La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 19 maggio 2017

Psoe, tre in corsa per la leadership. Podemos convitato di pietra

di Ettore Siniscalchi
I socialisti spagnoli votano per eleggere il proprio segretario. Oggi si chiude l’ultima settimana di campagna delle primarie per la scelta del segretario del Partito socialista spagnolo, iniziata lunedì con l’unico confronto tra i tre contendenti: Pedro Sánchez, ex segretario; Susana Díaz, presidente dell’Andalusia; e Patxi López, primo e unico governatore socialista basco e ex presidente del Congreso. Dopo il consueto “silenzio di riflessione” domenica 187 mila militanti potranno decidere il nuovo leader del partito.
Un congresso che giunge in un momento difficile, col Psoe ai minimi storici dei risultati elettorali, una durissima concorrenza a sinistra, nel cupo scenario della crisi delle socialdemocrazie europee che sembra inarrestabile, anche in Germania.
Un congresso che si svolge nel quadro di una divisione interna senza precedenti, pure per un partito la cui storia di lotte intestine è ampia e cruenta, il cui climax si è raggiunto lo scorso settembre quando, nell’ambito della scelta sullo schieramento del Psoe rispetto al governo Rajoy – il no o l’aiuto al varo, tramite l’astensione, come poi avvenne – il segretario Pedro Sánchez è stato defenestrato con un colpo di mano nell’esecutivo federale cui è seguito l’insediamento di un Comitato di gestione che ha retto il partito per otto mesi.
Quell’evento ha dato il tono alle primarie in corso. La rottura del patto tra i dirigenti e di quello tra questi e la base, schierata maggioritariamente col segretario, ha segnato questi mesi, con Sánchez nominatosi paladino della militanza contro i vertici.
Il confronto di lunedì quasi nulla di nuovo ha apportato al dibattito in corso. La parola sinistra, il richiamo alla rettifica di campo, sono stati comuni. Per López e Sánchez, il partito va aperto, vanno potenziate le Case del popolo (le sezioni territoriali), chiamata a decidere, in sfumature diverse, la militanza, recuperati i valori della sinistra. Da Díaz non è giunta nessuna proposta concreta. Salvo grandi richiami ideali, nessun errore, il paese e il partito stanno bene così. Come nella lunga attesa prima di confermare la sua candidatura, sembra certa del risultato. Già la raccolta di firme per la candidatura non è stata la marcia trionfale che si prevedeva, con solo poche migliaia di firme in più rispetto al principale avversario.
Limitarsi a gestire il supposto vantaggio sembra una strategia debole, anche perché i sondaggi continuano a indicare una netta preferenza per Sánchez da parte dei militanti. Tanto che in questi giorni l’andalusa ha tentato di recuperare proponendo anch’ella misure di coinvolgimento del corpo del partito nelle scelte politiche, come la consultazione sui patti post elettorali e la destituzione del segretario.
Díaz ha tardato anche a presentare il suo programma, arrivato solo a quattro giorni dal voto. I programmi hanno un’importanza relativa, in quanto il progetto del vincitore sarà quello che uscirà dal 39° congresso che si terrà dal 16 al 18 giugno a Madrid, in cui il testo base coordinato da Eduardo Madina e José Carlos Díez, entrambi schierati con Susana Díaz, sarà sottoposto alle modifiche proposte dai congressi locali, provinciali e autonomici, che si celebreranno dal 24 al 28 maggio e in cui verranno anche eletti i delegati.
La cronaca di questa settimana ci ha consegnato le manovre per recuperare o confermare le performance del dibattito di lunedì e, più in generale, hanno evidenziato la debolezza dell’elaborazione politica del Psoe. Díaz imputa a Sánchez, oltre alle sconfitte elettorali, l’essere ondivago ma questa caratteristica è comune a tutti i candidati. Basti pensare a un tema come la rendita di base, inizialmente rifiutata da tutto il Psoe e ora un carro sul quale tutti si sono affannati a salire, con sfumature diverse, nel tentativo di connettersi alla domanda di misure anti crisi che vengono dalla società e che sono cavalli di battaglia dei partiti alla sinistra del Psoe.
Nel corso di queste primarie, e con grande evidenza nel dibattito di lunedì, è stato confermato il copione fin qui seguito. Pedro Sánchez e Susana Díaz hanno monopolizzato la scena con un duro confronto mentre Patxi López ha tentato in ogni modo di proporsi come l’alternativa ragionevole ai due contendenti.
L’ex segretario ha usato la sua defenestrazione come ariete contro l’andalusa, rappresentante dei “Baroni” che non tengono in conto l’opinione della militanza. Susana ha definito Sánchez il candidato che perde e che distruggerà il Psoe; López si è appellato alla base e all’amore per il partito lanciando l’allarme sul futuro stesso del Psoe.
In un’intervista al quotidiano on line Público, l’ex Lehendakari (titolo basco del governatore dell’autonomia), ricordando quanto avviene con le socialdemocrazie in Grecia, Olanda, Italia e Gran Bretagna, ha allertato sulla possibile scomparsa del Psoe. La sua ricetta è il recupero della fraternità fra socialisti e la chiara collocazione a sinistra del partito, espressa nella frase «Un partito è di parte, noi non dobbiamo difendere l’Ibex 35» (l’indice delle maggiori società spagnole quotate in borsa). Ostenta senso di responsabilità e serietà, e appare il più solido nel linguaggio e nell’elaborazione politica.
Sánchez punta sulla disintermediazione tra leader e militanti, con consultazioni della base obbligatorie e vincolanti, e sulla ricollocazione a sinistra per recuperare l’elettorato che è andato da Podemos o che si astiene. E offre la possibilità di mendarsi dal favore a Rajoy (e dalla sua defenestrazione): «Il 21 maggio andremo a votare per riscattare il Psoe non dai suoi militanti ma dall’astensione al Pp» (e dalla sua defenestrazione).
Díaz sembra accentuare la sua offerta a un elettorato socialista “conservatore”, che condivide una visione della Spagna castigliano-andalusa, che avversa gli “avventurismi” riformatori in politica come in materia territoriale e che, malgrado il richiamo alla tradizione federale del Psoe, esprime una volontà immobilista. In questo senso il duro attacco al 15M – quel movimento degli Indignados nato il 15 maggio 2011 che della crisi del sistema spagnolo è stato il sintomo febbrile bruciante – sferrato proprio nei giorni del ricorrere della data simbolo del montaggio delle prime tende nella Puerta del Sol di Madrid, non sembra «voce dal sen fuggita» ma un chiaro segnale di campo.
"Molti di quelli che s’incazzarono con noi lo fecero non perché avevano sceso dieci scalini ma perché ne avevano sceso uno. Pensavano che avrebbero avuto la loro casetta sulla spiaggia […] che sarebbero riusciti a mandare i figli all’università […] che sarebbero riusciti a vedere nipoti con una migliore qualità di vita della loro e quando non fu possibile s’incazzarono con noi, s’indignarono, e così abbiamo fatto il gioco della destra e degli altri, di Podemos"
In un paese in cui il tasso di diseguaglianza è triplicato negli ultimi dieci anni, la colpa della crisi della politica è di chi ha maggiormente subito la crisi, secondo la presidente andalusa.
Podemos è il convitato di pietra del confronto tra i candidati. L’ex segretario vuole aprire a un governo di cambiamento, Susana denuncia la subalternità di Sánchez ai viola «che vogliono solo distruggerci». L’ex segretario nega, nessuna subalternità, come non lo sono i socialisti che governano regioni e comuni. López vede i viola come avversari politici non certo possibili alleati, per ora. Podemos intanto affonda la lama nelle divisioni e nell’immobilismo del Psoe presentando oggi la mozione di sfiducia a Mariano Rajoy (e a un Pp circondato dalle inchieste per corruzione). Mozione che non passerà, per molti ha anzi il solo effetto di rafforzare l’idea di indispensabilità di Mariano Rajoy, il quale pratica la politica dei due forni e dopo aver varato il governo con l’astensione del Psoe si appresta a varare il bilancio assieme a Ciudadanos e i tanto temuti partiti nazionalisti.
Cosa succederà dopo il voto è difficile dirlo, quanto dire se vincerà l’ex segretario o la presidente andalusa e cosa succederà all’ex governatore basco. Tutti invocano unità. Sánchez fa richiami continui, prima sui media che all’interlocutore, alla collaborazione con López data la similitudine dei programmi, salvo poi denunciare che ha due candidature d’apparato che corrono contro di lui. Il basco, che critica la polarizzazione tra i due in nome dell’unità, risponde che non parteciperà a nessuna segreteria ma che solo la sua sarà includente. Susana includerà ma non si sa come e dove.
A un corpo elettorale sfilacciato, deluso e invecchiato i candidati hanno scelto di offrire messaggi semplici conditi di suggerimenti, quando non insinuazioni, ma non di chiare parole. Tutto sommato, il punto comune del discorso di ogni candidato è «Se non vincerò io, sarà il caos». Non propriamente un buon viatico per il futuro del Psoe.

Fonte: ytali.com 

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