La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 29 gennaio 2017

Marce delle donne: dalla protesta al movimento?

di Penelope Duggan
“Nei prossimi mesi e anni saremo chiamate a intensificare le nostre domande di giustizia sociale, a diventare più militanti nella nostra difesa delle popolazioni vulnerabili. Coloro che stanno ancora difendendo la supremazia di un patriarcato bianco, maschile e etero stiano attenti!” “I prossimi 1.459 giorni di amministrazione Trump saranno 1.459 giorni di resistenza: resistenza nelle piazze, resistenza nelle aule, resistenza nei posti di lavoro, resistenza nell’arte e nella musica.” “Questo è solo l’inizio e per usare le parole della inimitabile Ella Baker: “Noi che crediamo nella libertà non possiamo riposare fin quando non arrivi”. Grazie.”
Così Angela Davis ha concluso il suo intervento alla Marcia delle Donne a Washington, il 21 gennaio 2017.
Le marce delle donne in giro per il mondo il 21 gennaio sono state un evento storico. Per la prima volta dopo le manifestazioni contro la guerra del 15 febbraio 2003, milioni di persone di differenti paesi hanno manifestato nei sette continenti lo stesso giorno e per gli stessi motivi, in un gesto di solidarietà internazionale ma anche nella consapevolezza che le stesse dinamiche politiche sono in gioco a livello internazionale.
Negli USA il livello di mobilitazione ha superato quello delle manifestazioni anti-guerrra e in Gran Bretagna lo ha uguagliato.
Le marce sono state convocate, dirette e maggiormente partecipate dalle donne. La scintilla è stata l’elezione di Trump alla Presidenza degli Stati Uniti in una reazione agli attacchi annunciati e probabili ai diritti delle donne in quel paese e sotto quella amministrazione, ma la risposta internazionale è stata anche provocata dai timori delle donne di tali attacchi sugli stessi diritti in giro per il pianeta. L’ondata crescente dell’estrema destra e della reazione religiosa stanno a sottolineare che i diritti delle donne – di scegliere, di lavorare, di vivere la loro vita come desiderano – non sono mai acquisiti per sempre. 
La spinta è quindi venuta dalle donne – di tutte le età, di donne migranti, delle minoranze etniche, portatrici di handicap – in difesa dei loro diritti, però le marce hanno anche mobilitato coloro che sono nel mirino dell’amministrazione Trump negli attacchi a venire, e le forze politiche affini in tutto il mondo – attivisti/e per i diritti umani, per i diritti della popolazione nera, per l’ambiente.
Negli USA la mobilitazione ha avuto un vero carattere di massa – come si può vedere nella lista che è stata compilata e dove compaiono tutte le azioni, anche di piccoli gruppi, dimostrando così la capillarità della protesta contro Trump e la sua politica che si è voluta evidenziare.
Naturalmente questa mobilitazione così spontanea è stata estremamente eterogenea, mettendo insieme nelle manifestazioni femministe radicali, Democratici e fans della Clinton, attivisite/i per i diritti dei neri, forze anticapitaliste della sinistra radicale… E' proprio questo ad aver determinato il suo successo negli USA come a livello internazionale.
Alcuni commentatori della sinistra per questo motivo hanno avuto una tendenza a sminuire il significato di queste manifestazioni, dicendo che erano dominate da forze borghesi, bianche, liberal, pro-Partito Democratico.
Che ci fossero tali forze e che possono anche essere state le promorici dell’iniziativa non si può negare. Però tutti i reportage da tutte le parti sottolineano come tantissime/i manifestanti fossero giovani, spontanei e in piazza per la prima volta. La scelta peggiore per la sinistra femminista e anticapitalista sarebbe lasciare queste persone unicamente in dialogo con le femministe liberali, mainstream, istituzionali. Come dice Susan Pashkoff, nel suo articolo per Socialist Resistance in Gran Bretagna: “E’ essenziale che le femministe socialiste e la sinistra partecipino a questo movimento invece di limitarsi a criticarlo dall’esterno. Dobbiamo esserci, spostarne i limiti ulteriormente a sinistra, impegnandoci a sostenere le rivendicazioni delle donne della classe lavoratrice, le donne di colore, le compagne LGBTQ e portatrici di handicap. Dobbiamo far in modo che questo movimento potenziale non sia preso in mano da coloro che ne devierebbero i propositi in funzione dei bisogni dei partiti politici mainstream e del movimento femminista liberale.”
L’esigenza che le marce fossero di tutte le donne, e in particolare di coloro che sono più oppresse, sfruttate e discriminate, è stata espressa fortemente fin dall’inizio. L’appello “Visione guida e definizione dei principi” era molto più ampio di quello del femminismo liberale e si riferiva alle rivendicazioni e alle lotte delle donne di colore e lavoratrici. Sforzi reali sono stati fatti affinché le organizzatrici a livello nazionale riflettessero questa diversità, ma come con ogni movimento vivo questi sforzi dovranno continuare se vogliamo che questa esplosione di protesta si trasformi in un movimento continuativo. Come dice Pashkoff: ”Se vogliamo che questo movimento nascente capisca che è all’intersezione tra razza, classe e genere che l’oppressione delle donne è sentita in modo più forte, allora dobbiamo impegnarci perché le voci delle donne di colore, lavoratrici, LGBTQ e disabili siano ascoltate e incluse. Si tratta di un movimento nascente, se vi aspettate che non faccia errori o che non proponga slogan sbagliati, state chiedendo troppo”. Ciononostante, se il movimento si deve sviluppare fino a diventare il potente movimento di protesta per la giustizia sociale auspicato da Angela Davis nel suo intervento a Washington, dovrà andare oltre questa diversità organizzata per diventare un’espressione delle battaglie e delle lotte delle donne contro tutte le forme di oppressione, sfruttamento e discriminazione.
Ma i movimenti hanno bisogno di tempo per crescere e per essere costruiti. Come ha scritto l’autrice femminista Cinzia Arruzza il 22 gennaio: “Le mobilitazioni di massa non cominciano quasi mai quando le aspettiamo, non hanno quasi mai le caratteristiche che aspettiamo e che consideriamo politicamente adeguate, non hanno quasi mai una coerenza politica, non sono libere dalle contraddizioni sociali e dalle divisioni presenti nella società, o dai pregiudizi e dai limiti politici che le caratterizzano. Non sono eventi magici sconnessi dal continuum della vita sociale, anche se hanno la capacità e la potenzialità di creare discontinuità e rotture. Sono processi incasinati, contradditori, in cui gli esiti non sono dati in anticipo e la solidarietà va costruita. Le ultime 48 ore hanno dimostrato la potenzialità di una nuova stagione di mobilitazione, e che ciò è successo specialmente in un giorno di mobilitazione delle donne è ancora più rilevante. Naturalmente un possibile e forse anche probabile scenario è che il Partito Democratico e i suoi surrogati finiranno per addomesticare, cooptare o anche strozzare questa potenzialità. Però la decisione rilevante che dovremmo prendere è se vogliamo già cantare il canto funebre di questa mobilitazione in divenire o se vogliamo essere fedeli al nostro desiderio di cambiare questo mondo e avere un’analisi politica seria, non moralistica, dei limiti, della composizione e delle potenzialità di questi ultimi due giorni, e di che cosa dovremmo fare e come per aiutare questa lotta a crescere e a radicalizzarsi.
Questa è la sfida a cui devono far fronte le forze femministe, anticapitaliste negli USA e nel mondo sulla scia di questa ondata di proteste. La posta in gioco e le possibilità aperte sono sicuramente maggiori nell’immediato negli Stati Uniti. Però le donne si stanno battendo in tutto il mondo e questo movimento di protesta è un segno delle possibilità di costruzione di movimenti propri, che siano incentrati sul diritto all’aborto in Irlanda o in Polonia, contro la violenza in India e in Sud Africa, contro il femminicidio in Messico, e per i diritti delle donne come diritti umani dappertutto.

Articolo pubblicato su internationalviewpoint.org
Traduzione di Nadia De Mond
Fonte: Communianet.org 

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