La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 11 giugno 2016

Esiste ancora l'intellettuale di sinistra?

di Nicolas Truong
Ma dove sono andati? Cosa sono diventati? Perché nessuno li ha ascoltati? Queste le questioni che si sono poste a seguito dello stupore (e dibattito successivo) suscitato dalle prese di posizione di Michael Onfray sui migranti. Tutti furono costernati nel vedere una parte dell’intellighenzia francese condividere “gli irrigidimenti” della società francese in merito ai rifugiati. Ma lo stupore fu ulteriore per il vuoto abissale in una sinistra intellettuale nuovamente timida, segregata o silenziosa. 

Realtà o illusione? Problema focale e di percezione.
Ovviamente vi è la lente d’ingrandimento della televisione e la riduzione del dibattito pubblico ad un incontro di wrestling mediatico. Inoltre, il fatto che il “meeting della mutualità” del 20 Ottobre, intitolato “Si può ancora dibattere in Francia?”, organizzato inizialmente a sostegno di Onfray – in mancanza di partecipanti (in particolare, declinati i nomi di Alain Finkielkraut e Pascal Bruckner) – si sia infine ampiamente composto di editorialisti, marca il segno dei tempi. Il disagio è evidente.
Dopo l’eliminazione della figura de “l’intellettuale profetico” (universalista e hughiano), la scarsità di “intellettuali critici” (in guerra con l’ordine stabilito), il declino de “intellettuale specifico” (che interviene nella città a partire dal suo dominio di ricerca), senza contare la difficoltà nell’elaborare un “intellettuale collettivo”, sarebbe a dire una reale messa in comune dei saperi, la sinistra intellettuale sembra in difficoltà.
Stampe d’Épinal
Senza dimenticare la questione del carisma e dell’incarnazione. Il ricordo di Pierre Bourdieu a sostegno dello sciopero dei ferrovieri alla stazione di Lione, nel Dicembre 1995, contro la “distruzione della civiltà”, è diventata una “Stampa d’Épinal” piuttosto che una Cromolitografia. Da qui una certa nostalgia che ha conquistato gli ambienti più radicali.
Lo specchio è tuttavia deformante. Si omette una parte di lavoro intellettuale fiorente. Dal lato più antico, il repubblicanesimo è ancora ben presente (con Régis Debray e la sua rivista Médium), così come l’idea di rivoluzione (Alain Badiou) o quella di “politica di civiltà” (Edgar Morin). La critica sociale è ancora viva, tra cui Etienne Balibar, che teorizza il concetto di “equalibertà”, Miguel Abensour, che ravviva il “nuovo spirito utopico” o Jacques Rancière, che continua la sua riflessione estetica e politica sulla “condivisione del sensibile”.
Contrariamente a quanto si pensa comunemente, Marx non è morto. Così, il filosofo Pierre Dardot e il sociologo Christian Laval sincretizzano le nuove interpretazioni del marxismo e pensano che queste nuove lotte che si organizzano attorno ai “comuni” contro le nuove forme d’appropriazione private e statali di beni pubblici, dall’informatica alle risorse naturali, dalla mutualizzazione dell’acqua alla preservazione dei dati personali.
Perché “la sinistra non può morire”, scrive sul Monde Diplomatique, il filosofo Frédéric Lordon articola la sua analisi marxista delle crisi del capitalismo finanziario ad una “economia politica spinozista”.
“Storia-Mondo”
I collettivi si muovono ancora. Un esempio tra mille altri: in seno alla loro associazione, Ars industrialis, Bernard Stiegler e Marc Crépon elaborano “una politica industriale dello spirito” al fine di combattere le tecniche di controllo che, dalla pubblicità ai videogiochi, prendono il potere sui nostri desideri e sulle nostre vite. “Esprit, Lignes, Vacarme, Regards, Mouvement” ed altri: le riviste sono egualmente numerose.
Le istituzioni non ospitano affatto il pensiero conservatore e i suoi tenori. Al Collège de France, Patrick Boucheron difende una «storia-mondo» contro la preminenza della narrativa nazionale e non esita nel sostenere che “la ricerca dell’identità è contraria all’idea stessa di storia”. Dopo il Collège de France, ancora, Pierre Rosanvallon anima il sito de “La vita delle idee”, una sorta di“cooperativa intellettuale” che recensisce opere e dibattiti internazionali, esteso dalla “Repubblica delle idee”, collezione di “Éditions du Seuil” pubblicate tanto bene dall’economista Esther Duflo quanto dal demografo Emmanuel Todd.
All’École Polytechnique, il filosofo Michaël Foessel – successore di Alain Finkielkraut alla cattedra di filosofia – sviluppa, in particolare, la sua “critica della ragione apocalittica”, lontano dal declinismo dominante. All’École des Hautes Études en Sciences Sociales, Luc Boltanski – che lavora attualmente sul romanzo “classe patrimoniale” – è balzato in primo piano per un testo d’intervento contro “l’estensione del dominio dei diritti”.
Affatto morto
A latere dal successo popolare, non è possibile non menzionare i sociologi dei quartieri alti, Monique Pinçon-Charlot e Michel Pinçon, che in tutta la Francia spiegano “perché i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri”al popolo di sinistra arrabbiato con il sarkozismo e deluso dall’hollandismo. O meglio ancora l’immenso riscontro di pubblico incontrato dal libro dell’economista Thomas Piketty sulle diseguaglianze. La giovane guardia non si ferma: Sandra Laugier, Fabienne Brugère, Frédéric Gros, Yves Citton, Bernard Aspe, Quentin Meillassoux e tanti altri cui si dovrebbe dare il tempo di precisare i loro lavori. In una parola, l’intellettuale di sinistra non è morto.
Ma da dove viene l’impressione di disagio, allora? Da un’ignoranza di quella ricchezza troppo poco richiesta. Da una reticenza e da una mancanza di curiosità. Ma talvolta anche da una certa chiusura – meno accademica che sociale ed ideologica – all’interno di ambienti dove si affronta solo un pubblico di convinti. Da dove ancora? Dall’impressione d’aver perso la partita contro i neoconservatori e la loro egemonia. Da un deficit di carisma di certi intellettuali multiculturalisti nell’approcciarsi alle questioni spinose – per la preoccupazione di non “stigmatizzare” le minoranze -, che ha contribuito a rinforzare le idee che gli intellettuali di sinistra praticherebbero una “negazione della realtà”. Talvolta per una mancanza di carisma e aura. Da una sensazione che il divario destra-sinistra è sorpassato di fronte alle questioni culturali e di civiltà.
Da qui l’idea di dare la parola a Danièle Sallenave, Marc Crépon, Stéphane Beaud e Gérard Mauger. Parole a difesa, in qualche modo. La storia darà modo di dimostrare che, in ideologia come in strategia, la miglior difesa è l’attacco.

Articolo pubblicato su Le Monde
Traduzione in italiano a cura di Enrico Strano per Sinistra in Europa
Fonte: Sinistra in Europa 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.