge presentati alle camere. Se è indubbio che essi rappresentino un piccolo passo avanti rispetto a una situazione di totale invisibilità del lavoro e dei costi (in termini di opportunità, di salute e, non ultimo, in termini economici con un effetto di ulteriore impoverimento delle generazioni più giovani[2]) sostenuti da tanti familiari che prestano cura, pare tuttavia necessario sottolinearne gli elementi di problematicità e il rischio – che già altri hanno segnalato – che queste proposte finiscano per essere solo “una pacca sulla spalla dei caregiver familiari” . 
La strategia di supporto del caregiver familiare delineata dalle proposte legislative presentate alle camere persegue i seguenti obiettivi: l'informazione utile all'espletamento delle numerose pratiche amministrative necessarie per gestire la vita di una persona non-autosufficiente nei rapporti con i servizi sanitari, per accedere a consulenze e contributi per l'adattamento dell'ambiente domestico, per svolgere il ruolo di datore di lavoro nel caso di sopravvenuta necessità di assumere un assistente familiare, ecc.; l'acquisizione di competenze di cura, alle quali si promette una qualche forma di riconoscimento nell'ambito della formazione e/o ai fini dell'eventuale ingresso nel mondo del lavoro legato all'assistenza alla persona; la conciliazione dello svolgimento dell'attività di assistenza con il lavoro o la facilitazione del reinserimento lavorativo in caso di perdita del lavoro dovuta all'impegno di cura; l'introduzione di misure di sgravio fiscale e di misure assicurative; interventi di sostegno psicologico (anche mediante gruppi di auto-mutuo aiuto) e volti a favorire in circostanze di emergenza il sollievo del caregiver. 
A questi obiettivi - che nel loro elenco e carattere multidimensionale danno un'idea molto chiara della gravità, e si potrebbe persino dire dell'insostenibilità, del compito che la figura del carer familiare assume quale unica interfaccia tra chi riceve le cure, le istituzioni e l'eventuale badante – nelle proposte a prima firma di Angione e Patriarca, si aggiungono misure di ordine più generale volte allaraccolta di dati statistici sulla situazione dei caregiver familiari nel nostro paese e un'operazione di sensibilizzazione sulle responsabilità e il valore del prestare cura da svolgere sia mediante iniziative scolastiche sia mediante l'istituzione di una giornata nazionale, il 17 maggio, dedicata al caregiver. 
Tutti questi disegni di legge vedono lo stato sostenere lo svolgimento delle attività di cura da parte della famiglia, senza assumersene direttamente il carico. Non mettono, quindi, in discussione la logica del nostro welfare familiare-familistico, facendo gravare ancora la maggior parte dei costi sul caregiver familiare che ci si immagina sia presente e abbia la volontà e la capacità di acquisire competenze di cura o le capacità necessarie a muoversi tra l'intricato mondo della burocrazia italiana, da un lato, e il mercato di servizi di cura, dall'altro. Il caregiver familiare è visto in altri termini soprattutto nella sua funzione di “care manager”, secondo la definizione del sociologo Maurizio Ambrosini[3]. Il fatto che lo stato fornisca una misura monetaria senza controlli sulla sua destinazione e sul suo uso ha favorito infatti nel nostro paese la nascita di un modello di welfare privatizzato conosciuto nella letteratura come migrant in the family model of care (migranti nel modello familiare di cura) – secondo l'efficace formula coniata da Bettio, Simonazzi e Villa[4] –, che scarica molto spesso sul caregiver-datore di lavoro l'espletamento delle pratiche relative alla regolarizzazione del migrante.
È completamente assente in queste proposte sia la questione delle condizioni che potrebbero garantire l'equità e la qualità delle risorse di cura, sia la prospettiva dell'utente del servizio di assistenza, chi riceve le cure, al quale la legge non dovrebbe mancare di assicurare il diritto all'autodeterminazione affinché la relazione di cura non si configuri come paternalistica e oppressiva. Quanti anziani fragili e quante persone disabili preferirebbero non dover gravare sulla loro famiglia? Quante opportunità sono loro concesse di scelte alternative alla famiglia? E, d'altra parte, quale possibilità di scelta ha davvero, all'interno di queste proposte di legge e nella realtà odierna, il caregiver familiare? Vale la pena sottolineare che la stessa carta europea del familiare stilata da Coface nel 2007 parla esplicitamente sia del diritto della persona disabile a scegliere il proprio assistente personale sia, quando questo non è possibile, del diritto del caregiver familiare a poter scegliere se prestare cura[5]. In questa direzione sicuramente le attuali proposte sembrano fare un passo indietro persino rispetto alla proposta di legge presentata nel 2014 sull'istituzione del voucher universale per i servizi di cura[6]. 
Ripensare il sistema di cure a lungo termine richiede uno sforzo pubblico progettuale e propositivo in vista dell'investimento in “infrastrutture sociali” che deve partire dal significato politico della cura, dal riconoscimento del diritto di dare e ricevere cura (che significa anche diritto di poter scegliere di non prestare cura), nonché dalle difficoltà e dalle problematiche non di rado legate proprio alle dinamiche familiari e all'isolamento dello spazio domestico, presentate dal nostro “welfare sommerso”. Problematiche che si possono comprendere e superare pienamente solo tenendo in considerazione i limiti del mercato nell'ambito della fornitura di assistenza e cura, le proiezioni demografiche non solo sull'invecchiamento della popolazione ma anche sul numero crescente di anziani senza figli, nonché il punto di vista e l'esperienza di almeno tre attori: il caregiver familiare, manager della cura, chi riceve le cure e il lavoratore impegnato nell'ambito della cura. Che ci si impegni in questa direzione, tuttavia, è poco probabile finché lo stato non sarà disposto a riconoscere l'esistenza di una precisa responsabilità collettiva verso i bisogni di cura. 

NOTE

[1] Il 10 novembre dello scorso anno è stata presentata alla Camera dei deputati una proposta di legge, intitolata “Disposizioni per il riconoscimento e il sostegno dell'attività di cura e assistenza”, di cui è prima firmataria e Vanna Iori (per un'analisi critica di questa proposta di legge, v. anche: Carlo Giacobini, Caregiver familiari: Proposta di Legge, 21 gennaio 2016 e Simona Lancioni, Quel che davvero servirebbe ai caregiver, in “superando.it”); il 5 novembre 2015 è stato presentato un disegno di legge non troppo diverso nel titolo cui è prima firmataria la senatrice Laura Bignami; il 16 gennaio è stato depositato a Montecitorio un ulteriore disegno di legge sullo stesso tema con primo firmatario Patriarca e il 2 marzo lo stesso testo è stato presentato al Senato con primo firmatario Angioni

[2] Cfr. Matteo Luppi, La relazione che c'è tra non autosufficienza e povertà, “inGenere.it”, 7/7/2014;Anziani, da risorsa a costo. Il boomerang della cura, “inGenere.it”, 9/9/2014; Sulle difficoltà economiche poste dal costo dell'assistenza familiare, v. anche: Sara Picchi, Come paghiamo la badante? Strategie familiari di sopravvivenza, “inGenere”, 12/11/2013. 

[3] Cfr. Maurizio Ambrosini, "Employers ad 'Care Managers': Contracts, Emotions and Mutual Obligations within Italy's Invisible Welfare System", in Anna Triandafyllidou e Sabrina Marchetti (a cura di), Employers, Agencies and Immigration. Paying for Care, Ashagate, Farnham 2015, pp. 17-34. 

[4] Francesca Bettio, Annamaria Simonazzi e Paola Villa, Change in care regimes and female migration: the ‘care drain’ in the Mediterranean, in “Journal of European Social Policy”, 16, 3, 2006: 271-85.

[5] Si veda l'art. 2 della Carta europea del familiare assistente. Su questo punto, v. Simona Lancioni e Piera Nobili, Abbi cura di te, per l’empowerment del caregiver familiare, 23 luglio 2015

[6] Sulle potenzialità del voucher, cfr. Roberto Cicciomessere e Ester Dini, Voucher universali per la cura. Il buono della proposta, in “inGenere”, 1/7/2014. Per una visione critica, Elena Gramaglia, Il voucher universale per i servizi alla persona e alla famiglia: alcuni aspetti critici, in “Nel merito”, 23 giugno 2014

Fonte: ingenere.it

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