La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 19 maggio 2017

Non avete votato e ora protestate?

di Roberto Savio
Immediatamente dopo il voto per la Brexit, migliaia di giovani hanno marciato sulle strade dell’Inghilterra per mostrare il loro disaccordo per la scelta di lasciare l’Europa. I sondaggi hanno però indicato che se avessero votato in massa (ha votato soltanto il 37%) il risultato del referendum sarebbe stato l’opposto. Nel sistema politico, si dà per scontato che i giovani in gran parte si asterranno e che l’agenda politica tende a ignorarli sempre di più. Questo ha creato un circolo vizioso che ha impostato delle priorità che non li rappresentano e, tuttavia, l’analisi delle elezioni dopo la devastante crisi economica e sociale del 2008-2009 è chiara ed esplicita dal punto di vista statistico.
Il Parlamento Europeo ha condotto una ricerca sulle elezioni europee del 2014 nei 28 paesi membri. Mentre gli europei più giovani (dai 18 ai 24 anni di età) sono più positivi riguardo all’Union Europea rispetto agli Europei più grandi (+ di 55 anni), molti meno di loro hanno partecipato al voto. L’affluenza alle urne è stata più alta tra le persone di età maggiore.
Circa il 51% dei + 55 ha votato, mentre soltanto il 28% del gruppo di età 18-24 è andato alle urne. Questo è relativamente immutato rispetto alle elezioni del 2009. Inoltre i giovani erano più inclinati a decidere nel giorno delle elezioni o pochi giorni prima (il 28% paragonato al gruppo +55).
Già nel 2014, il 31% del gruppo dei più giovani ha detto di non avere mai votato, rispetto al 19% del gruppo 55+. Tuttavia, più erano giovani e più persone avevano il senso di essere europei: il 70% dei giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni, e il 59% del gruppo +55.
Si potrebbe dire, naturalmente, che le elezioni europee sono un caso speciale, ma uno sguardo alle scorse elezioni nazionali in Europa conferma questa tendenza. Alle elezioni presidenziali austriache del 2016, la partecipazione di giovani è stata del 43%. Nel 2010 è stata del 48%.
Nelle elezioni parlamentari olandesi del 2017, il voto del gruppo di età 18-24 era al 66%; era stato del 77% nel 2012. Nel referendum italiano del dicembre 2016, l’astensione dei giovani è stata del 38%, rispetto al 32% della popolazione generale. E nelle recenti elezioni presidenziali francesi, i dati sono coerenti: il 78% di astensione per il gruppo di età 25-34, il 65% per il gruppo 24-35, un solido 51% per il gruppo 35-49, e poi il 44% per il gruppo 50-64, con soltanto il 30% delle persone di più di 65 anni.
A Israele, nel 2013, hanno votato soltanto il 58% delle persone al di sotto dei 35 anni e soltanto il 41% di quelli sotto i 25 anni, paragonati all’88% dei + 55.
La crescente astensione dei giovani ha implicazioni significative. Consideriamo le recenti elezioni americane che hanno portato Donald Trump alla Casa Bianca. I cosiddetti Millenials (cioè i ragazzi nati tra il 1980 e il 2000), cioè i giovani del gruppo di età 18-35, costituiscono ora il 31% dell’elettorato. La Generazione Silenziosa (chi ha più di 71 anni) è il 12% del bacino elettorale e la Generazione X (36-51) costituisce circa il 31% dell’elettorato.
La candidatura di Bernie Sanders era basata sui due milioni di voti che arrivavano dal gruppo di età 19-24, cioè da elettori che fondamentalmente hanno abbandonato le elezioni dopo che Sanders aveva perduto alle primarie. La percentuale di astensione dei giovani, vicina al 67%, ha reso i Millenials equivalenti alla Generazione Silenziosa e ha perduto il suo vantaggio demografico. I millenials avevano un punto di vista favorevole su Sanders al 54%, rispetto al 37% per la Clinton. Soltanto il 17% dei giovani aveva una opinione favorevole su Trump.
Se avessero votato soltanto i ‘millenial’ la Clinton avrebbe vinto le elezioni in maniera schiacciante, con 473 voti rispetto ai 32 per Trump.
La prima osservazione ovvia è che se scompare la tradizionale spaccatura intergenerazionale, avremo pochi cambiamenti in politica, dato che gli elettori anziani sono più conservatori. La seconda osservazione ovvia è che la partecipazione dei cittadini si ridurrà progressivamente, man mano che i giovani andranno avanti con l’età.
Ciò che è preoccupante, è che abbiamo troppi sondaggi sui motivi che sono dietro la disillusione dei giovani per pensare che il sistema politico ne sia ignaro. Al contrario, molti analisti politici pensano che ai partiti al potere non importino le astensioni in termini generali. Riduce gli elettori a coloro che si sentono collegati e le cui priorità sono chiare e più semplici da soddisfare, dato che le generazioni anziane si sentono più sicure di quelle giovani.
Il tema dei giovani sta scomparendo nel dibattito politico, oppure è puramente teorico. Un buon esempio è che il governo italiano ha speso l’enorme cifra di 20 miliardi di dollari per salvare quattro banche, mentre ha speso un totale di due miliardi di dollari per creare posti di lavoro per i giovani in un paese che ha quasi il 40% di disoccupazione giovanile.
Per i giovani, il messaggio è chiaro: la finanza è più importante del loro futuro, e quindi non votano e sono sempre meno un fattore del sistema politico.
Le spese per l’istruzione e la ricerca sono le prime vittime (insieme alla sanità) quando l’austerità colpisce. Le conseguenze sono evidenti. In Australia (dove il 25% dei giovani hanno detto che “non è importante che tipo di governo abbiamo), chi ha più di 65 anni non paga tasse su un reddito inferiore a 24.508 dollari. I lavoratori più giovani pagano le tasse se hanno un reddito di 15.08’ dollari.
Nei paesi ricchi di tutto il mondo, le persone di più di 65 anni di età hanno sussidi e sconti speciali, per il cinema e per altre attività. Non i giovani… Ma quando si presenta qualcuno con un messaggio per i giovani, la partecipazione cambia. In Canada, soltanto il 37% del gruppo 18-24 ha votato alle elezioni del 2008, rispetto al 39% del 2011. Però, quando Justin Trudeau ha fatto la sua campagna basata su un messaggio di speranza, nel 2015, la partecipazione dei giovani è aumentata improvvisamente al 57%.
Quella che è la vera causa di preoccupazione per la democrazia, in quanto istituzione basata sul concetto in declino della partecipazione popolare, è che i giovani non sono tutti apolitici. Sono, invece, molto consapevoli delle priorità, come il cambiamento del clima, l’uguaglianza di genere, la giustizia sociale, i beni comuni, e altri concetti, e molto di più rispetto alle generazioni anziane. Almeno il 10% dei giovani fanno volontariato nei gruppi sociali e nella società civile, rispetto al 3% delle generazioni anziane.
Si sentono molto più collegati alle cause dell’umanità, hanno meno pregiudizi razziali, credono di più nelle istituzioni internazionali e si interessano di più degli eventi internazionali. Un buon esempio è il Cile. Nel 2010 l’astensione generale è stata del 13,1%. Nel 2013 è arrivata al 58%. L’astensione dei giovani è stata del 71%. Se i giovani votassero, potrebbero cambiare i risultati.
Hanno semplicemente perduto fiducia nelle istituzioni politiche in quanto corrotte, inefficienti e separate dalla loro vita. Un rapporto dell’anno scorso ha rilevato che il 72% degli americani nati prima della Seconda Guerra Mondiale pensava che fosse “essenziale” vivere in un paese che era governato democraticamente. Meno di un terzo dei nati negli anni ’80 è stato d’accordo.
Dobbiamo osservare che il calo della partecipazione alle elezioni è un fenomeno mondiale e non riguarda soltanto i giovani, ma la popolazione generale. Le elezioni più recenti mentre scrivo questo articolo sono state nelle isole Bahamas: soltanto il 50% della popolazione è andata a votare. In Slovenia l’ astensione è ora del 57,6%, in Mali è del 54,2%, in Serbia del 53,7%, in Portugal del 53.5%, in Lesotho del 53.4%, in Lituania del 52,6%, in Colombia del 52,1%, in Bulgaria del 51,8% in Switzerland del 50,9% …e questo in regioni così diverse come America Latina, Europa, Africa e Asia…la crisi della partecipazione politica va dalla culla del sistema parlamentare (la Gran Bretagna), con il 24% di astensione nel 1964, al 34,2% nel 2010, all’Italia (7,1% nel 2003, e nel 2013 24.8%).
C’è un consenso generale tra gli analisti sul fatto che i danni della globalizzazione e screditare i partiti politici sono le cause maggiori del calo di partecipazione. I vincitori, tuttavia, non tengono mai conto delle ragioni di chi perde. La vittoria di Macron nelle recenti elezioni francesi sono state bene accolte in Germania, ma non appena il nuovo presidente ha cominciato a parlare della necessità di rafforzare l’Europa, creando, per esempio, creando un ministro delle finanze europee, la reazione immediata, è stata: la Germania non metterà un centesimo del suo surplus con l’Europa al servizio di altri paesi, cioè quelli che spendono i loro soldi in donne e alcool, e che ora si aspettano la solidarietà dal Nord Europa ( il Presidente olandese di Eurofin, Jeroen Dijsselbloem).
Quanto ci vorrà a far comprendere ai vincitori nell’Unione Europea che la crisi politica è globale e che deve essere affrontata con urgenza? L’affluenza alle urne è andata diminuendo a precipizio in Germania, da oltre l’82% nel 1998 a soltanto il 70,8% nel 2009. Come nelle scorse elezioni, si suppone che quest’anno il numero dei non-votanti sorpasserà il numero di chi vota a favore del partito più di successo.
Manfred Güllner, capo dell’Istituto di sondaggi, Forsa, avverte del record di non-votanti. “C’è ragione di temere che meno del 70% degli elettori registrati andrà alle urne,” dice. Se i non-votanti fossero inclusi su un grafico convenzionale della TV, avrebbero la posizione più alta nel grafico. Dovrebbero realmente essere pubblicizzati come i veri vincitori delle elezioni, se non fosse per il fatto che questo rappresenta una sconfitta per la democrazia.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: IPS
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

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