La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 1 febbraio 2017

In difesa del razionalismo critico

di Pierfranco Pellizzetti
Scriveva l’uno: «Soltanto grazie al matrimonio col mondo i nostri ideali possono dar frutti: distaccati dal mondo, restano sterili. Ma il matrimonio col mondo non può essere celebrato mediante un ideale che prescinda dai fatti o pretenda in anticipo che il mondo si conformi ai suoi desideri»[3] (Russell, 1917). Gli fece eco l’altro: «i profeti che preannunciano l’avvento del millennio possono dare espressione a sentimenti profondamente radicati di insoddisfazione. […] La loro affermazione che la democrazia non è destinata a durare per sempre equivale, in realtà, all’affermazione che la ragione umana non è destinata a durare per sempre, perché solo la democrazia fornisce una struttura istituzionale che permette non solo l’attuazione di riforme senza violenza, ma anche l’uso della ragione in campo politico»[4] (Popper, 1943). 
Tra la prima affermazione e la seconda corre lo iato di un quarto di secolo, in cui si sono succedute le tragedie degli anni di sangue e di fuoco del secondo conflitto mondiale; la catastrofe politica e morale rappresentata dal Totalitarismo; la diffusione barbaricamente antiumanistica e apparentemente inesorabile dell’irrazionalismo, che indurrà il filosofo ungherese György Lukács a stilare contro il secolo la sentenza senza appello dell’avvenuta “distruzione della ragione”. 
Terribile sequenza, che agli occhi di entrambi i nostri autori appare “una rivolta contro la civiltà”; tanto al bizzoso epistemologo viennese come all’ironico e distaccato membro del londinese Circolo di Bloomsbury. Propugnatori entrambi di una nozione di razionalità fondata sulla premessa che il primo bisogno dell’essere razionale è quello di interpretare il mondo come una realtà intellegibile. 
A fronte di tale esigenza il pensiero filosofico, quale presupposto di conoscenza nella fuoriuscita dalla dimensione magico-religiosa, già al suo primo apparire subisce la piegatura contraria dello scivolamento nella metafisica; ossia il tentativo illusorio di concepire quello stesso mondo come un tutto per mezzo del pensiero. La contemplazione dell’eternità sovrasensibile. Da qui l’incontro conflittuale tra due impulsi radicalmente diversi: l’uno che spinge verso il misticismo e l’altro verso la scienza. Sicché il tentativo di armonizzare le due filiere intellettuali indurrà taluni a considerare la filosofia qualcosa di superiore tanto alla scienza come alla religione, incontrando nel crocevia cruciale la presenza dominante del pensiero antico; con cui tanto Russell che Popper dovranno presto fare i conti: Platone, in cui l’impulso mistico è decisamente più forte di quello scientifico/razionale. La cui impronta segnerà – comunque – larga parte del pensiero occidentale, nel suo costante quanto faticoso tentativo di fuoriuscire dal vincolo ontologico: l’astrattezza depistante della presunzione di un “essere in quanto essere”, depurato da qualsivoglia base empirica (dio? La dialettica? L’intuizione?). L’atto di fede – appunto mistico – in una verità come autorivelazione dell’Ente. 
Una battaglia intellettuale combattuta con particolare puntigliosità dal filosofo della scienza austriaco, tanto da venire perfino accusato negli anni della maturità di fondamentalismo epistemologico (si narra che i suoi allievi Paul Feyerabend e Imre Lakatos lo avessero irrispettosamente soprannominato “Al Poppuni”). In effetti Popper, partendo dalla logica “fallibilistica” della scoperta scientifica fondata sul meccanismo congetture/confutazioni (una proposizione scientifica è “vera” in quanto sopravvissuta ai tentativi di falsificarla, smentirla), elabora un paradigma concettuale quale spartiacque tra scienza e non-scienza, che fornisce gli strumenti intellettuali per la rifondazione epistemologica della stessa democrazia. Il cosiddetto “razionalismo critico”, il cui statuto specifico sarà difeso con le unghie e coi denti (e una certa dose di burbanzosità) dal fondatore anche nei confronti del francofortese Theodor Adorno, che sussiegosamente intendeva ridimensionarlo a “pragmatismo”. Ci si riferisce al celebre convegno della Società tedesca di sociologia sui fondamenti epistemologici della disciplina, tenuto nell’ottobre 1961 a Tübingen[5]. Dunque, con relazioni introduttive di Adorno e Popper. Scelta gravida di tensioni, visto l’insanabile dissidio tra un dialettico sempre a rischio di caduta nella metafisica a giudizio di un razionalista propugnatore del principio che l’oggettività sta nella critica. Anche a differenza di quanto propugna lo scientismo ingenuo (positivismo) che Popper aborriva; compresa quella sua forma più raffinata che fu il neopositivismo della verificazione come principio di significanza. Non a caso Otto Neurath definì il fallibilista Popper «l’oppositore ufficiale del circolo di Vienna» neopositivista[6]
Ma mentre si faceva a cazzotti tra filosofi e sociologi di lingua tedesca, Russell non era da meno in quanto a fermezza nel difendere, magari con l’arma dell’ironia, quanto definiva “la saggezza dell’occidente”; la ragione liberata (già dagli idola tribus stigmatizzati da Francesco Bacone) e orientata alla tolleranza. Come ebbe a esemplificare in un articolo del 1952, intitolato “esiste dio?”: «se io sostenessi che tra la Terra e Marte ci fosse una teiera di porcellana in rivoluzione attorno al Sole su un’orbita ellittica, nessuno potrebbe contraddire la mia ipotesi purché io avessi la cura di aggiungere che la teiera è troppo piccola per essere rilevata persino dal più potente dei nostri telescopi. Ma se io dicessi che, giacché la mia asserzione non può essere smentita, dubitarne sarebbe un’intollerabile presunzione da parte della ragione umana, si penserebbe giustamente che sto dicendo fesserie. Se però l’esistenza di una tale teiera venisse affermata in libri antichi, insegnata ogni domenica come la sacra verità e instillata nella mente dei bambini a scuola, l’esitazione nel credere alla sua esistenza diverrebbe un segno di eccentricità e porterebbe il dubbioso all’attenzione dello psichiatra in età illuminata o dell’Inquisitore in un tempo antecedente».
Le nuove minacce 
Quasi un secolo e oltre mezzo abbondante sono trascorsi da queste due antiche lezioni, che propugnano la visione critica del mondo e l’aspirazione a una conoscenza libera e laica. Nel frattempo Russell è rimasto una presenza di nicchia nel panorama culturale italiano; Popper, dopo una stagione di grande popolarità (tra convegni e citazioni), è scivolato gradatamente nel dimenticatoio. Ed è un vero peccato, considerato l’avanzare di rinnovate minacce oscurantiste, come obnubilamento mistico, il cui contenimento richiederebbe la riappropriazione consapevole di un uso pubblico della ragione; favorita dalla lettura delle migliori testimonianze culturali al riguardo. Anticorpi critici all’indottrinamento del pensiero collettivo. 
Infatti l’eterno presente post-moderno propaganda – sull’asse in scorrimento da Georg Wilhelm Friedrich Hegel a Francis Fukuyama – la religione secolarizzata che ha nella “fine della storia” il proprio primo articolo di fede[7]. Una credenza apodittica alimentata da demenzialità tipo “migliore dei mondi possibili” e “one best way”; che ripropongono, a uso propagandistico dell’ordine finanziarizzato, l’antica bestia nera di Popper: lo “storicismo”, quale giustificazione ideologica dell’esistente come fine ultimo («la dottrina secondo la quale la storia è controllata da specifiche leggi storiche o evolutive la cui scoperta può metterci in condizione di profetizzare il destino dell’uomo»). L’attuale fase capitalistica trasformata in una sorta di teodicea, con il binomio banca/borsa al posto della divinità. 
el frattempo cresce e si potenzia l’estrema forma di misticismo rappresentata da un pensiero economicistico virato a profetismo, al servizio del dominio plutocratico in via di instaurazione. Una fede desacralizzata che coltiva l’assiomatica dell’interesse individuale e adora il privilegio, producendo effetti ipnotici sulle masse molecolarizzate; ridotte alla condizione di solitudini individuali disperse tra la folla. 
La tranciatura di secolari leganti di solidarietà per meglio procedere alla nuova distruzione della ragione. 
llo stesso tempo la società va chiudendosi pericolosamente, sicché diventa sempre più importante recuperare parole testimoniali in grado di scrollarci dal torpore e contrapporre al nulla avanzante dell’egoismo idee più alte e civili di umanità. Grazie alle quali il presunto paradiso di un tempo immobile, l’ipotetica protezione promessa dalla società chiusa appaiano per quello che realmente sono: solo regressioni tribalistiche, che ci riportano – con le parole di Popper - «all’inquisizione, alla polizia segreta, al gangsterismo romanticizzato. Cominciando con la soppressione della ragione e della verità, dobbiamo finire con la più brutale e violenta distruzione di tutto ciò che è umano»[8]. Una scelta prima di tutto morale, esistenziale. 
Come illustra eloquentemente Russell: «difendere, imperterrito dinanzi all’imperio del caso, una mente libera dalla tirannide arbitraria che dirige la sua vita esteriore; e sfidando orgogliosamente le forze irresistibili che tollerano, per un breve momento, la sua conoscenza e la sua condanna, reggere da solo, stanco ma ostinato Atlante, il mondo che i suoi ideali hanno edificato, a dispetto del cieco avanzare di una potenza inconsapevole»[9]

NOTE

[1] F. Savater, Apostati ragionevoli, il Mulino, Bologna 1995 pag. 219 

[2] R. Dahrendorf, 1989. Riflessioni sulla rivoluzione in Europa, Laterza, Roma/Bari 1990 pag. 24 

[3] B. Russell, Misticismo e Logica, cit. pag. 8 

[4] K. R. Popper, La società aperta, cit. pag. 19 

[5] Aa. Vv., Dialettica e positivismo in sociologia, Einaudi, Torino 1969 

[6] H. Albert, In difesa del razionalismo critico, Armando, Roma 1975 pag.6 

[7] K. Löwith, Significato e fine della storia, il Saggiatore, Milano 2015 pag. 73 

[8] K. R. Popper, La società aperta, cit. pag. 279 

[9] B. Russell, Misticismo e Logica, cit. pag. 55

Fonte: MicroMega online 

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