La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 11 giugno 2016

Dissenso in Cgil. Chi va, chi resta

di Checchino Antonini
Un certo numero di dirigenti e rappresentanti sindacali dà definitivamente addio alla Cgil. Alcuni di loro aderiranno all’USB. Fra questi Sergio Bellavita, già segretario nazionale Fiom, storico rappresentante dell’opposizione in Fiom e in Cgil, nonché portavoce nazionale dell’area “Il sindacato è un’altra cosa”. Bellavita è stato licenziato in tronco da Landini alcune settimane fa dopo essersi schierato contro la dichiarazione di incompatibilità di quei delegati Fiom degli stabilimenti di Termoli, Melfi e Atessa che hanno osato scioperare (e vincere) contro il modello Marchionne. Alcuni di loro seguiranno la scelta di Bellavita. Qualche giorno prima, le lodi di Landini a Marchionne erano state usate in un’aula di tribunale dal legale della Fca per sancire il licenziamento di alcuni delegati di Pomigliano che s’erano sdegnati per il suicidio di una cassintegrata.
L’attacco violentissimo della burocrazia Cgil e Fiom va letto nella drammaticità dell’attacco padronale alle condizioni di vita e di lavoro della classe lavoratrici. In questo contesto va inquadrata la responsabilità gravissima dei gruppi dirigenti sindacali che hanno sempre più aderito alle pretese padronali, gestendo le politiche dell’austerità e lasciando i lavoratori privi di una difesa sindacale minimamente correlata alle necessità dello scontro sociale.
I rapporti tra minoranza e maggioranza, a Corso Italia, non sono mai stati così tesi e, in generale, la vita per l’area non è mai stata semplice già dal congresso scorso segnato dabrogli sistematici per comprimere la consistenza dell’unica opposizione alla linea Camusso sotto la soglia del 3%. Sono seguite l’esclusione illegittima dagli organismi dirigenti in diverse categorie e territori (Filcams, Filt, Calabria, Firenze…), fino all’espulsione di una ventina di lavoratori della Piaggio, di Rsu in Veneto e Piemonte dalle proprie federazioni territoriali. Ma nell’area “Il sindacato è un’altra cosa” non tutti hanno deciso di seguire Bellavita che ufficializzerà la confluenza in Usb nel corso dell’assemblea pubblica che si terrà a Roma domani al Centro Congressi Cavour mentre l’area di opposizione in Cgil terrà l’8 luglio l’assemblea nazionale di chi resta a dare battaglia, almeno fino al prossimo congresso.
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Se negli anni passati abbiamo potuto approfittare degli spazi che la contrapposizione tra la Fiom e la Cgil lasciavano aperti – ha spiegato Bellavita – oggi bisogna purtroppo rilevare che l’abbraccio Landini-Camusso e dei due con Barbagallo e Furlan, chiude ogni contraddizione entro cui agire nella dialettica interna. Dentro la Cgil non vi è più alcuna contrapposizione sul modello contrattuale e sociale. Landini ha abbandonato ogni difesa del contratto nazionale e della democrazia sindacale e non vi è più alcuna differenza tra la linea contrattuale di Fim, Fiom, Uilm. Il prossimo congresso si è giocato in questi mesi, proprio nell’attacco all’unica area di opposizione interna».
Chi resta in Cgil, però, è scettico sui reali margini di manovra di chi opera all’interno di sindacati di base per la litigiosità tra le sigle, per problemi analoghi di pluralismo interno(l’espulsione recente da Usb di due componenti dell’esecutivo e di una consistente area confluita in Sgb) ma «soprattutto perché una pratica sindacale classista deve porsi il problema di rapportarsi a una dinamica e a una conflittualità di massa, e non semplicemente a un’avanguardia o a ristretti settori». ha ribattuto Eliana Como, del comitato centrale Fiom e nel direttivo nazionale Cgil.
«Non condivido la scelta di Sergio senza in alcun modo sottovalutare la gravità dell’accaduto», spiega Como, che ha chiesto in questi mesi che un’eventuale prospettiva di uscita dalla Cgil «fosse discussa apertamente, pensando che fosse poco responsabile tenerla sotto traccia. Con il rischio che poi esplodesse improvvisamente. Non ho granitiche certezze sulla capacità che avremo di resistere allo scontro. Lo verificheremo nei prossimi mesi e nel prossimo congresso ma non credo che gli spazi del dissenso siano oggi definitivamente chiusi».
Per chi ha deciso di restare, la linea di Corso Italia presenta ancora diverse contraddizioni e controtendenze «e laddove riusciamo a esercitare rapporti di forza e praticare il conflitto e il dissenso, anche radicale, senza compromessi, fosse anche “incompatibile”», continua Como componendo una piccola geografia di resistenze: Same, Piaggio, Gkn, per citare i più conosciuti luoghi di lavoro conflittuali da cui ripartire.
Chi parte verso il più folto sindacato di base, chi resta nel più grande sindacato d’Europa. Con la stessa idea di fondo di voler ricostruire un sindacalismo di classe. Due opzioni che potrebbero trovare momenti di convergenza anche se, per una prima fase, potrebbero scontare una certa dose di concorrenzialità.

Fonte: Popoffquotidiano.it 

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