La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 19 maggio 2017

Antropologia dei dispositivi di emergenza

di Giovanni Gugg
L’Italia è un Paese che, periodicamente, fa esperienza di disastri e in cui l’esposizione ai rischi (geologici, innanzitutto) è spesso molto alta. Nonostante ciò, le scienze sociali italiane – e l’antropologia culturale, in particolare – si sono dedicate a questo specifico terreno di ricerca con un certo ritardo, rispetto ad altri contesti internazionali. Il libro di Silvia Pitzalis, Politiche del disastro. Poteri e contropoteri nel terremoto emiliano (Ombre Corte, 2016), è uno dei primi a collocarsi in questa peculiare congiuntura storico-politica, nonché scientifica e culturale italiana. Questo quadro è decisamente cambiato a partire dal 2009, sia per ragioni accademiche1 che, purtroppo, per il gravissimo terremoto che ha colpito la città dell’Aquila il 6 aprile. I primi studi antropologici effettuati sui disastri in Italia con una certa regolarità (non solo da studiosi italiani) si sono avuti a partire dagli anni ’70, in concomitanza con alcune calamità piuttosto gravi. In particolare, il bradisismo dell’area dei Campi Flegrei (nel 1970 e nel 1983), il terremoto in Friuli (1976) e il terremoto in Campania e Basilicata (1980) hanno rappresentato occasioni di ricerca sulle modalità di ricostruzione degli abitati distrutti2 e sulle dinamiche politiche messe in atto da tali eventi nefasti3. Successivamente, sono andate sviluppandosi analisi in merito alla rielaborazione della memoria delle catastrofi4 e alla risposta culturale al disastro naturale5. Come dicevo, è tuttavia dal 2009 che una generazione di giovani ricercatori italiani ha posto particolare attenzione alle catastrofi, non solo sul piano conoscitivo, ma anche con taglio pubblico e impegno applicativo6.
Il lavoro di Pitzalis è, dunque, in primo luogo da annoverare in questo filone, a cui aggiunge un suo personale apporto intellettuale e metodologico. Il libro è la sistemazione e il completamento di un percorso accademico di cui l’autrice aveva già fornito vari spunti7, ma è essenzialmente il frutto della ricerca dottorale che ha svolto dall’ottobre 2012 al novembre 2014 sul territorio colpito dalle scosse sismiche del 20 e del 29 maggio 2012, ovvero le province di Ferrara, Modena, Mantova, Bologna, Reggio Emilia e Rovigo. Quel doppio terremoto ha causato complessivamente 27 morti e 400 feriti, 15000 sfollati e oltre 13 miliardi di euro di danni, in un’area densamente popolata e industrializzata che, prima di quegli eventi, produceva il 2% del Pil italiano.
Una caratteristica evidente del testo è il suo equilibrio tra distacco antropologico e coinvolgimento umano verso la causa del gruppo studiato: l’agire di Pitzalis va dall’osservazione etnografica classica alla collaborazione diretta presso le comunità in cui ha effettuato la sua ricerca, ovvero il Comitato Sisma.12 e il resto della popolazione del borgo di Forcello (frazione di San Possidonio, Modena). Come esplicita l’autrice stessa già nell’introduzione, si tratta di un lavoro al confine tra
«l’antropologia dei disastri, l’antropologia politica e l’antropologia dei movimenti sociali, con un forte interesse al punto di vista “dal basso” dei cittadini terremotati e alle loro rivendicazioni, oltre che alle loro narrazioni personali» (p. 15).
La fase etnografica propriamente detta si è svolta secondo le procedure più consolidate della disciplina, ovvero in maniera approfondita e prolungata attraverso sopralluoghi, soggiorni sul campo (in tenda, in roulotte e ospite in una casa di campagna), interviste aperte, relazioni formali e informali, ascolto, dialogo, osservazione, partecipazioni ad assemblee e così via. I dati raccolti sono stati poi analizzati e organizzati nei tre capitoli del libro: il primo sul rapporto tra istituzioni e terremotati nella prima fase dell’emergenza; il secondo sulle modalità di agire nel politico da parte di uno specifico gruppo di terremotati, ovvero il Comitato Sisma.12; il terzo sulla più generale dimensione socio-culturale e politica di quel terremoto.
In caso di calamità lo stravolgimento del territorio può causare un momento di disordine esistenziale che minaccia la stabilità della presenza delle persone che l’hanno vissuta. Tuttavia, l’idea di fondo di Pitzalis è che le catastrofi possano essere anche “generative”, possano cioè attivare degli elementi di intraprendenza e di ingegno che fungono da alternativa al trauma sociale e psicologico estremo. La letteratura antropologica si è dedicata ampiamente al «collasso del quotidiano», che – dice de Martino – espone la presenza «al rischio di non mantenersi di fronte al divenire, e soggiacente per ciò stesso all’angoscia»8, ma più di recente ci si è accorti che la calamità può anche creare «le condizioni di un’esplosione di dinamismo senza precedenti», come osserva Benadusi9. Questo spunto è alla base dello studio di Pitzalis che, indagando soprattutto le modalità di reazione all’evento, ha focalizzato l’attenzione proprio sul potere rigenerativo dello shock che, specie nei membri di Sisma.12, ha attivato «un’idea di resilienza “critica”» (p. 84), non solo per dare senso all’evento, ma anche e soprattutto per realizzare una maggiore partecipazione politica:
«Il processo di emancipazione e mutamento viene messo in atto non solo per creare e attivare nuove modalità di fare e pensare il politico, ma di ricrearsi come soggetti che agiscono in maniera autonoma a partire dal proprio coinvolgimento. Sono, inoltre, sforzi per oltrepassare un dolore che, pur ancora imbrigliato nel difficile processo di acquisizione di senso, non rimanga relegato nel privato ma si manifesti e si potenzi in specifiche pratiche di lotta» (pp. 59-60).
Questo porta l’autrice ad un’analisi sul campo di due concetti foucaultiani: la “tecnica di governo” e la “contro-condotta”, ovvero da un lato quel complesso meccanismo di pratiche, spesso ambigue, che, in nome dello stato di emergenza, operano forme di controllo e di imposizione creando spazi fortemente normati; e dall’altro l’insieme delle prassi di una controparte civile, che ha l’obiettivo di rifondare la convivenza, alimentando la partecipazione attiva dei terremotati al fine di una riappropriazione dei diritti di cittadinanza.
Quella di Pitzalis è un’antropologia degli strumenti normativi e tecnico-operativi, dei «dispositifs de gouvernement»10 in cui ciò che emerge con forza sono gli “elementi devianti”, ovvero quei comportamenti collettivi “irrazionali”, agli occhi delle istituzioni, quali l’ostinazione a voler restare sui propri luoghi e a non limitare in alcun modo la propria libertà, da cui l’autogestione dei campi e l’autocostruzione delle case. Come argomentato nel libro, questa opposizione, in realtà, cela una consapevolezza molto lucida, ovvero il porsi
«criticamente nei confronti di quelle procedure d’intervento istituzionali riconducibili a forme di capitalismo dei disastri che minano il diritto alla ricostruzione del territorio e opponendosi a meccanismi decisionali che supportano interessi privati» (p. 84).
Volgendo il suo sguardo su queste “razionalità altre”, l’antropologa ha mostrato un’umanità che, sebbene ferita, rivendica orgogliosamente la propria volontà di esprimersi, di prendere parte, di riappropriarsi del destino, dunque di contribuire alla gestione dell’emergenza e al ridisegno del proprio territorio:
«La capacità delle persone di immaginarsi come parte di comunità è oggi connessa al loro rifiuto di marginalizzazione, partecipando attivamente al desiderio di costruire un “essere mondo” basato su potenzialità immaginative collettivizzate, nutrite da desideri protesi verso un avvenire migliore, all’emergere di qualcosa di nuovo che (ancora) non c’è, ma che ha la potenzialità di esistere» (p. 94).
“Politiche del disastro” mostra una varietà di possibili reazioni socio-culturali ad una catastrofe naturale e alle conseguenti, innumerevoli implicazioni politiche. Il contributo principale di questa antropologia non va cercato nelle risposte definitive o nei suggerimenti operativi, bensì negli interrogativi che solleva e nelle prospettive di confronto che apre sulla logica emergenziale, sulle procedure della Protezione Civile, sulla definizione dei tempi del bisogno, sulla sussidiarietà come attività di recupero e di responsabilizzazione. Le differenze tra i dispositivi istituzionali e le pratiche “dal basso” illustrate nel volume sono lo stimolo a pensare un futuro diverso, tanto per il sistema degli aiuti, quanto per la gestione del territorio: è in quelle variazioni che si possono individuare forme nuove del politico che lasciano immaginare un mutamento o, per usare le parole di Pitzalis, una elaborazione di «alternative protese ad un avvenire migliore» (p. 136).

Note

  1. Risale al 2009 il primo convegno antropologico italiano sui disastri, organizzato da Mara Benadusi e con la partecipazione, tra gli altri, di Anthony Oliver-Smith e Sandrine Revet (si veda: Mara Benadusi, Chiara Brambilla, Bruno Riccio (a cura di), “Disasters, Development and Humanitarian Aid. New Challenges for Anthropology”, Guaraldi, Rimini, 2011). Dello stesso anno, inoltre, è il manuale di Gianluca Ligi, Antropologia dei disastri, Laterza, Roma-Bari, 2009.
  2. Comitato Interdisciplinare Universitario di Napoli, Proposte per la ricostruzione (con un contributo dell’antropologo Lello Mazzacane), Adriano Gallina Editore, Napoli, 1981; Amalia Signorelli (a cura di), Rapporto di sintesi sui risultati della ricerca sugli effetti del bradisismo (terremoto) nei Campi Flegrei (Napoli), Ministero per la Protezione Civile, Comune di Pozzuoli, Università degli Studi di Napoli, Napoli, 1986; Angela Giglia, Crisi e ricostruzione di uno spazio urbano. Dopo il bradisismo a Pozzuoli: una ricerca antropologica su Monteruscello, Guerini, Milano, 1997
  3. A. Chairetakis Lomax, The past in the present: community variation and earthquake recovery in the Sele Valley, southern Italy, 1980-1989, Ph.D. Thesis, Columbia University, 1991.
  4.  G. Gribaudi, Terremoti. Esperienza e memoria, in Terra, numero monografico di Parole chiave, 44, Carocci, Roma, 2010; Laura Centemeri, Enquêter la «mémoire discrète» du désastre de Seveso, in Sandrine Revet & Julien Langumier (a cura di), Le gouvernement des catastrophes, Karthala, Parigi, 2013; Stefano Ventura, Il terremoto in Irpinia del 1980: memorie individuali e collettive del sisma, in Pietro Saitta (a cura di), Fukushima, Concordia e altre macerie. Vita quotidiana, resistenza e gestione del disastro, EditPress, Firenze, 2015.
  5. Amalia Signorelli, Catastrophes naturelles et réponses culturelles, in Le Feu, numero monografico di Terrain, 19, Maison des Sciences de l’Homme, Parigi, 1992.
  6. Per una storia dell’approccio antropologico ai disastri, specie in Italia, si veda Mara Benadusi, Antropologia dei disastri. Ricerca, Attivismo, Applicazione. Un’introduzione, in Antropologia Pubblica, 1, Seid Editori, Firenze, 2015.
  7. Silvia Pitzalis, Stravolgimento del mondo e ri-generazione: il terremoto di maggio 2012 in Emilia, in Pietro Saitta (a cura di), Fukushima, Concordia e altre macerie. Vita quotidiana, resistenza e gestione del disastro, EditPress, Firenze, 2015; Rita Ciccaglione, Silvia Pitzalis, La catastrofe come occasione. Etnografie dal sisma emiliano tra engagement e possibile consulenza, in Antropologia Pubblica, 1, Seid Editori, Firenze, 2015. Di Silvia Pitzalis si vedano anche i vari contributi online: due articoli pubblicati nel marzo 2013 qui sul Lavoro culturale (http://www.lavoroculturale.org/author/silvia-pitzalis/) e l’intervista in due puntate uscita nel settembre 2016 su InfoAut(http://www.infoaut.org/index.php/blog/approfondimenti/item/17558-lemergenza-come-norma-intervista-a-silvia-pitzalis-sulle-politiche-di-gestione-post-sisma).
  8. Ernesto de Martino, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali [1977], a cura di Clara Gallini, Einaudi, Torino, 2011.
  9. Mara Benadusi, Cultiver des communautés après une catastrophe. Déferlement de générosité sur les côtes du Sri Lanka, in Sandrine Revet & Julien Langumier (a cura di), Le gouvernement des catastrophes, Editions Karthala, Parigi, 2013. A questo proposito, si veda anche M. S. Barberi (a cura di), Catastrofi generative. Mito, storia, letteratura”, Transeuropa, Massa, 2009.
  10. Sandrine Revet & Julien Langumier (a cura di), Le gouvernement des catastrophes, Editions Karthala, Parigi, 2013.

Fonte: lavoroculturale.org

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