La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 17 agosto 2016

Chiamare le élite a rispondere ma non banalizzare i problemi

di John Feffer 
Sapete di essere un secchione quando la vostra lettura serale è un tomo grosso quando l’ultimo romanzo di Stephen King ma nessuno della vostra famiglia strepita alla porta per averlo in prestito. Considerate, ad esempio, l’accordo sul nucleare iraniano. Sono solo 159 pagine, ma sono piene di un linguaggio tecnico che richiede l’analisi di un fisico. Gli avversari dell’accordo al Congresso, quelli che vorrebbero stracciarlo non appena il presidente Obama lascerà la Casa Bianca, probabilmente non hanno letto il testo completo.
Contemporaneamente il tipico accordo di accesso tra Unione Europea e un candidato a esserne stato membro è almeno altrettanto lungo – il più recente, con la Croazia, è di 250 pagine – e consta di una prosa ugualmente lagnosa che solo un economista potrebbe amare. Passando al recente referendum sull’appartenenza alla UE, la maggior parte dei sostenitori della Brexit non ha avuto idea di che cosa la loro appartenenza comportasse o nemmeno di che cosa fosse precisamente la UE.
L’accordo commerciale Partenariato Trans-Pacifico è ancora più lungo, più di 2.000 pagine, e si spinge davvero fino ad argomenti quali le quote delle aliquote tariffaria, la sorveglianza post-mercato e la concentrazione di proteine nel siero di latte. Non sono sicuro di chi abbia dovuto leggersi l’intero documento ma compiango il povero secchione.
Qualsiasi cosa pensiate di questi accordi, essi sono il risultato di lunghi negoziati di squadre di esperti. Rappresentano compromessi difficili e scambi attentamente equilibrati. Possono esserci stati dei drammi nel processo di negoziazione – particolarmente nel caso dell’accordo sul nucleare che è stato raggiunto sul filo di lana – ma i risultati non sono letture avvincenti.
Questi accordi sono anche, per loro stessa natura, il prodotto di élite. Sono negoziati da diplomatici d’élite e da esperti d’élite. Anche quando alla fine si conquistano sostegno popolare, questi accordi rappresentano gli interessi geopolitici delle élite. Sono l’espressione suprema di giochi interni.
Le élite sono addetti ai lavori, ma non sono esattamente “dentro” al momento. Il mondo sta vivendo un contraccolpo nei confronti delle élite. I britannici hanno votato la propria uscita dall’Unione Europea, gli elettori statunitensi si sono schierati dietro Bernie Sanders e Donald Trump e leader populisti, da Pauline Hanson in Australia a Julius Malema in Sudafrica, stanno acquistando forza in tutto il mondo.
Parte dell’organizzazione politica anti-élite è condotta nello spirito della strategia interna-esterna: esercitare pressioni nelle piazze per rafforzare la mano di alleati empatici al tavolo negoziale all’interno. Bernie Sanders, ad esempio, ha deciso di candidarsi a presidente all’interno del Partito Democratico, non da indipendente, e oggi gli allievi della campagna di Sanders stanno tentando di tradurre i fermenti di piazza in un cambiamento istituzionale.
Ma gran parte del populismo recente è molto diversa. I britannici che hanno rigettato la UE non erano interessati alla riforma. Semplicemente non avevano alcun interesse a restarci. Hanno voluto uscirne.
Analogamente la candidatura di Trump è una bomba scagliata contro “le imprese potenti, le élite mediatiche e le dinastie politiche”, come il candidato ha dichiarato a giugno nel suo discorso sul lavoro. “Voglio che immaginiate quanto migliore può essere il nostro futuro se dichiariamo l’indipendenza dalle élite che ci hanno condotto a un disastro dopo l’altro, finanziario e di politica estera”, ha proseguito.
“Via i parassiti!” è la chiamata alle armi che per secoli ha attirato consenso. In effetti la partita esclusivamente esterna – o semplicemente dire no – è indispensabile quando si tratta di abbattere ingiustizie quali l’apartheid in Sudafrica, dittature in Medio Oriente o genocidi di minoranze. Ma queste sono le eccezioni nel complesso mondo di oggi. Prevenire guerre, fermare il riscaldamento globale, coprire il divario di ricchezza: queste sfide richiedono attivisti impegnati, fermi nei loro principi, così come alleati all’interno che possono partecipare alla partita politica.
“Fischiare è facile” ha detto Sanders ai suoi sostenitori alla Convenzione Nazionale Democratica mentre stava eseguendo la sua svolta a favore della candidata del partito. Più difficile è costruire compromessi politici che mantengano le promesse fatte durante la campagna elettorale.
Non è solo l’anti-elitarismo che alimenta tali tentativi. E’ un’ansia di soluzioni semplici. Mentre il mondo diviene sempre più complesso, una risposta è stata scaricare tutto a favore di “tempi più semplici”. E’ un messaggio fondamentalista che attira i nazionalisti britannici, gli eccezionalisti alla Trump e anche i reazionari dello Stato Islamico.
La realtà della complessità
Le complesse società moderne richiedono nuove élite per la loro gestione. Scomparsi, per la maggior parte, sono i re e i signori feudali.
Al loro posto una moderna tecnocrazia amministra i sistemi politici democratici. Economisti e Wall Street gestiscono un’economia globale sempre più interconnessa. Élite mediatiche sovrintendono alla televisione, alla pagina stampata e alla blogosfera. Élite dell’intrattenimento producono i film e gli spettacoli televisivi che traducono in realtà virtuale i nostri sogni. Abbiamo élite accademiche, élite religiose, ONG d’élite e persino élite anti-elitarie (ad esempio Alex Jones).
Tutte queste élite hanno sviluppato competenze nei loro settori. Sono anche, quasi per definizione, arroganti. E’ raro il membro di una élite che non ritenga di saperla più lunga. Se non la sapesse più lunga sarebbe senza lavoro. Questa non è l’arroganza esplicita di un megalomane come Trump. Piuttosto è un’arroganza strutturale. Si accompagna al territorio.
Dunque sì, le trasformazioni economiche degli ultimi numerosi decenni non hanno avvantaggiato tutti. La rabbia contro l’Unione Europea, la rabbia contro sia i liberali sia i conservatori negli Stati Uniti e la ritirata in estremismi di vario genere sono tutte alimentate dall’emarginazione economica, dalla disuguaglianza di reddito e dalla percezione che il governo aiuta chi non lo merita. Ma Donald Trump, Nigel Farage, Marine Le Pen e i loro simili fanno affidamento su una disaffezione molto più profonda nei confronti della complessità, delle istituzioni che la gestiscono e delle persone che si guadagnano da vivere sostenendola.
I computer hanno consentito la creazione di istituzioni e relazioni sempre più complesse. La nuova scienza della complessità aiuta a spiegare fenomeni che in precedenza erano fuori dalla nostra portata, come il comportamento dei consumatori in un mercato al dettaglio e la miriade di interazioni in un ecosistema. Ma ci sarà sempre un contraccolpo contro questa complessità, anche solo perché il controllo si sposta sempre più in alto nella grande catena dell’autorità. Il desiderio di semplicità riguarda realmente il potere e chi lo esercita.
La torre di Babele
Nella storia della Genesi il popolo un tempo parlava una lingua comune. Insieme lavoravano a fabbricare mattoni e a incastrarli tra loro con il catrame. In questo modo costruirono una torre che saliva sempre più in alto. Costruirono questa torre “in modo che possiamo farci un nome”. Col crescere sempre più in alto della loro torre gli esseri umani posero la loro creazione contro il loro creatore in quello che sembrò un tentativo di attaccare il cielo. E così il Signore decise di “confondere le loro lingue in modo che non si intendessero tra di loro” e poi disperse la più arrogante delle sue creature ai quattro angoli del pianeta.
La UE è una struttura simile, la creazione di molti popoli diversi che hanno trovato un linguaggio funzionale comune per costruire qualcosa di complesso da parti più semplici. Sì, la UE è arrogante, nel senso che si arroga il ruolo di somministrare una sovrastruttura politica, economica e sociale. La burocrazia di Bruxelles potrebbe farlo con un po’ di umiltà, una punta di democrazia in più. Ma per godere dei frutti della vita moderna – maggiore prosperità economica, maggior libertà di movimento – gli europei hanno sono stati sin qui disposti a cedere una parte del potere a una élite superiore ai propri leader nazionali.
I britannici hanno rigettato la UE perché un gran numero di elettori non ha percepito i benefici evidenti dell’appartenenza, non ha sopportato le élite che sembravano dominare le loro vite e si è sentito a disagio con soluzioni complesse a problemi complessi. Hanno voluto distruggere ciò che non capivano appieno.
Donald Trump ha preso di mira le proprie torri di Babele: multiculturalismo, governo, NATO, l’economia globale.
Ha un’avversione profonda per la complessità. Parla al livello di uno scolaro di terza o di quarta(occasionalmente raggiungendo l’eloquenza di uno di prima media). Riduce i suoi avversari a nomignoli sprezzanti (che solitamente sono solo parole tronche come “bugiard” e “fedifrag”). Traffica in teorie cospirative che riducono la confusione della realtà a narrazioni semplici di manipolazioni segrete. Presenta il mondo in bianco e nero senza alcuna sfumatura di grigio in mezzo. Qualsiasi cosa non celebri il suo nome – Trump Plaza, Trump Tower – è automaticamente sospetta.
Trump e gli euroscettici la fanno semplice. Fanno appello alla fede nella patria. Non hanno interesse alla diversità culturale. Sono fondamentalmente disinteressati alla politica del do ut des (in quanto contraria alla politica delle gare di popolarità). Come lo Stato Islamico non vogliono un posto al tavolo; vogliono far saltare il tavolo.
L’Impero Romano, con tutta la sua miriade di difetti, creò un insieme complesso di istituzioni politiche ed economiche. Spazzato via dai barbari, l’impero passò la mano a pochi ducati e monasteri illuminati sparsi in tutta Europa. Al posto degli acquedotti e del diritto romano vennero Attila l’Unno, la peste e una grande balzo culturale indietro.
Evocare i barbari alle porte non è assolutamente un pretesto per accettare qualsiasi cosa offrano le élite globali. La UE, ad esempio, ha un disperato bisogno di riforme e accordi commerciali come il TPP continuano a favorire imprese potenti. Le élite sono indispensabili per una società moderna, ma devono essere tenute e a rispondere mediante la democrazia, non mediante la dittatura.
Per non riscivolare in nuovi Secoli Bui presieduti da Donald l’Unno e storpiati da varie pesti moderne, deve essere assunto un nuovo impegno a preservare i beni pubblici globali. Per salvare la parte migliore del globalismo abbiamo bisogno di reazioni più forti alle pandemie, alla disuguaglianza economica globale, alle violazioni dei diritti umani. Abbiamo bisogno di più, non di meno, internazionalismo.
Soprattutto abbiamo bisogno di una forte azione concertata a tutto campo sul cambiamento climatico. Trump, nel caso improbabile che diventi presidente, sarebbe il solo leader nazionale a rifiutare il cambiamento climatico. I suoi omologhi in altri paesi – come Pauline Hanson in Australia e Siv Jensen in Norvegia – nutrono un pregiudizio simile. Sarebbe catastrofico se simili populisti prendessero il timone dei loro paesi.
Il mondo semplicemente non può permettersi leader semplicioni e soluzioni semplicistiche. Come ha detto una volta H.L.Mencken: “Per ogni problema complesso c’è una risposta che è chiara, semplice, e sbagliata”.

Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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