La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 10 giugno 2017

La nuova bolla: i prestiti d'onore

di Marco Bersani
“La tua formazione è la cosa più importante”. Non si tratta dell’esortazione di qualche riconosciuto pedagogista, bensì dell'invito per gli studenti universitari a usufruire di “Unicredit Ad Honorem”, il prestito fino a un massimo di 27.700 euro per un periodo variabile a seconda del corso di studi, al termine del quale l'ammontare del denaro utilizzato insieme agli interessi maturati verrà trasformato in prestito personale. 
“Il finanziamento per coltivare i tuoi sogni”, raggiunti i quali sarà possibile richiedere “il periodo di grazia” per una durata massima di 2 anni, per poi partire con il rimborso da un minimo di 12 a un massimo di 180 mesi. Tutte le principali banche hanno avviato da tempo questo “servizio” agli studenti, i quali tuttavia si sono ad oggi dimostrati sanamente renitenti ad utilizzarlo. “Le cause sono di ordine culturale, legate alla tradizionale elevata avversione al debito nel nostro Paese” lamenta ABI, l'Associazione Bancaria Italiana. 
Da cui il primo paradosso: ma come, non è il debito il problema dei problemi del nostro Paese, per cui - dalla precarizzazione alle privatizzazioni - ci stiamo svenando? E allora perché non lodare, invece di deprecare, la sana avversione degli studenti verso l'indebitamento? Il fatto è che gli studenti studiano e non sarà loro sfuggita l'esperienza degli omologhi statunitensi che, al contrario, si sono buttati a capofitto dentro il prestito d'onore, con risultati che oggi tutti possono verificare. 
Era il 25 aprile 2012 quando arrivò la notizia del superamento dei mille miliardi di dollari dello student debts negli Stati Uniti e allora tutti gridarono allo scandalo, chiedendo provvedimenti urgenti. Nulla successe, e quattro anni dopo (dati 2016) il debito è aumentato del 32%, raggiungendo la quota di 1.320 miliardi di dollari. Un incremento verticale che non ha pari negli altri settori del credito (prestiti ipotecari, debiti contratti con carte di credito, prestiti per l’acquisto di automobili, mutui).
Mediamente gli studenti americani si ritrovano appena usciti dall’università con un fardello di 35mila dollari da pagare, per lo più attraverso i famosi “prestiti Stafford” dal nome del programma federale che offre tassi di interesse e condizioni di rimborso favorevoli.
Il vero problema - e lì non c’è piano di rimborso che tenga - è quando il neolaureato non trova lavoro: accade, secondo le statistiche, al 7,8% degli ex studenti, ai quali andrebbe aggiunto il quasi 17% degli “indefiniti” (quelli che lavorano meno ore di quante vorrebbero, che non lavorano ma sono in cerca di un’occupazione o che hanno abbandonato del tutto la ricerca di un impiego). Siamo al default personale, che colpisce ad esempio il 20% degli studenti indebitati dell’Università statale del New Mexico e il 15% di quelli della Ohio University.
Ma ciò che va rilevato non è solo lo stock di debito sin qui accumulato, bensì la crescita incontrollabile dello stesso, al ritmo di circa 100 miliardi l'anno, con grafici per visualizzarla che riportano plasticamente una retta dritta come una spada che dall’angolino in basso a sinistra vola verso quello in alto a destra. Una realtà di cui non si intravede alcuna via d'uscita, perché le rette sono in aumento anche nelle meno costose università pubbliche: dopo la recessione, la spending review dei singoli Stati americani si è infatti tradotta in cospicui tagli all’istruzione.
Di fatto, il prestito d'onore trasforma le università statunitensi in fabbriche dell'uomo indebitato, con un presente schiavizzato e un futuro disciplinato ma, come già successo infinite volte, anche in questa occasione la bulimia bancaria ha prodotto una bolla finanziaria che presto o tardi esploderà in mano alle banche.
Perché quando il debito è solvibile il problema è di chi lo ha contratto, ma quando diventa, per estensione e dimensioni, impagabile, il problema è del creditore. Le banche sanno già come risolvere il problema e lo hanno sperimentato con la crisi dei mutui subprime del 2007: si chiama “too big to fail”, ovvero “troppo grossi per fallire”. Come allora, dietro il ricatto degli effetti sistemici di un fallimento degli istituti bancari, la futura bolla verrà assunta dagli Stati che ne scaricheranno le conseguenze sui cittadini. Fino a quando le piazze studentesche non torneranno a riempirsi pretendendo la cancellazione qui ed ora del debito sulla base del fondamentale e inalienabile diritto all'istruzione.
Perché “la tua formazione è la cosa più importante”.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 29 di Maggio - Giugno 2017
Fonte: Attac 

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