di Dante Barontini
Le vicende romane, al di là del dato specifico della Giunta Raggi, pongono una questione più generale che sta venendo in primo piano: è possibile un'amministrazione della cosa pubblica che non risponda agli interessi dei gruppi imprenditoriali e di potere consolidati? È una domanda che investe tutta la sfera della politica, perché – in fondo – anche il governo nazionale è ormai un “ente locale” nella gerarchia dei poteri amministrativi concentrati nell'Unione Europea. Lo è a partire dalla “cessione di sovranità” per cui la più importante legge dello Stato – la legge finanziaria, ora chiamata “legge di stabilità” – è sub judice della Commissione Europea (il “governo” dell'area).
Controllo rafforzato dall'obbligo al pareggio di bilancio, inserito addirittura nella Costituzione (abolirlo sarebbe una delle tante “riforme costituzionali” che voteremmo volentieri), dai trattati relativi a tutte le questioni economiche (Fiscal Compact, Six Pack, Two Pack, ecc), fino al progetto di “esercito europeo con chi ci sta” avanzata nei giorni scorsi dal governo italiano insieme a Francia e Germania.
Controllo rafforzato dall'obbligo al pareggio di bilancio, inserito addirittura nella Costituzione (abolirlo sarebbe una delle tante “riforme costituzionali” che voteremmo volentieri), dai trattati relativi a tutte le questioni economiche (Fiscal Compact, Six Pack, Two Pack, ecc), fino al progetto di “esercito europeo con chi ci sta” avanzata nei giorni scorsi dal governo italiano insieme a Francia e Germania.
Esiste insomma una cornice ferrea – una gabbia, più precisamente – che va da Bruxelles fino all'ultimo comune di montagna, per cui ogni decisione gestionale deve avvenire all'interno del cosiddetto “patto di stabilità”.
Qualcuno dirà: “sì, va bene, ma qui c'è anche tanta corruzione…” Certo. Da un lato la stretta dell'austerità riduce i margini di manovra e di spesa, quindi anche le risorse pubbliche “conquistabili” dalla corruzione; dall'altra le vecchie consorterie di potere aumentano la competizione per accaparrarsi quel poco di grasso pubblico che ancora resta.
La situazione è insomma apparentemente senza via d'uscita. I grandi gruppi multinazionali e finanziari determinano le grandi scelte della politica globale, magari anche in competizione tra loro. I gruppi di potere meno potenti rovistano nei sottoscala, nella gestione degli appalti, delle “grandi opere” o delle concessioni su reti costruite dal pubblico, delle “occasioni di crescita” fornite da qualche grande evento (Olimpiadi, Expo, ecc).
Ciò che rimane assolutamente fuori dalla possibilità di farsi valere sono gli interessi della stragrande maggioranza della popolazione, che di questo s'è accorta ormai da tempo. La fuga dalla partecipazione politica e dalle urne ne è una testimonianza, così come l'investimento su qualsiasi raggruppamento “nuovo” prometta di cambiare radicalmente le cose. Il fenomeno chiamato impropriamente “populismo” investe ormai tutto il pianeta (Trump è solo l'ultimo esempio) e segnala il distacco progressivo tra establishment capitalistico e popolazioni, tra business e consenso politico. Un voto da “ultima spiaggia”, per la democrazia parlamentare occidentale, oltre cui nessuno osa guardare e che motiva ovunque scelte istituzionali verticistiche, elitarie, oligarchiche, in modo più o meno esplicito. Avete già dimenticato quanti liberal, dopo il voto sulla Brexit, hanno chiesto di restringere il diritto di voto solo a quelli “che ne capiscono”?
I Cinque Stelle, in Italia, sono i beneficiati temporanei di questa radicalità senza progetto di cambiamento sociale, di questo “populismo” più o meno benintenzionato secondo cui basterebbe gestire “onestamente” la macchina amministrativa e il business perché tutti ne traggano un grande beneficio. Sul piano culturale è un'idea alquanto vecchiotta – il capitalismo darebbe il benessere a tutti, se non intervenissero “i ladri” – ma che sta vivendo una nuova giovinezza dopo l'eclissamento dell’opzione comunista. E’ una idea che seleziona un “quadro militante” piuttosto eterogeneo, con competenze specifiche magari anche alte (informatici, ingegneri, avvocati, tecnici ambientali ecc), ma senza molte cognizioni sul funzionamento vero della società attuale.
Ovviamente, alla prova dell'amministrazione concreta di grandi città questa nuova “classe dirigente” arriva come un bambino al primo giorno di scuola, spesso accompagnata da marpionissimi “amici” espressione di lobby storiche (il caso di Raffaele Marra, ex braccio destro di Alemanno o dei dirigenti ereditati dal Commissario Tronca sono solo i più evidenti), inviati a conservare il massimo di potere possibile o a far deragliare il trenino del “rinnovamento”.
Tutto molto prevedibile e previsto, fin da quando immaginavamo la reazione feroce del potere vero a questo “intralcio”. Reazioni “cilene”, senza peraltro avere davanti qualcosa di nemmeno lontanamente paragonabile a Salvador Allende. Per ora abbiamo visto all'opera solo la scimmiottatura delle inchieste giudiziarie all'incontrario, con mail e telefonate (anche di parlamentari) allegramente passate da uffici tribunalizi e questura sui tavoli dei media controllati dai boss del business capitolino e governativo. Non ci stupiremmo di vedere presto anche qualcosa di equivalente ai camionisti cileni, ovvero corporazioni reazionarie in grado di paralizzare o riempire di rifiuti la città.
Fantascienza? Ricordiamo che nella civilissima Gran Bretagna è stata sacrificata – inutilmente, peraltro – addirittura una deputata laburista pur di sbarrare il passo alla Brexit. La rapidità con cui il fatto è stato cancellato dalle cronache, anche britanniche, ricorda molto da vicino i comportamenti del potere italico ai tempi della “strategia della tensione”.
Altro potrà avvenire e avverrà pur di eliminare quanto di “incontrollabile” ci può essere in un'amministrazione grillina. Che questo avvenga facendo fallire completamente una giunta (non solo a Roma, ovviamente), oppure “epurando i puristi” e facendola così rientrare nella “normalità” del business as usual, non possiamo ovviamente dire. I Cinque Stelle sono comunque una ancora troppo flebile perturbazione negli equilibri di potere, una finestra di incertezza attorno a cui si affannano i conservatori, per richiuderla.
Quello che possiamo dire con certezza, invece, è che questa finestra di incertezza va spalancata facendo scendere in campo una soggettività radicale e un protagonismo di massa all'altezza della sfida. Questo autunno diventa così uno spartiacque per il prossimo futuro. Bloccare la spinta reazionaria di Renzi e della Ue, bocciando con il NO al referendum la controriforma costituzionale, è ampiamente nelle possibilità. Si tratta di mobilitare al massimo tutte le forze antagoniste e democratiche, sapendo che la “macchina del fango” del potere si attiverà anche contro questo schieramento.
Si tratta di unificare tutte le resistenze e i malesseri sociali innescati da una serie ormai lunghissima di stravolgimenti della “costituzione materiale” di questo paese. Jobs Act, pensioni, sanità, scuola, casa, ammortizzatori sociali, avventure militari, sono temi decisamente più importanti – a livello popolare – che non la discussione sul Senato.
Fonte: contropiano.org
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