La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 1 febbraio 2017

La volontà nichilistica di distruzione di Renzi

di Michele Prospero 
Per avere cognizione della consistenza ideale e del senso dello Stato della classe politica di oggi, è utile riflettere su quanto riporta l’Huffington Post. “Stiamo stappando lo spumante, esulta una fonte renzianissima un minuto dopo la decisione della Consulta sui ricorsi dell’Italicum”. Lo spumante? Questa euforia è davvero surreale per chi aveva visto bocciare il ballottaggio di partito che aveva imposto manu militari. E’ un sinistro annuncio di disastro incombente.
Che dopo il plebiscito del 4 dicembre, che ha ordinato il forzoso cambio di governo, e che dopo la dichiarazione ufficiale per cui la legge elettorale imposta con tre voti di fiducia presenta profili di incostituzionalità, qualcuno del Pd avverta la possibilità di brindare è solo indice di una volontà nichilistica di distruzione che preannuncia ulteriori guai.
Delle leggi renzianissime, imposte con l’arroganza del canguro, non è rimasto più nulla. Le grandi riforme del senato, attese da 70 anni secondo la narrazione narcotizzante di governo, sono state bocciate dal popolo con una maggioranza senza appello. Le norme sulle banche, sulla pubblica amministrazione, sono state cassate dagli organismi di garanzia. E ora la scure si abbatte, come prevedibile, sull’Italicum, la legge elettorale che tutto il mondo avrebbe copiato in omaggio dell’ingegneria costituzionale comparata partorita nei laboratori tra Rignano e Laterina.
Tutto il triennio del potere renziano è condannato all’oblio, accantonato come l’inutile tempo delle decisioni sbagliate, e progettate al di fuori della cornice costituzionale. Un decisionismo pasticcione ha finito per sottrarre alla necessaria sovranità della politica persino la regola del gioco cruciale: la legge elettorale. Oltre alla buona scuola, e al decreto che consente al governo di nominare i magistrati a propria discrezione, rimane solo il Jobs Act, la macchia indelebile che espone al ridicolo le metafore botaniche sui campi progressisti da arare con l’avallo del condottiero che dal buen retiro di Pontassieve aspetta la chiamata.
Dentro il Pd le minoranze esitano a trarre le inevitabili conseguenze organizzative che scaturiscono dall’avere ancora in circolazione un leader irresponsabile che è in condizioni di nuocere perché in cerca di una rivincita personale da ottenere a qualsiasi costo per la repubblica. Oltre ai segnali di ripresa di una destra che dalla sua ha anche il rigonfiamento di un vento internazionale di sostegno, è la cieca ostinazione di Renzi a rifiutarsi di prendere atto della realtà, cioè della sua irreversibile sconfitta, che rende minacciosa la situazione politica.
Costruire una alternativa democratica alla destra in agguato, e all’assurdo sogno renziano di reconquista di Palazzo Chigi, è la sfida per le forze plurali che si sono mobilitate nelle battaglie per la costituzione, e per la difesa della base sociale della cittadinanza repubblicana. Lo schema del leader dimezzato del Pd (che è riuscito nell’impresa di apparire come una minaccia per la costituzione!) in cerca di rivincita è di approfittare della facoltà di nominare i capilista per assicurarsi una fedeltà assoluta e poter, anche nella sconfitta, rifugiarsi nelle manovre ordite in una inespugnabile fortezza. Dovrebbe però ricordare il monito di Machiavelli: “la migliore fortezza che sia, è non essere odiato dal populo; perché, ancora che tu abbi le fortezze et il populo ti abbi in odio, le non ti salvano”.

Fonte: pagina Facebook dell'Autore 

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