La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 5 maggio 2016

Se l'Europa ferma il Ttip

di Francesca De Benedetti
Ora o mai più - quindi, magari, mai più. In morte del Ttip? Non è fantapolitica. E' già successo che l'Europa si sganciasse da un accordo commerciale internazionale sul tavolo da anni: un ampio fronte d'opposizione politica e civile ha fermato in passato Acta. Anche lo "Anti-Counterfeiting Trade Agreement” era molto più di un accordo commerciale; anche Acta, come Ttip, era nato nell'opacità ed era venuto allo scoperto grazie ai "leaks". Acta venne osteggiato tanto nei salotti quanto nelle piazze, e bloccato infine a Strasburgo. Oggi, a suonare il requiem per il trattato transatlantico Ttip, sono in tanti: attivisti, ambientalisti, sindacati, intellettuali, parte del mondo imprenditoriale e agricolo, e soprattutto una fetta di cittadini scettici che - stando ai sondaggi - è sempre più ampia. 
In Italia questi “avversari del Ttip” si danno appuntamento il 7 maggio nella capitale. Ad Hannover, si sono radunati a migliaia sabato 23 aprile.
Prima ancora, a ottobre si sono mobilitati a milioni con firme e iniziative a Bruxelles e in tutta Europa. I tempi sono maturi, il Ttip va concluso, hanno detto Barack Obama e Angela Merkel alla vigilia del tredicesimo round negoziale svoltosi a fine aprile. Anzi, “bisogna accelerare”: negli Stati Uniti è tempo di elezioni, tira vento contrario. Ma il matrimonio (di intenti) tra i due leader è forse anche un matrimonio riparatore di relazioni (o negoziazioni) tutt’altro che semplici. Non ci sarà la luna di miele: anche nelle stanze dei bottoni c’è chi rema contro il Ttip. Il governo francese, per esempio. 
Più che un accordo, il Ttip è un miraggio, almeno secondo Parigi: il segretario di Stato al commercio Matthias Fekl lo dice da giorni, “l'accordo si allontana sempre più”. E se già da qualche tempo la Francia mette sul tavolo le proprie perplessità al fine di ottenere aperture dagli americani (ad esempio, in tema di appalti e di accesso ai mercati pubblici), dopo i “Ttip leaks” l’Eliseo punta ancora di più i piedi. “Stando così i negoziati, la Francia si tirerà indietro”, ha dichiarato martedì François Hollande. Il dossier pubblicato da Greenpeace, noto appunto come “Ttip leaks”, evidenzia lo squilibrio negoziale tra le due parti. Ma il divario era già chiaro: da una parte, c’è l’Europa delle regole e delle tutele per consumatori e cittadini, come il “principio di precauzione”; dall’altra parte, ci sono le richieste dal fronte Usa e il pressing delle multinazionali. Tanto che – dicono i leaks – persino il principio di precauzione finisce sotto il tappeto, mentre l’America chiede un “filo rosso” con l’Europa ogni volta che bisognerà delineare nuove regole, con tanto di consultazioni preventive delle industrie Usa. 
Il Ttip non consiste semplicemente nell’abbattimento dei dazi: Il Ttip rappresenta uno sforzo ampio e strutturale di omologare due universi legislativi, economici e politici molto diversi, accordandoli all’unisono sulla base di una forte vocazione liberista. Il Corporate European Observatory denuncia da tempo il peso delle multinazionali nella definizione delle strategie di negoziato; dati alla mano, la Commissione ha incontrato per il 90% delle volte le corporation, per il 10% la società civile. E ai dubbi sul fatto che il Ttip sia equo si aggiungono i dubbi sul fatto che convenga davvero: le stime ufficiali della Commissione dicono che il Pil europeo potrebbe aumentare nel corso degli anni dello 0,5%, ma esiste una lunga schiera di previsioni poco ottimistiche e proviene da fonti autorevoli, tra cui premi nobel americani e esperti della London School of Economics. 
Il rischio, dicono gli scettici, è che a “globalizzarsi” siano i vantaggi per i "big" ma non le tutele, sulle quali anzi potrebbe esserci un gioco al ribasso. Il caso più eclatante è quello degli “strani mostri” Isds, o - nell’ultima versione - Ics. Come già avviene per accordi come il Nafta, con il Ttip è stata messa in cantiere l’istituzione di speciali tribunali grazie ai quali un'azienda potrà citare un governo se ritiene che le sue politiche stiano intaccando interessi commerciali garantiti dal Ttip. Un po’ come quando, nel 2012, Vattenfall chiese al governo tedesco 700 milioni di compensazione per la scelta di ridurre il nucleare, o come Philip Morris contro Uruguay per le regole anti fumo. Il tema ha suscitato scandalo, ma anche Ttip Leaks mette in luce come il nodo sia stato tutt’altro che sciolto. Con Ttip, non sono in discussione solo le liberalizzazioni, le privatizzazioni, la tutela dei consumatori e dell’ambiente. E il punto debole del “Ttip” non sta solo nel fatto che può ledere una serie di questioni e di interessi particolari (il modello Dop contro il modello Ogm). Il "cuore" sta in una questione di portata generale: l’accordo, nato a parole come uno strumento di eliminazione degli ostacoli commerciali, si è trasformato in accordo “costituente”. La questione dei tribunali è esemplare: l'interesse privato diventa prioritario rispetto a quello della collettività, se la "legge della multinazionale" arriva a scavalcare il principio di sovranità popolare. “Liberalizzare" significa “livellare” le regole? In tal caso l’Europa - che ha tutele più robuste su molti fronti, dalla salute agli ogm, dalla privacy all’agricoltura - rischia un accordo al ribasso, una globalizzazione che favorisce solo i “grandi”. 
L'accordo è titanico ma anche sempre più debole: la pubblicazione dei leaks è solo l’ultima spallata. Il vero requiem, magari, lo suonerà Strasburgo. “Se non lo faranno i leader prima, lo faremo noi parlamentari europei poi: non voteremo il Ttip”, ci dice la frontrunner dei Verdi europei Ska Keller, ex candidata alla presidenza della Commissione Ue. Per fermare il Ttip avrà gli alleati più disparati: per fare un esempio, tra gli oppositori c’è anche la “volpe nel pollaio” Nigel Farage. Cosa unisce i populisti e nazionalisti d'Europa e d'America agli ambientalisti e al popolo di sinistra? Le sorti del Ttip daranno ragione al sindacalista Cgil, all'agricoltore di mezza età, al giovane precario e all'ambientalista che vanno in piazza a Roma il 7? Davvero è possibile fermare il Ttip, come pensano sia giusto Paul Krugman e Slavoj Zizek, Naomi Klein e Matthias Fekl, Julian Assange e Yannis Varoufakis, Don Ciotti o Vivienne Westwood? Questa schiera così variegata di oppositori può davvero fermare il Ttip? 
C’era una volta un accordo anti contraffazione. Si chiamava “Anti-Counterfeiting Trade Agreement”. In realtà, era molto più di un accordo commerciale sulla contraffazione: la difesa della proprietà intellettuale sconfinava in una vera e propria “riforma” di internet. Secondo i critici, Acta avrebbe potuto frenare la libera circolazione delle idee. Non erano solo gli attivisti a lanciare l’allarme: anche l’Università di Yale pubblicò uno studio a firma Eddan Katz e Gwen Hinze, mettendo in guardia dai rischi. Fu grazie ai leaks, a Wikileaks, che l’opinione pubblica europea venne a conoscenza della faccenda. La mobilitazione della società civile, unita all’opposizione nel Parlamento europeo di Strasburgo, decretarono la “morte” di Acta: l’Europa si tirò fuori. A chi si domanda se davvero il trattato transatlantico noto come Ttip possa finire nel cestino, la storia di Acta potrebbe dimostrare di sì. Gli ingredienti in comune sono molti. Le proporzioni, certo, sono molto diverse: Ttip è un Acta in grande, Ttip è un progetto più organico e "costituente". Tanto che viene da chiedersi se davvero Acta sia morto per l'Europa, o se piuttosto questi grandi accordi "commerciali" siano un'idra a due teste. 

Fonte:MicroMega online 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.