La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 10 dicembre 2016

In risposta a Michele Serra: ecco perché sbaglia nel biasimare la sinistra del no

di Loris Campetti
Caro Michele Serra, ho letto con attenzione e interesse – come sono abituato a fare con i tuoi scritti – l’articolo pubblicato come editoriale sulla prima di Repubblica di venerdì titolato “Quella sinistra del no, no, no” che mi ha rimandato a una vecchia e anche un po’ scema canzone che impazzava quando eravamo piccoli: “È una bambolina / che fa no, no, no, no, no”. Nell’ultima strofa del testo quella bambolina cantata da Michel Polnareff finiva, neanche a dirlo, per dire Sì. Purtroppo, dopo aver letto il tuo editoriale non sono arrivato alla stessa conclusione della bambolina.
E ti spiego, in poche parole, cosa non mi convince del tuo ragionamento che motiva con serietà le critiche di una parte della sinistra alla proposta di Giuliano Pisapia – altra persona che apprezzo da decenni – di mettere insieme un’alleanza di sinistra capace di dialogare con il Pd e, una volta scoloriti i Verdini e gli Alfano, farci un governo insieme.
Accusi chi non è d’accordo con l’ex sindaco di Milano di essere ancora legato alla sterile posizione del “meglio soli che male accompagnati”. Consigli chi non ha lo stomaco per fare quelle mediazioni che sono l’essenza della politica di dedicare impegno e passione a miglior causa: volontariato, attività sociali, “filantropia eccetera. Si cambiano le cose anche così. Lo fanno, con risultati spesso ammirevoli, anche ragazzi semplici e vecchie contesse, casalinghe non disperate e pensionati ancora vigorosissimi”. Sapesse contessa… Un modo civile e canzonatorio per non dire brutalmente “datevi all’ippica e lasciate le cose serie (la Politica) a chi se ne intende”. Insomma, quel “mai con Renzi” ti dà veramente fastidio perché non terrebbe conto della politica data (certo, da cambiare con l’irruzione delle gioiose armate della sinistra nella crisi del Pd) e dei rapporti di forza.
Caro Michele, scusandomi per la sommarietà di questa sintesi del tuo articolo, vorrei dirti che non mi hai convinto, e certo non perché hai votato Sì al referendum, ma per il merito del tuo ragionamento che trovo esageratamente politicista. Renzi non nasce sotto un cavolo, è figlio della crisi politica, culturale e valoriale del Pd e più in generale del centrosinistra. Il “sindaco d’Italia” è la persona che meglio ha interpretato e accelerato il mutamento antropologico del suo partito, lo stesso di gran parte delle forze democratiche e socialdemocratiche in giro per l’Europa.
I risultati del referendum sulla Costituzione, così come quelli delle ultime elezioni mostrano il rovesciamento di interlocutori del Pd che grazie alle sue politiche ha perso ogni rapporto con i ceti più colpiti dalla crisi per arroccarsi nei quartieri alti. A dire no alle riforme renziane, prima e più della sinistra “dura e pura” sono studenti, disoccupati, precari, insegnanti, lavoratori; e ancora, cittadini di un Sud disperato e delle periferie abbandonate a se stesse e spinte alla guerra tra poveri da una destra razzista, egoista, fascista.
Il problema non è l’antipatia e l’arroganza di Renzi ma il liberismo e i guasti che sta producendo, guasti sociali e guasti politici che spingono a unificare nella critica di massa destre e sinistre, vissute comunque come ceto, casta. Non credi, caro Michele, che questo sia il miglior mangime per Grillo? Il job act ha aumentato a dismisura precariato, povertà e diseguaglianze, la “buona scuola” ha fatto il resto. Un fotomontaggio significativo quanto impressionante circolato durante la campagna elettorale contrapponeva un ieri (Enrico Berlinguer tra due operai della Fiat) a un oggi (Matteo Renzi tra Marchionne e John Elkann). Si aboliscono le Provincie elettive ma non i prefetti nominati, si pretende di abolire non il Senato ma il voto democratico dei cittadini, si lavora per acuire il fossato che separa la politica dalla popolazione e si trasformano le istituzioni (e i beni comuni) in pure e semplici aziende da far gestire ai manager, in chiave di consigli d’amministrazione.
Il problema, mi ripeto, non è tanto Renzi quanto le politiche liberiste e la spinta a un assetto dello stato autoritario, post democratico. C’è un paese reale che dice no, è un paese che non ha più una rappresentanza politica. E c’è una élite politica che si pone la stessa domanda di tanti statunitensi dopo le Twin Towers: “Perché ci odiano così tanto?”. Renzi non se l’aspettava, il Pd non se l’aspettava, perché non conoscono più il paese che pretendono di guidare. Perché se in una votazione regionale nella rossa Emilia va a votare il 37% degli elettori non si interrogano, anzi dicono: “Conta chi vota, conta il risultato, dunque abbiamo vinto”.
So che la bambolina che fa no, no, no non ha un progetto alternativo forte e credibile a quello liberista. È un problema, ma non è di questo che ora stiamo parlando. Ma credo sia sbagliato pensare che Renzi sia il male minore. C’è un tempo per tutte le cose, come insegnano le Ecclesiaste; c’è un tempo per governo e un tempo per l’opposizione. La sinistra ha perso una battaglia importante, ma fare intelligenza con chi l’ha sconfitta le farebbe perdere la guerra, cioè il rapporto con la realtà che si vuole cambiare.
Ps. Caro Michele, non sono un nostalgico del Pci, dal quale quasi mezzo secolo fa il gruppo dirigente decise di radiarmi, essendomi “oggettivamente messo fuori”. La lettura critica del passato è fondamentale, soprattutto per capire il presente e cercare di costruire un futuro che per mia figlia non sia peggiore del mio passato.

Fonte: Il manifesto Bologna 

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