La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 24 settembre 2016

Al referendum costituzionale votiamo NO

di Maria Mantello 
È la struttura del potere e i limiti agli accentramenti di potere che garantiscono dagli abusi di potere. La revisione costituzionale attuale, al contrario, accentra il potere verso l'alto: dal Parlamento al Governo; dal Consiglio dei ministri al capo del Governo; dalle Autonomie territoriali allo Stato; dal Popolo sovrano ad una consorteria di “eletti”. Questa deformazione costituzionale, in combinato con l’Italicum che riduce il voto a ratifica di quanto deciso nel Palazzo, va verso il compimento del quel reazionario disegno politico del “premierato assoluto”.
Andiamo a questo referendum sulla “riforma” costituzionale perché il governo non è riuscito a blindare questa sua revisione nonostante la ricorsa a raccogliticce maggioranze.
È mancato infatti quel quorum di due terzi dei voti parlamentari richiesti in ciascuna Camera in seconda votazione. In assenza di questa maggioranza solida, la Costituzione vigente garantisce il diritto di opposizione del popolo sovrano con una consultazione referendaria.
Referendum oppositivo quindi nello spirito costituzionale, quello a cui siamo chiamati. E non “confermativo” come viene strumentalmente chiamato per indurre una sorta di passiva adesione ad una legge costituzionale che con l’Italicum trasforma la nostra repubblica democratica in repubblica del premier.
Una metabolizzazione coltivata da tempo accampando “governabilità” ed ”efficienza”.
Queste le due parole chiave che da oltre trent’anni ci siamo sentite ripetere in successioni governative.
Cambi di faccia, stesso mantra:dal craxiano “decisionismo” contro “lacci e laccioli”, traslato nella “devolution” berlusconiana... fino alla bulimia deformista renziana, di cui l’italicum è l’intarsio, e l’esecuzione della Costituzione il sigillo.
Non si tratta di essere apocalittici, ma questa controriforma della Costituzione, che ne cambia 47 articoli su 139, sembra proprio la ratifica della crisi della democrazia parlamentare che, nella crescente consegna al Governo del potere legislativo tra leggi delega, urgenze e decreti attuativi, adesso ne asseconda il definitivo passaggio al premierato assoluto.
Una strana Repubblica si prospetta, dove la divisione dei poteri viene meno. E dove, nel paradosso della fine del bicameralismo, fa la comparsa un anomalo Senato di consiglieri regionali che si eleggono tra loro.
Senatori la cui forza politica è legata ai territori che continuano a governare, mentre nel Parlamento “riformato” contribuiscono a leggi nazionali di grande importanza: da quelle degli accordi europei a quelle costituzionali... . Senatori che per giunta sulla Costituzione “riformata” mantengono un potere di vigilanza eleggendo membri della Corte Costituzionale.
Una deformazione della Costituzione che più la rigiri e più sobbalzi.
Una deriva antidemocratica analoga a quella berlusconiana, che bocciata sotto la grandinata di No al referendum del 2006, adesso qualcuno che andò fino ad Arcore (forse) a prender consiglio, sembrerebbe aver ripescato.
Su questa rivista abbiamo seguito con attenzione l’attuale “riforma” della Costituzione. Abbiamo pubblicato appelli e articoli di intellettuali, giuristi, costituzionalisti che hanno abbondantemente individuato e argomentato le ragioni del No. Abbiamo sottolineato il pericolo di riflusso in una condizione antecedente al “patto costituzionale”.
Quel patto costituzionale che ha realizzato il superamento dell’assolutismo e della concezione patriarcale che vuole sudditi e non cittadini.
Adesso che l’appuntamento referendario si avvicina, ci deve essere chiaro che a questo referendum si gioca la partita fondamentale contro il disegno politico reazionario di ritorno all’uomo solo al comando. Un progetto in cui i cittadini si troveranno in una condizione di strutturale vassallaggio. Ostaggio del ricatto di capi e capetti: valvassori e valvassini di un premier incoronato principe.
Altro che rimozione degli ostacoli verso la piena cittadinanza sanciti da quel formidabile art. 3 della Costituzione nata dalla Resistenza. Ma la prima parte della Costituzione non l’abbiamo toccata! - ci ripetono cotanti riformatori. Non è stato necessario infatti - rispondiamo. Visto che la si è svuotata in una verticalizzazione del potere che non garantisce limiti agli accentramenti di potere.
Votare No, allora significa salvaguardare l’appartenenza nella cittadinanza democratica che è il valore fondante della Costituzione repubblicana.
Dire No in questo referendum, significa poter dire sì ogni giorno al diritto alle garanzie di laicità, libertà, giustizia, uguaglianza nelle pari opportunità.
In una parola affermare il diritto alla pratica quotidiana della democrazia applicata, che enunciata nei principi fondamentali (prima parte della Costituzione), trova nelle strutture, istituzioni e organi dello Stato applicazione e garanzie contro accentramenti e abusi di chi, lanciato verso un potere assoluto, vuole fare della Costituzione la sua docile serva.

Articolo pubblicato su Libero Pensiero, n° 77 sett. 2016
Fonte: Micromega online - blog dell'Autrice

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