La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 5 maggio 2016

No triv: il movimento può ancora camminare

di Alberto Castagnola
Dopo il 17 aprile, ho visto solo due o tre tentativi di valutare, politicamente più che in termini statistici, la fascia di popolazione italiana in età di voto che è stata capace di esprimere una posizione molto chiara su un problema ambientale essenziale. Si trattava peraltro di sondaggi su un limitato numero di votanti o di stime approssimative senza alcuna parvenza di scientificità. Vale la pena allora tentare di valutare (solo sulla base delle mie esperienze personali) su quante persone si potrebbe cominciare a contare per affrontare dal basso le scadenze della crisi climatica.
Sui 13,6 milioni di voti favorevoli a una limitazione modesta, ma significativa, della presenza di trivellazioni sulle coste italiane, più della metà dovrebbero essere imputati ai partiti che si sono impegnati nella votazione; può essere considerata una valutazione prudenziale e fa scomparire quegli iscritti che hanno votato anche in base a ragionamenti di ispirazione ambientalista.
Spetterà tuttavia a loro, nei prossimi mesi e anni, ciascuno nell’ambito delle forze politiche di appartenenza, di far emergere una posizione specificamente politica in favore di misure dirette a modificare le gravi e preoccupanti tendenze climatiche; nel frattempo eventuali forme di alleanza potrebbero essere sperimentate nei diversi territori, ma si tratterà di fenomeni oggi assolutamente imprevedibili.
I circa sei milioni di persone rimanenti comprendono certamente almeno due milioni di aventi diritto al voto che da tempo sono impegnati nella galassia dell’ambientalismo: le grandi organizzazioni ambientali, con tutti i loro gruppi di appoggio e i visitatori delle riserve e dei parchi; le associazioni e i gruppi di base che condividono una visione favorevole alla Natura, e che sono anche impegnati per il cambiamento con le attività di economia alternativa e solidale, nel ritorno all’agricoltura, nella protezione dei territori o nella rigenerazione dei centri urbani; le realtà connesse con le energie rinnovabili e che perseguono il risparmio energetico. I settori di lavoro sono oltre sessanta e non è facile ricordarli tutti, soprattutto perché mancano nella maggior parte dei casi le connessioni orizzontali e le reti sono poco frequentate.
Nei restanti quattro milioni (cifra largamente approssimativa) si possono individuare numerose categorie di persone, dagli anziani attivisti che si ritengono ormai fuori gioco e si limitano ad esprimere un voto solo in occasioni speciali ai giovani che reagiscono ad istinto e si recano ai seggi in base a motivazioni incomplete. Ci sono certamente migliaia di persone sufficientemente informate, in grado cioè di andare a un seggio perché ritiene sia un dovere civico prendere posizione; ci sono sicuramente centinaia di migliaia di persone che percepiscono correttamente la gravità della situazione ambientale del territorio in cui vivono (pensiamo alla Basilicata o ai 44 siti di massimo inquinamento, da Taranto a Marghera) e hanno giustamente ritenuto opportuno lanciare un segnale in favore di una ben diversa visione del pianeta e dei danni che ad esso continuiamo ad arrecare.
Tutte queste persone, in questi giorni, corrono il rischio di ripiombare in una situazione di passività e di demotivazione, dopo aver constatato (in molti casi dopo diecine di tentativi infruttuosi) la lontananza delle aspirazioni locali rispetto alle strategie governative, evidentemente ancora arroccate su indiscussi principi neoliberisti e sulla supina accettazione delle logiche di profitto globali e transnazionali. È possibile evitare questa ulteriore disillusione? Fare almeno qualche tentativo di rimettere i problemi del clima e delle energie in una migliore prospettiva personale e collettiva?
Immaginiamo delle reazioni molto diverse da quelle fin qui descritte e verifichiamone la attendibilità e la possibilità di realizzare percorsi realistici diretti a costruire, in tempi brevi, una base popolare significativa. In primo luogo, chiunque abbia votato contro le trivelle dovrebbe analizzare le sue motivazioni, quelle che lo hanno fatto uscire e partecipare al referendum (pur coscienti della limitatezza dell’obiettivo raggiungibile e della pratica impossibilità di superare la barriera del quorum). In secondo luogo, dovrebbe verificare se vuole realmente operare nella stessa direzione, ma con strumenti diversi dal voto e per un tempo non certamente breve.
Se avrà risposto positivamente a queste domande poste a se stesso, potrebbe cominciare a guardarsi intorno e a immaginare come potrebbe entrare in contatto con coloro che hanno fatto la sua stessa scelta e che forse è riuscito a rigenerare una analoga voglia di impegno. Nei comuni più piccoli o nei quartieri dei centri urbani più grandi, non dovrebbe essere difficile individuare e sondare persone con esigenze analoghe alle sue. Basterebbe trovarne due o tre, cominciare ad incontrarsi per parlare, al bar o ai giardini, e poi si potrebbe pian piano estendere il gruppo. Nei luoghi dove esistono già dei gruppi attivi o interessati, si potrebbero verificare le loro intenzioni e cercando poi eventualmente di far confluire sulle loro attività le persone già individuate, sulla base di esigenze condivise o di obiettivi semplici e immediati ai quali collaborare.
Se invece si può iniziare con un piccolo gruppo di persone che già condividevano alcune idee, non dovrebbe essere difficile trovare il numero (non i nomi!) dei votanti per ogni seggio e quindi avere una qualche indicazione sul numero di persone da individuare in ogni zona. Si potrebbero dare degli appuntamenti in luoghi centrali, oppure estendere sistematicamente il passaparola. Le difficoltà potrebbero sorgere al momento di stabilire le modalità di lavoro e i primi seppur limitati obiettivi. Se si riuscisse a fare una seria analisi dei problemi ambientali di ogni zona e a commisurare gli scopi alle forze del gruppo, molte difficoltà potrebbero essere superate. Un aiuto potrebbe anche venire, nei prossimi mesi, dalle scadenze internazionali riguardanti le adesioni dei governi al trattato di Parigi sul clima, poiché la componente informativa e di autoformazione dovrebbe sempre caratterizzare i gruppi di base, che devono continuamente aggiornare le informazioni in loro possesso. Inoltre, non appena superata una prima fase, ogni gruppo dovrebbe far conoscere la propria esistenza ai principali siti o periodici on line, che si occupano specificamente di problemi ambientali.
Il seguito non possiamo che lasciarlo a quei milioni di persone che nei prossimi giorni sceglieranno di non ricadere nella frustrazione e di perseguire invece nella costruzione di un tessuto fitto e articolato di realtà di base, strettamente connesse con le esigenze del territorio in cui vivono, convinte che solo una massa consistente di tali attività potrà innovare in profondità le logiche della società italiana, da troppo tempo frammentata e divisa e soprattutto caratterizzata da una crescente passività e da un profondo senso di impotenza.

Fonte: comune-info.net

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