La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 10 giugno 2016

Le piazze si colorano di tute blu: «No ai salari ad personam»

di Antonio Sciotto
In piazza per dire no alle proposte di Federmeccanica e rivendicare più salario per tutti. I metalmeccanici non si sono fatti fiaccare da sette lunghi mesi di trattativa, con le imprese rimaste immobili sempre sullo stesso punto: gli aumenti saranno assicurati solo al 5% dei lavoratori, per tutti gli altri si vedrà azienda per azienda. Ieri sciopero e manifestazioni in tante città italiane, da Milano a Torino a Vicenza, fino all’Abruzzo e al Molise. Le proteste proseguiranno oggi, e poi mercoledì 15, toccando tutte le regioni. «Ci accusano di essere vecchi, ideologici – dice dal palco di Milano Marco Bentivogli, segretario generale Fim Cisl – Ma piuttosto non sono gli industriali a proporci un modello ottocentesco? Vogliono concedere gli aumenti solo ad personam, magari a chi se ne sta ben lontano dal sindacato».
Il leader della Fiom Cgil Maurizio Landini parla da Vicenza: «Non saremo noi a dire addio al contratto nazionale: oggi più che mai è importante conquistare salario e tutele per tutti, per contrastare la frammentazione che vediamo nelle fabbriche. Alle imprese chiediamo più investimenti, e al governo una politica industriale». Rocco Palombella, segretario Uilm, aggiunge da Torino: «È il momento che Federmeccanica cambi finalmente avviso: noi proseguiamo uniti e ci aspettiamo che gli imprenditori ascoltino le nostre ragioni. Questo immobilismo sta danneggiando i lavoratori e le stesse aziende».
Tra le oltre 10 mila tute blu che sfilano per le strade di Milano, da Porta Venezia alla Stazione centrale, ce ne sono tante che ancora oggi – in piena «ripresa» renziana – devono affrontare i morsi della crisi. E nonostante questo hanno scioperato.
C’è la General Electric di Sesto San Giovanni, che vuole chiudere, il gruppo Abb, che ha dichiarato 350 esuberi, la Candy di Brugherio (300 esuberi), la Linkra di Agrate Brianza (300 esuberi), la Belleli di Mantova con i suoi 300 operai che cercano di fermare una esternalizzazione.
«La stella polare, per tutti, è il contratto», dice Mirco Rota, segretario della Fiom lombarda. «Federmeccanica afferma di voler aumentare la produttività? Bene, ma allora perché nello stesso tempo in tutti i tavoli aziendali propone un taglio dei premi, e la riduzione da fisso a variabile, e da variabile a zero? Noi siamo per i miglioramenti, certo, ma si possono ottenere solo facendo una buona contrattazione integrativa accanto a un solido contratto nazionale, che garantisca tutti».
L’intento di Federmeccanica, al contrario, è quello di cancellare di fatto il contratto nazionale, perlomeno come sistema universale di aumenti salariali: il presidente Fabio Storchi ripete pervicacemente da mesi che deve finire l’epoca degli «aumenti a pioggia». In questa prospettiva, si fisserebbero dei minimi salariali di tutela, e gli incrementi nazionali verrebbero garantiti solo a chi sta sotto (circa il 5% degli addetti del settore, calcola il sindacato).
Per tutti gli altri si apre una nuova avventura: dovrebbero contrattare in azienda, esponendosi al rischio della variabilità, perché qualcosa arriverebbe solo nel caso in cui il bilancio fosse in utile. Attualmente, peraltro, gli integrativi si fanno in meno del 30% delle imprese metalmeccaniche italiane, e il tessuto nazionale è fatto per la gran parte di piccole e medie realtà: «Per loro chi contratterebbe, il prefetto? – chiede ironicamente Rota – Dove ci sono 10, 12 o 20 dipendenti il sindacato spesso non riesce a entrare».
E se nelle piccole imprese non si riesce a contrattare, nelle grandi si continua a fare i conti con la crisi. Barbara Rovida è una Rsu Fiom della Abb di Vittuone: «Hanno dichiarato 150 esuberi su 270 dipendenti – ci spiega – Vorrebbero mandare via 95 operai e 55 impiegati, per spostare il grosso delle produzioni in Estonia, Svezia e Finlandia». «Finisce sempre così – riprende – le multinazionali ci usano finché gli facciamo comodo, poi diventiamo forze da buttar via. Adesso speriamo di trovare una soluzione al tavolo del 15 in Assolombarda, e poi il 27 a Roma, al ministero dello Sviluppo».
Marco Rendene, Rsu Fiom della Belleli (macchinari per la raffinazione di petrolio e gas) racconta la difficile situazione degli operai di Mantova: «La multinazionale Usa che ci controlla ha deciso di ‘efficientare’ e si è rivolta a una società di consulenza: ma noi abbiamo fatto alcune ricerche e ci siamo accorti che i tecnici che ci hanno inviato sono specializzati nella chiusura delle imprese, quindi si è diffusa comprensibilmente la paura. Infatti hanno disdettato tutti i premi, minacciato una vendita e l’esternalizzazione dei nostri contratti. Per ora, grazie a quattro giorni di presidio con blocco delle merci, abbiamo bloccato tutto».
Grandi assenti alla manifestazione milanese, nota Bentivogli della Fim Cisl, i due candidati a sindaco del capoluogo lombardo, Giuseppe Sala e Stefano Parisi. «Non li ho visti in piazza, e questo vuol dire che una scelta l’hanno fatta: non stanno dalla parte dei metalmeccanici. Triste pensare che in una città industriale come Milano, i due candidati non si preoccupino di ascoltare chi rappresenta il disagio».
Il segretario della Fim Cisl conclude sottolineando l’importanza di vedere «dopo otto anni di contrasti e divisioni, i tre sindacati metalmeccanici uniti nelle rivendicazioni»: «Su altre questioni, inutile nasconderlo, rimaniamo distanti – dice Bentivogli – Ma se riusciremo a mantenere fermi la capacità di sintesi e il pragmatismo, rimanendo concentrati sui nostri obiettivi comuni, ritengo che potremo arrivare insieme in fondo al negoziato e firmare un buon contratto».
MILANO
In piazza per dire no alle proposte di Federmeccanica e rivendicare più salario per tutti. I metalmeccanici non si sono fatti fiaccare da sette lunghi mesi di trattativa, con le imprese rimaste immobili sempre sullo stesso punto: gli aumenti saranno assicurati solo al 5% dei lavoratori, per tutti gli altri si vedrà azienda per azienda. Ieri sciopero e manifestazioni in tante città italiane, da Milano a Torino a Vicenza, fino all’Abruzzo e al Molise. Le proteste proseguiranno oggi, e poi mercoledì 15, toccando tutte le regioni.
«Ci accusano di essere vecchi, ideologici – dice dal palco di Milano Marco Bentivogli, segretario generale Fim Cisl – Ma piuttosto non sono gli industriali a proporci un modello ottocentesco? Vogliono concedere gli aumenti solo ad personam, magari a chi se ne sta ben lontano dal sindacato».
Il leader della Fiom Cgil Maurizio Landini parla da Vicenza: «Non saremo noi a dire addio al contratto nazionale: oggi più che mai è importante conquistare salario e tutele per tutti, per contrastare la frammentazione che vediamo nelle fabbriche. Alle imprese chiediamo più investimenti, e al governo una politica industriale». Rocco Palombella, segretario Uilm, aggiunge da Torino: «È il momento che Federmeccanica cambi finalmente avviso: noi proseguiamo uniti e ci aspettiamo che gli imprenditori ascoltino le nostre ragioni. Questo immobilismo sta danneggiando i lavoratori e le stesse aziende».
Tra le oltre 10 mila tute blu che sfilano per le strade di Milano, da Porta Venezia alla Stazione centrale, ce ne sono tante che ancora oggi – in piena «ripresa» renziana – devono affrontare i morsi della crisi. E nonostante questo hanno scioperato.
C’è la General Electric di Sesto San Giovanni, che vuole chiudere, il gruppo Abb, che ha dichiarato 350 esuberi, la Candy di Brugherio (300 esuberi), la Linkra di Agrate Brianza (300 esuberi), la Belleli di Mantova con i suoi 300 operai che cercano di fermare una esternalizzazione.
«La stella polare, per tutti, è il contratto», dice Mirco Rota, segretario della Fiom lombarda. «Federmeccanica afferma di voler aumentare la produttività? Bene, ma allora perché nello stesso tempo in tutti i tavoli aziendali propone un taglio dei premi, e la riduzione da fisso a variabile, e da variabile a zero? Noi siamo per i miglioramenti, certo, ma si possono ottenere solo facendo una buona contrattazione integrativa accanto a un solido contratto nazionale, che garantisca tutti».
L’intento di Federmeccanica, al contrario, è quello di cancellare di fatto il contratto nazionale, perlomeno come sistema universale di aumenti salariali: il presidente Fabio Storchi ripete pervicacemente da mesi che deve finire l’epoca degli «aumenti a pioggia». In questa prospettiva, si fisserebbero dei minimi salariali di tutela, e gli incrementi nazionali verrebbero garantiti solo a chi sta sotto (circa il 5% degli addetti del settore, calcola il sindacato).
Per tutti gli altri si apre una nuova avventura: dovrebbero contrattare in azienda, esponendosi al rischio della variabilità, perché qualcosa arriverebbe solo nel caso in cui il bilancio fosse in utile. Attualmente, peraltro, gli integrativi si fanno in meno del 30% delle imprese metalmeccaniche italiane, e il tessuto nazionale è fatto per la gran parte di piccole e medie realtà: «Per loro chi contratterebbe, il prefetto? – chiede ironicamente Rota – Dove ci sono 10, 12 o 20 dipendenti il sindacato spesso non riesce a entrare».
E se nelle piccole imprese non si riesce a contrattare, nelle grandi si continua a fare i conti con la crisi. Barbara Rovida è una Rsu Fiom della Abb di Vittuone: «Hanno dichiarato 150 esuberi su 270 dipendenti – ci spiega – Vorrebbero mandare via 95 operai e 55 impiegati, per spostare il grosso delle produzioni in Estonia, Svezia e Finlandia». «Finisce sempre così – riprende – le multinazionali ci usano finché gli facciamo comodo, poi diventiamo forze da buttar via. Adesso speriamo di trovare una soluzione al tavolo del 15 in Assolombarda, e poi il 27 a Roma, al ministero dello Sviluppo».
Marco Rendene, Rsu Fiom della Belleli (macchinari per la raffinazione di petrolio e gas) racconta la difficile situazione degli operai di Mantova: «La multinazionale Usa che ci controlla ha deciso di ‘efficientare’ e si è rivolta a una società di consulenza: ma noi abbiamo fatto alcune ricerche e ci siamo accorti che i tecnici che ci hanno inviato sono specializzati nella chiusura delle imprese, quindi si è diffusa comprensibilmente la paura.
Infatti hanno disdettato tutti i premi, minacciato una vendita e l’esternalizzazione dei nostri contratti. Per ora, grazie a quattro giorni di presidio con blocco delle merci, abbiamo bloccato tutto».
Grandi assenti alla manifestazione milanese, nota Bentivogli della Fim Cisl, i due candidati a sindaco del capoluogo lombardo, Giuseppe Sala e Stefano Parisi. «Non li ho visti in piazza, e questo vuol dire che una scelta l’hanno fatta: non stanno dalla parte dei metalmeccanici. Triste pensare che in una città industriale come Milano, i due candidati non si preoccupino di ascoltare chi rappresenta il disagio».
Il segretario della Fim Cisl conclude sottolineando l’importanza di vedere «dopo otto anni di contrasti e divisioni, i tre sindacati metalmeccanici uniti nelle rivendicazioni»: «Su altre questioni, inutile nasconderlo, rimaniamo distanti – dice Bentivogli – Ma se riusciremo a mantenere fermi la capacità di sintesi e il pragmatismo, rimanendo concentrati sui nostri obiettivi comuni, ritengo che potremo arrivare insieme in fondo al negoziato e firmare un buon contratto».

Fonte: il manifesto 

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