La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 17 dicembre 2016

Dei due pesi e due misure

di Fabio Alberti
Mentre le immagini della tragedia della popolazione di Aleppo, massacrata tra il fuoco jiadista e sirorusso, campeggiano da giorni sulle pagine di tutti i giornali e il Consiglio di Sicurezza viene convocato, in una guerra dimenticata, in un dimenticato paese, la popolazione civile, le scuole, gli ospedali, i mercati vengono quotidianamente bombardati dall’esercito di un paese a guida fondamentalista, con l’appoggio dell’intelligence statunitense e ordigni made in Italy. Senza che nessuno se ne curi.
È la politica dei “due pesi e due misure” a cui il colonialismo nostrano ci ha abituato da sempre, tanto che non ci facciamo neppure quasi più caso. Ci sono dittatori buoni, come fu Saddam Hussein fino al 1991, quando combatteva Komeini, e Hafiz al-Assad dopo quella data, quando combatteva Saddam e dittatori cattivi, come Saddam dopo il 1991 e Bashir al-Assad dopo il 2011. Ci sono rivolte di popolo buone, come quella tunisina e rivolte ignorate, come quella del Barhein. Ci sono repressioni da ignorare, come quella di Gezi Park, e repressioni cattive.
Due pesi e due misure che portarono il governo degli Stati Uniti ad appoggiare Pol Pot in Cambogia mentre combatteva Kim Il-sung in Corea del Nord, ad appoggiare la secessione del Kosovo e a contrastare quella della Crimea. Non c’è bisogno di continuare, gli esempi sono innumerevoli.
Due pesi e due misure che abbiamo denunciato per anni, per decenni, ricavandone l’insegnamento che le potenze militari agiscono sempre e solo per i propri interessi, o meglio per gli interessi delle proprie classi dominanti e del proprio apparato economico, e che le cause umanitarie, democratiche, antiterroristiche, dei diritti umani, che vengono sventolate di volta in volta a giustificazione della guerra sono sempre e solo tali: coperture ideologiche.
Ma oggi assistiamo purtroppo anche al rovesciamento di questa che sembrava essere una acquisizione, direi quasi teorica, dei movimenti contro la guerra.
Faccio alcune domande agli amici e ai compagni con cui ho condiviso tante battaglie per la pace e che ora inneggiano alla presa di Aleppo da parte del “governo legittimo”: perché se un capo di stato incarcera i giornalisti, mette fuori legge le opposizioni, reprime con l’esercito rivolte di popolo in Turchia è un dittatore, ma se fa le stesse cose in Siria è un “governo legittimo”? Perché i bombardamenti sulla popolazione civile sono crimini a Falluja e non lo sono ad Aleppo?
Perché se un paese fa una guerra per assicurare un corridoio energetico alle proprie multinazionali petrolifere in AfgHanistan è imperialista, ma se lo fa in Siria è antimperialista? Perché se un paese istalla le propri basi militari nelle Flippine è imperialista, ma se lo fa in Siria no?
Perché se una popolazione si rivolta contro un governo amico dell’occidente è rivoluzione, ma se lo fa contro un governo alleato con la Russia no?
Mi si dirà che sono domande un po’ naif, che la situazione è più complessa, che c’è chi ha cominciato e chi ha reagito, ecc. Conosco benissimo la situazione e la sua complessità, so fare le distinzioni, capire i processi e dare una lettura geopolitica della situazione, ma in questa complessità c’è, mi sembra, un semplice verità che per i pacifisti dovrebbe essere lapalissiana. È in corso una guerra cruenta per il potere tra potenze regionali e internazionali, ognuna per i suoi interessi, o meglio per gli interessi delle proprie multinazionali, e non c’è nessun motivo per cui si debba parteggiare per l’una o per l’altra. Non esiste il pacifismo “due pesi e due misure”.

Fonte: comune-info.net 

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