La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 11 giugno 2016

La ricetta non può essere più sanità privata

di Stefano Cecconi
La ricerca Rbm Censis, resa pubblica in occasione del Welfare Day 2016, presenta un quadro sempre più allarmante per il diritto alla salute dei cittadini – e da cui si evince che 11 milioni di nostri connazionali rinunciano ormai alle cure –. Ma se l’analisi è condivisibile, meno lo è la ricetta proposta: affiancare un pilastro privato a quello pubblico rappresentato dal Servizio sanitario nazionale (Ssn), ormai in crisi. Un controsenso: se vogliamo davvero mantenere la tutela della salute come diritto fondamentale, prima di tutto bisogna dare più forza al Ssn pubblico e universale, indebolito da anni di tagli e il cui destino è in pericolo.
Se si attueranno le previsioni del governo, che vuol portare l’incidenza della spesa sanitaria pubblica sul Pil al 6,5% nel 2019 (vedi Cgil su Def 2016), l’Italia scende al livello di guardia sotto il quale l’Oms segnalapericolo per il diritto alla salute e all’accesso alle cure dei cittadini. Per questo occorre investire nel Servizio sanitario pubblico: per tagliare le liste di attesa, ridurre i ticket, riqualificare l’offerta di servizi verso la nuova domanda di salute e di cure, dovuta all’invecchiamento della popolazione e a quella che l’Oms definisce come “l’epidemia globale delle malattie croniche”.
Una domanda sempre più bisognosa di prevenzione, assistenza nel territorio, integrazione fra sanità e sociale. Solo con un forte Ssn l’assistenza sanitaria integrativa può aiutare a colmare lacune, a alleggerire il peso della spesa socio sanitaria privata che oggi grava sui i cittadini (quasi 30 miliardi). Questo vuol dire orientare la direzione di marcia degli attuali fondi sanitari, che coprono troppe prestazioni sostitutive, già presenti nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), invece che offrire prestazioni aggiuntive e realmente integrative (odontoiatria, non autosufficienza, personalizzazione delle cure anche nel servizio pubblico ecc.).
Un compito che è anche del sindacato, che ha istituito molti di questi fondi. Peraltro la recente proposta di Cgil, Cisl e Uil sul nuovo modello di relazioni industriali, circa il wefare contrattuale è chiara e va proprio in questa direzione: “… I fondi contrattuali di sanità integrativa non possono rappresentare una scelta di indebolimento del sistema universale di tutela. Al contrario, attraverso il convenzionamento con le strutture pubbliche, possono a loro volta interagire e rappresentarne un fattore di sostegno”.

Fonte: Rassegna.it 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.