La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 11 giugno 2016

Ecco perché la crisi perdura

di Gustavo Piga 
Arrestata l’emorragia della recessione qualcuno aveva tirato un sospiro di sollievo, convinto che il malato (occidentale, europeo, italiano) fosse stato salvato. Ora però siamo pervasi da un senso di angoscia: il malato parla, capisce quanto gli si dice, ma non si rialza che a malapena per qualche attimo. Operato, arrestata l’emorragia, la debolezza è così importante da non permettergli che qualche passo nella propria stanza prima di tornare a letto, esausto. Il tasso di crescita dal 2015 rimane miserando, non consentendo la ripresa dell’occupazione e del ritorno rapido ai livelli di produzione ante crisi.
Di questo si occupa uno dei più brillanti giovani macroeconomisti neoclassici, Lee Ohanian, recensendo il volume keynesiano dello storico Barry Eichengreen Hall Of Mirrors: The Great Depression, the Great Recession and the Uses and Misuses of Historyed adottando una prospettiva interessante: quella di chiedersi se veramente questa crisi prolungata del malato occidentale sia identica a quella che lo abbatté nel 1930, altrettanto lunga.
Ambedue le crisi infatti si prolungarono dopo lo shock ciclico iniziale, il che le rende uniche nell’arco dell’ultimo secolo. Ma con una cruciale differenza, nota Ohanian. Negli anni ’30, dopo il picco della recessione, la produttività crebbe rapidamente, tutto il contrario di quanto sta avvenendo in questa crisi. La capacità di crescita di lungo periodo dell’economia occidentale sembra infatti sparita: i tassi di creazione di nuove aziende sono diminuiti del circa 30% dai primi anni ’80. La metà di questo declino è avvenuto dal 2009. Si lega dunque a filo doppio ad una cattiva gestione di questa crisi.
Questo blog ha sempre sostenuto che tale effetto di lungo periodo della crisi del 2007 è stato reso possibile dalla mancanza di sostegno tramite maggiore domanda aggregata da parte dei governi alle aziende in difficoltà, in particolare le piccole e le nuove imprese, destinate a soccombere per la loro intrinseca fragilità. Ohanian adotta tuttavia una prospettiva diversa, direi complementare alla mia, che mi sento di condividere appieno, specie se guardo alle scelte degli ultimi governi italiani ed alla nostra miseranda performance economica:
"C’è un ciclo di vita per le aziende, ed una economia in crescita sistematicamente rialloca risorse da imprese mature, che divengono relativamente più piccole con il passare del tempo, a imprese giovani capaci di crescere. È interessante notare come in questa ultima recessione le politiche hanno protetto produttori maturi e dominanti nel mercato. Queste politiche hanno aiutato banche ed imprese… a galleggiare allocandogli risorse, ma questi salvataggi possono avere impedito il naturale processo di riallocazione necessario per la crisi economica."
Malgrado Ohanian parli degli USA, i dati italiani al riguardo sono drammatici. Basterà notare dal grafico come la crisi abbia impattato in questi anni sul tasso di crescita delle piccole imprese italiane: il numero percentuale di imprese anziane è drasticamente aumentato in questi ultimi 5 anni.


Perché? Due ragioni: 1) la crisi uccide più facilmente le più piccole e 2) l’Italia è un paese che strutturalmente non protegge le sue più piccole. Ricordo distintamente un incontro a porte chiuse con un policy-maker italiano che ha avuto in mano il pallino decisionale della politica industriale in questi anni. Parlò per più di un’ora, con dovizia di dati, di tutti i piani di salvataggio che aveva attivato e che seguiva in prima persona per le grandi imprese in difficoltà. Gli feci notare alla fine della sua presentazione che mai una volta aveva menzionato le “piccole imprese”. Mi guardò con sana perplessità, come si guarda ad un marziano.
Il governo Renzi come i suoi predecessori non solo non ha salvato le piccole imprese in difficoltà ma non ha nemmeno attuato politiche appropriate per generare nuove imprese. Come ha fatto giustamente rilevare il Centro Studi di Confartigianato, gli aiuti alle start-up “innovative” hanno fallito, aiutando solo una quota parte minuscola delle imprese innovative. Dal 2012 l’iscrizione nella sezione speciale del Registro delle imprese riservata alle startup innovative consente infatti – per un massimo di 5 anni dal momento della costituzione – di poter beneficiare di agevolazioni fiscali e semplificazioni burocratiche.
"Dall’esame dei dati di Unioncamere-Infocamere, al 14 marzo 2016 si rilevano 5.324 startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle imprese, di cui 4.928 società si sono iscritte tra il 2013 e il 2015. Si tratta di un intervento sicuramente limitato e troppo selettivo: se consideriamo che nell’arco dello stesso periodo (2013-2015) si sono iscritte 1.127.167 imprese, di cui in media il 51,1%, rappresentano “vere nuove imprese” e il 4,0% di queste nasce al fine di sfruttare un’idea innovativa (Unioncamere-Ministero del Lavoro, 2015) ne consegue che tra il 2013 e il 2015 si stimano 23.057 vere nuove imprese con propensione all’innovazione, oltre quattro volte le startup innovative “per legge” iscritte nello stesso periodo."
Padoan e Renzi vogliono veramente aiutare il malato Italia a riprendersi? Smettano di pensare a proteggere i più grandi e i più potenti e si diano da fare per pensare in piccolo e giovane. Una vera rivoluzione, ma temo siano troppo vecchi e potenti per capirlo e farlo.

Articolo pubblicato sul blog dell’autore il 9 giugno 2016.
Fonte: Eunews Oneuro 

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