La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 22 settembre 2016

Pratiche sindacali e di autorganizzazione contro la precarietà a tempo indeterminato

di Communianet
L’approvazione del Jobs Act, si inserisce processo di controriforme portato avanti dalle organizzazioni padronali e governi con la complicità-ingenuità delle organizzazioni sindacali da 30 anni a questa parte. Un processo che tende a restringere la sfera della democrazia e dei diritti, a partire da quelli sul lavoro. Dinnanzi a questo processo di erosione delle garanzie sindacali e di peggioramento delle condizioni di lavoro, le organizzazioni del sindacato conflittuale e di base e le strutture di movimento, pagano una difficoltà di reazione nei confronti della offensiva padronale, che solo in alcuni episodi avvenuti negli ultimi anni, è stata in grado di produrre iniziative di lotta che –seppur in modo embrionale – hanno mostrato modelli organizzativi e di conflitto alla altezza dell’attacco portato da Confindustia, governo col benestare delle istituzioni europee.
Da questo punto di vista è utile citare i momenti più alti delle lotte sindacali avvenute dentro il settore della logistica, le lotte dei braccianti contro il caporalato, e la giornata dello sciopero sociale del 14 novembre 2014.
Questi momenti di lotta sono stati in grado di mettere in campo dei dispositivi organizzativi di lotta e , nel tentativo di sperimentare una pratiche di sindacalismo sociale in grado di “organizzare l’inorganizzabile” e di superare gli steccati che da anni dividono e mettono in competizione le organizzazioni sindacali conflittuali e di base.
Tale processo ha subito una grossa battuta d’arresto, tutt’ora in corso, ma che non ci esime nell’interrogarci su quali dispositivi organizzativi e su quali parole d’ordine è possibile oggi costruire lotte dentro e fuori i posti di lavoro, in grado di rispondere all’offensiva padronale e in grado di ricomporre una classe lavoratrice frammentata, individualizzata e che fatica a riconoscersi come soggetto in lotta.
Questa discussione assume una ulteriore valenza e urgenza per altri due motivi:
1) i recenti dati sul lavoro che dimostrano i veri “effetti del Jobs Act” ben lungi da assicurare stabilità lavorativa e maggiori diritti: nel 2016 le trasformazioni dei contratti a termine in contratti a tutele crescente subisce, rispetto al 2015, un saldo negativo del 37%, l’accensione dei contratti a termine subiscono –sempre rispetto al 2015 – un aumento del 24%, e infine la piaga dei vaucher ci consegna un aumento del loro utilizzo pari al 145% rispetto al 2015.
Insomma, zero diritti, ricattabilità, sfruttamento, salari al ribasso e disoccupazione, morti durante lotte sul posto di lavoro, come ricetta del ministro Poletti e del premier Renzi, per uscire dalla crisi.
2) La strategia deve essere transnazionale, perché transnazionale è l’attacco ai diritti. Dopo decenni di dislocazione della produzione verso paesi convenienti sia in termini fiscali che per le possibilità di sfruttamento della forza lavoro meno tutelata di quella europea, l’entrata in vigore del modello Hartz in Germania e la lotta francese contro la legge El Khomri, ci indicano come la distruzione dei diritti dei lavoratori risponde ad una strategia transnazionale, che non può essere quindi affrontata rinchiudendosi in una lotta chiusa dentro i confini nazionali.
Di fronte a questo quadro, come rete nazionale, abbiamo provato negli ultimi anni a trovare una strategia di organizzazione e di sostegno alle lotte, in grado di individuare degli esperimenti esemplari in grado di produrre avanzamenti rispetto al patrimonio di ragionamento e di sperimentazione che abbiamo accumulato nel biennio 2014-2016.
Obiettivo di questo ws è in primo luogo quello di definire una questione di metodo in grado di omogeneizzare il lavoro politico della nostra rete nazionale, a prescindere dallo specifico settore del lavoro che si intende organizzare: pensiamo che si debba ripartire dal sostegno all’autorganizzazione - e quindi a partire da una puntuale definizione di questa parola/pratica - dei lavoratori e lavoratrici come modello efficace per la costruzione e moltiplicazione del conflitto e non per la costruzione di “comunità”.
In secondo luogo ci interessa capire – attraverso una mappatura delle lotte che sosteniamo nei vari nodi – quali strumenti possano risultare efficaci per definire un “rapporto di servizio virtuoso” tra “noi” e i soggetti in lotta, in grado di costruire esperienze di lotta, di solidarietà e di potere.
Infine come questo piano di pratica e sperimentazione si lega arivendicazioni in grado di unificare settori del lavoro e non lavoro estremamente frammentati e differenti e come attraversare le scadenze di lotta che ci saranno nell’autunno.

Fonte: Communianet.org 

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