La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 29 luglio 2016

La politica, noi e la guerra civile diffusa

di Alessandro Gilioli 
In economia una azione "anticiclica" è quella che va in direzione opposta rispetto ai principali indicatori del ciclo. Quello che c'è da chiedersi, nell'epoca del Grande Disordine globale, è quali sono le azioni anticicliche in termini di decisioni politiche (e ovviamente di visioni culturali che ci sono dietro). Altrimenti è tutto un Trump, Le Pen, Salvini e compagnia ruttante. Il ciclo che - più o meno - si è aperto sei o sette lustri fa viene talvolta chiamato "neoliberismo".
La definizione irrita molti (il Foglio ci fa pure una rubrichetta ironica) e il termine è impreciso, in effetti. Del resto chi l'ha inventato, quel termine, intendeva tutt'altro: quasi il contrario di quello che si intende oggi. Buffo il destino delle parole.
Forse il tratto caratterizzante del ciclo politico iniziato negli anni Ottanta (e oggi in crisi finale) si definisce meglio "per contrari": è infatti l'opposto della coesione sociale. In altri termini è un sistema di pensiero che pur partendo da spinte con un loro rispettabile fondamento teorico e pragmatico - la concorrenza, la competizione, la meritocrazia etc - ne radicalizza le conseguenze fino a trasformare questi valori in una guerra civile molecolare e ininterrotta tra individui e tra gruppi. In una lotta per la sopravvivenza in cui ciascuno odia tutti gli altri e considera tutti gli altri degli ostacoli per il raggiungimento del proprio benessere. Insomma in un "tutti contro tutti".
Questo lo vediamo ogni giorno. Nei suoi effetti, dico.
Anche qui, in Italia, paese che pure è stato un po' meno permeabile di altri nel processo di identificazione con questa tendenza globale.
Lo vediamo nelle partite Iva che odiano gli insegnanti, nei voucheristi che odiano gli interinali, nei vecchi che odiano i giovani, nei figli degli immigrati dalla Sicilia che odiano i figli degli immigrati dalla Siria, nei poveri di periferia che odiano i poveri del centro, nei musulmani che odiano i cristiani, nei vegani che odiano i carnivori, nei pedoni che odiano gli automobilisti che odiano i ciclisti che odiano i tassisti che odiano i runner che odiano i pedoni. Fino ai fumatori che odiano i non fumatori, gli anti Pokemon che odiano gli appassionati di Pokemon, quelli che abitano nelle città satellite che odiano quelli che non abitano nelle città satellite - e viceversa più o meno per tutte le categoria suddette, naturalmente, e così via all'infinito, fate voi le categorie, i gruppi, gli individui.
Non ci sarebbe quindi azione politica e culturale più anticiclica, nel 2016, di una rivoluzione cognitiva che rovesciasse il dogma principale del "neoliberismo": quello secondo il quale gli altri sono un ostacolo per il mio benessere.
Non è tuttavia di questo che si occupa oggi la politica, specie nella sua parte egemonica. Non è questo il suo obiettivo. Non sono queste le sue parole, non sono in questa direzione le sue azioni.
Ed è proprio qui il vero, principale motivo di dissenso rispetto al cosiddetto renzismo (ma in realtà vale per tutto il centrosinistra italiano da ben prima che si affermasse Renzi): avere gabellato per innovativi e perfino socialmenti utili, nel 2016, approcci mentali, politici ed economici che invece appartengono mani e piedi alla subcultura che si è affermata negli anni Ottanta e che ha radicalizzato il concetto di competizione e di individualismo fino a trasformarlo all'attuale guerra civile diffusa, al "tutti contro tutti"..
Il principale motivo di critica al cosiddetto "renzismo" (ma, ripeto, intendete questo termine in senso simbolico) è di non aver neppure tentato di essere anticiclico. Anzi, di essersi sdraiato sul ciclo. Proprio quando il ciclo stava andando a sbattere, tra l'altro.
È l'assenza di un pensiero e di una proposta civile anticiclica, cioè che va in senso opposto rispetto al "tutti contro tutti", a spalancare le porte al vuoto, ai trumpismi, ai lepenismi, ai nuovi fascismi in genere.
Del resto, il fascismo come risposta l'abbiamo inventato noi, qui in Italia: in un'altra epoca durante la quale - per classi anziché per gruppi atomizzati come ora - la crisi del capitalismo aveva portato a un'altra guerra civile diffusa.

Fonte: L'Espresso online - blog Piovono Rane

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