di Alberto Negri
Un messaggio politico oltre che militare, questo è il senso dei raid aerei russi sulla Siria in partenza dall’Iran. È la prima volta che la Repubblica islamica concede ufficialmente basi a forze straniere per operazioni di guerra. Un evento epocale per un Paese che da solo ha combattuto il conflitto Iran-Iraq negli anni 80 contro un fronte arabo in cui l’unico alleato di Teheran era la Siria di Hafez Assad. Dalle nostre parti la memoria storica è corta, conviene rinfrescarla.
I caccia russi decollati da Hamadan per colpire non solo l’Isis ma anche al-Nusra, il gruppo jihadista filo al-Qaeda - che gli Usa con sauditi e turchi vorrebbero usare in chiave anti-Teheran - sono il segnale del rafforzamento dell’intesa tra Russia e Iran, consolidata durante gli anni delle sanzioni a Teheran che in questo lungo periodo di isolamento si è rivolta principalmente per le sue forniture strategiche a Pechino e Mosca.
I caccia russi decollati da Hamadan per colpire non solo l’Isis ma anche al-Nusra, il gruppo jihadista filo al-Qaeda - che gli Usa con sauditi e turchi vorrebbero usare in chiave anti-Teheran - sono il segnale del rafforzamento dell’intesa tra Russia e Iran, consolidata durante gli anni delle sanzioni a Teheran che in questo lungo periodo di isolamento si è rivolta principalmente per le sue forniture strategiche a Pechino e Mosca.
I raid sono un segnale politico forte inviato agli americani e all’Occidente: un accordo su Aleppo è possibile ma alle condizioni di Mosca e Teheran, cioè sbarazzarsi dei jihadisti e di un bel pezzo di opposizione anti-Assad. Il Medio Oriente è cambiato e con l’intervento diretto della Russia in Siria ha mutato direzione anche alle soglie della Nato e dell’Europa, come è apparso ancora più evidente dopo il fallito golpe in Turchia. La Russia e l’Iran - alleati non solo di comodo - stanno manovrando sui punti deboli occidentali, Erdogan compreso e lo fanno con le intese diplomatiche e militari: ad Aleppo - come a Mosul e Raqqa - si sta combattendo una fase decisiva della spartizione del Medio Oriente ma anche dei futuri equilibri internazionali. La Siria è una sorta di Jugoslavia araba ma il suo destino, a differenza di quella fondata da Tito, non sarà deciso solo a Ovest.
Per cinque anni l’Occidente con i suoi alleati arabi del Golfo e la Turchia ha continuato a puntare sulla rimozione di Bashar Assad senza riuscirci, utilizzando tutti i mezzi a disposizione, anche i gruppi islamici più radicali che poi sono sfuggiti a ogni controllo con i risultati ferali che sappiamo. Il fronte sunnita intendeva prendersi una rivincita sugli sciiti che dopo la caduta di Saddam avevano preso il potere in Iraq, la Turchia puntava a una clamorosa espansione in Iraq e in Siria, anche i jihadisti servivano allo scopo.
Questo piano è fallito nel momento in cui nel 2013 gli Stati Uniti e la Francia rinunciarono a bombardare Damasco. Fu allora che cominciò l’ascesa del Califfato arrivato all’apice della sua cavalcata a 50 km da Baghdad e alle porte di Damasco. Ma per quanto tempo abbiamo visto sventolare la bandiera nera dell’Isis senza un efficace intervento occidentale? C’è voluto il terrorismo nel cuore dell’Europa per smuovere gli Usa e i loro alleati.
L’alleanza anti-Califfato a guida americana può essere efficace in Iraq in coordinamento con il governo di Baghdad, per altro appoggiato dalle milizie sciite, ma è assai ambigua in Siria perché gli obiettivi dei suoi componenti sono assai diversi. Il turco Erdogan, che voleva essere il portabandiera del fronte sunnita con i finanziamenti ai jihadisti dei sauditi e del Qatar, ora rischia di vedere l’embrione di uno stato curdo ai suoi confini al punto che si è rivolto a Putin e ha già chiesto ai curdi siriani di ritirarsi dalla roccaforte di Manjib appena conquistata. Persino la Germania di fronte a questi naufragi e alle tensioni con Ankara prende coraggio e accusa la Turchia di essere un “hub” dei jihadisti. Ma nessuno se ne era accorto prima?
Il Califfato adesso è in arretramento ma a combatterlo non sono state le forze sunnite e neppure un Occidente esitante e avviluppato nelle sue contraddizioni bensì i curdi, gli sciiti, gli alauiti e infine la stessa Russia per difendere lo storico alleato di Damasco, espressione di un regime brutale. Ma questi sono conti che si pagano, e il conto è arrivato.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore
Fonte: pagina Facebook dell'Autore
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