La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 29 luglio 2016

Premiata fabbrica della paura

di Anna Lombroso 
Ci sono due modi di guardare la televisione. Uno è quello che usiamo quando le immagini che scorrono riguardano i nostri “simili”, gente come noi, che magari festeggia una ricorrenza, che va a un concerto, che fa la spesa al supermercato. E ce n’è uno meno partecipe, più assuefatto se a passare sono sullo schermo sono le carneficine degli “altri”, troppe, con troppi morti, con troppo sangue come fosse un film di Tarantino prima dell’arrivo di Wolf, con troppo silenzio, perché pudicamente ci risparmiano le grida, i lamenti, i pianti che potrebbero urtare la nostra delicata sensibilità.
Nessuno è davvero immune da questa app non certo nuova delle disuguaglianze, che abbiamo già scaricato per essere informati correttamente grazie ai tag appropriati: stragi, terrorismo, disadattamento, frustrazione, Islam, civiltà superiore, barbarie, fondamentalismo, sicurezza. Ma cui potremmo aggiungere anche bambini, anche quelli differenti, quelli degli “altri” troppi, destinati a essere, quando hanno la fortuna incerta di crescere, una minaccia per la sicurezza, il lavoro, le cure, tanto da preferirli invisibili, ma se ci vengono rinfacciati dalla storia – che la cronaca è cauta e composta – quando galleggiano sulle acque del Mediterraneo, allora reclamiamo pudore, riservatezza, rispetto più che per loro, per la nostra impressionabile emotività di appartenenti a una scrematura di umanità più evoluta, che si presta più volentieri alla filantropia, alla carità sul numero verde e via sms che alla responsabilità, alla solidarietà e alla riprovazione per chi li ha condannati a morte per annegamento, fame, guerra promosse e finanziate da noi. Per via di quel corto circuito per il quale li bombardiamo e poi mandiamo crocerosse e volontari a mettere le bende, mentre altri attori della “nostra” parte stringono accordi commerciali, per sfruttare profittevolmente risorse, per depredare ricchezze e territori, per spostare eserciti di schiavi, per commercializzare il nostro brand più produttivo presso target dei quali sappiamo nomi e facce.
Potremmo aggiungere anche pianto e compianto, anche quelli differenti, se a cadere come pupazzi cui si è allentato il filo non sono “occidentali”, se, peggio che andar di notte, sono musulmani colpevoli di essere nati dalla parte sbagliata e quindi di professare una fede sbagliata incompatibile con le democrazie che rispettano le altrui opinioni, le donne, i diversi, anche quando cadono sotto i colpi di strani alleati, come in Siria o in Libia, per mano di “ribelli moderati”, sgozzati non da disadattati poco inclini al gradimento delle nostre magnifiche sorti e progressive, non da picchiatelli in cerca di un cappello o una bandiera che nobiliti la loro vendetta, ma bombardati da macellai vestiti come i commessi di Prada, scesi da fiammanti Toyota, addestrati in campi militari in odor di Nato, preparati non solo nella comunicazione e nel marketing delle loro performance, ma anche nelle tecnologie dello spettacolo più innovative, come Hollywood insegna.
È perfino banale osservare che tutto si tiene, che la somministrazione quotidiana della cura della paura ordinata per farci dimenticare quelle più “nostre”, miserabili e quotidiane delle tasse, della rinuncia imposta a diritti e garanzie, della riduzione di assistenza e della previsione di un futuro che non sia una oscura intimidazione, della perdita di prospettiva per noi e le generazioni a venire, è promossa da una industria della minaccia, dal grande racket globale che ha normalizzato la violenza imperialista e le sue guerre, per esaltare invece quella “anomala”, atipica, perché colpisce chi si sentiva indenne, inviolabile, in modo da dargli una nuova abitudine, quella ad altre volontarie e inevitabili restrizioni della libertà, dell’autonomia, da aggiungere a quelle obbligatorie intimate dall’austerità.
Patriot Act, tempi della carcerazione preventiva, stato di urgenza, sono fatti apposto perché l’aspirazione alla sicurezza, qualsiasi cosa voglia dire, metta in ombra quella alla giustizia. Qualcuno chiede che tra le riforme epocali per l’opportuno aggiornamento della Costituzione si collochi anche l’inserimento di una norma precisa a tutela della Sicurezza dello Stato, dando modo alla squinzia istituzionale di collegare indissolubilmente il Si al referendum alla lotta al terrorismo, che si manifesterebbe ormai anche con l’espressione di dissenso e critica e addirittura con l’abuso del diritto di voto, in una fanatica orgia partecipativa. E offrendo all’inestinguibile e truce fiume di nefandezze che escono dall’orifizio di Giovanardi di pronunciarsi per una salutare revisione, in vista di una ancora più salutare repressione a tutto campo: “è utopistico pensare che si possa essere tutti uguali di fronte alla legge come prevede la Costituzione scritta nel ’48, quando non c’erano l’immigrazione e il terrorismo”.
Alla contrazione dei consumi voluttuari, prodotta dall’impoverimento cui siamo stati obbligati come punizione per passate dissipazioni, si sta sostituendo l’impennata dei consumi dei vari prodotti offerti dal mercato della paura. Sarebbe ora di inscenare uno sciopero, una forma di disubbidienza, cominciando a distinguere, a pensare, a fare la differenza, ma quella giusta e buona.

Fonte: Il Simplicissimus 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.